“Ci vediamo da me dopo mezzanotte, ciao”. Torre Faro, frazione di Messina, 31 Dicembre 2005. Paolo ha appena finito di parlare al telefono con un amico. “Festeggiamo qui l'arrivo dell'anno nuovo – spiega - anzi, perché non fate un salto anche voi?”. Il tono è allegro, proprio come lui: sembra non pensare al fatto che questa potrebbe essere l'ultima festa di capodanno che organizza nella sua villetta.


 
Se tutto andrà secondo i tempi stabiliti per la costruzione del Ponte sullo stretto, la casa di Paolo Guarniera dal 2006 potrebbe essere spazzata via per fare posto al pilone di un viadotto.
Paolo è un potenziale espropriato, favorevole a un ponte che gli porterà via la casa. “Io e i miei genitori l'abbiamo comprata quindici anni fa, piano piano l'abbiamo ristrutturata come piaceva a noi arredandola con tutti i ricordi portati dai viaggi”. Il risultato è una villetta con il giardino pieno di palme, la veranda con le panche in muratura dipinte di azzurro e le porte incorniciate da mattonelle di ceramica.

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“Non sono un folle - si difende Paolo – la rinuncia a questa casa mi costerà molto, visti i sacrifici che abbiamo fatto per costruirla, ma il mio sì al ponte è un sì idealista”.
Accanto all'idealismo c'è anche una ragione “genetica”: “Mia mamma è danese e mi ha trasmesso il suo senso dello stato: spero che la mia rinuncia serva a qualcosa, fosse anche solo portare un po' di tranquillità economica alle persone che vivono a Messina. Io ho una piccola impresa edile e per lavoro incontro tanta gente: quelli che fanno fatica per arrivare alla fine del mese sono molti”.

Per Paolo questo ponte sarà una specie di specchio rovesciato della Messina di oggi. Al posto delle infrastrutture che non ci sono immagina autostrade, ferrovie a doppio binario e acquedotti che funzionano “fatto il ponte - spiega - verranno portate avanti anche le altre opere: l'appetito vien mangiando.
Sotto il ponte, ad esempio, potrebbero fare degli splendidi parchi come ne ho visti
a San Francisco sotto il Golden Gate. Basta che poi non li riducano come Villa Dante”, uno dei pochi parchi cittadini, da anni simbolo dell'incuria e del degrado.


Nei discorsi di Paolo ci sono idealismo e fiducia, ma anche una dose di sano realismo. Lui e molti altri probabili espropriati, forse tutti, non hanno ancora ricevuto nessuna comunicazione ufficiale nè dalla Stretto di Messina, la società che appalta l'opera, né da Impregilo, il general contractor. Sono espropriati per sentito dire. Paolo non ha neppure letto i documenti del Comune e della Stretto di Messina in cui si dice che al posto della sua casa e di quelle vicine costruiranno il viadotto Pantano, quello su cui le macchine faranno l'ultimo tratto prima di attraversare lo stretto.

Anche su quanto verrà pagato per gli espropri si sa poco o niente. Nelle previsioni di costo della Stretto di Messina una cifra complessiva c'è, ma manca il numero dei proprietari per cui dividerla.Di tutte queste cose Paolo non si è mai interessato, ma sa bene quello che vuole: "Sia chiaro, io rinuncio a casa mia solo se mi pagano quello che mi spetta. Se poi finisce male uno si muove, gli avvocati servono a questo. Ma non mi bagno prima che piova”.

Nei sei anni in cui il ponte sarà costruito, Paolo immagina la sua vita lontano da Torre Faro. “Anche se non dovessero togliermi la casa deciderei comunque di stare dai miei genitori, a venti chilometri di distanza. Qui ci saranno ruspe, escavatori, camion e un gran polverone. Chissà come faranno quelli che dovranno restarci per forza”.