Così i lucani si sognano sauditi
La Val d’Agri, incastonata nel cuore dell’Appennino lucano, fino al 1998 era il sogno di ogni naturalista. Boschi, terra fertile, enormi risorse idriche e prodotti biologici che davano lavoro a più di 1.400 famiglie, che vivevano su un’area di 1.405 chilometri quadrati. Poi arrivarono le compagnie petrolifere, decise a sfruttare il più grande giacimento di petrolio d’Europa su terra ferma. Quasi 450 milioni di barili e un valore stimato intorno ai 50 miliardi di dollari, un enorme forziere sotto i piedi dei lucani che avrebbe dovuto garantire crescita e occupazione. Ma a vent’anni dalla prima trivellazione, ai circa settantamila abitanti dei sei comuni che ospitano i pozzi e delle altre 30 comunità della zona non resta che il miraggio di quella ricchezza.
Le royalties pagate dalle compagnie sono incanalate nel Programma operativo Val d’Agri (Pov), istituito nel 2003.
Il Pov ha un budget di 350 milioni di euro destinato al potenziamento delle risorse locali e a “generare eccellenze”. Il primo passo è stato destinare parte delle risorse alle infrastrutture e agli incentivi per imprese esistenti e per progetti di imprenditoria giovanile.
Dopo nove anni però, stando al rapporto ufficiale, sono stati programmati interventi solo per 103 milioni, meno del 30%. Eppure le cose da fare sono tante visto che come scrive la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), la rete autostradale lucana è ancora «fortemente deficitaria». I dati su occupazione e imprenditoria sono ancora più inquietanti: tra il 2004 e il 2009, secondo la stessa Svimez, si è perso circa un occupato su cinque. Nel solo 2009 i posti di lavoro persi sono stati 5.400. In quasi vent’anni di estrazioni, che avrebbero dovuto creare crescita e occupazione, la Basilicata non è riuscita a contrastare la disoccupazione , che sfiora il 13 per cento, mentre il Pil regionale, secondo l’Unione delle Camere di commercio, è sceso del sette per cento, due punti in più rispetto al dato nazionale. Non si è fermata neanche la così detta fuga di cervelli: ogni anno, stima la Banca d’Italia, un laureato su cento lascia la regione Basilicata per andare a lavorare al Nord oppure all’estero.
“Qualcosa certamente non è andato come volevamo”, riconosce Giuseppe Alberti, sindaco di Viggiano, il comune della valle che raccoglie le maggiori royalties dal petrolio: “Gli accordi del 1998 tra la regione e l’Eni sullo sfruttamento e la ricaduta occupazionale, prevedevano corsi di formazione e assunzione di lavoratori locali – e mi riferisco a ingegneri, tecnici e operai specializzati. Questo non è avvenuto. Ma c’è sempre tempo per cambiare le cose, visto che si parla di un nuovo accordo”.
Ascolta il sindaco Giuseppe Alberti su “Sviluppo e occupazione”
Il nuovo accordo del quale parla il sindaco è una intesa tra Stato e Regione per aumentare le concessioni e le relative royalties, che passerebbero dall’attuale sette al dieci per cento. A prezzo dunque di un aumento dei pozzi e della possibile attivazione di una quinta linea all’interno del Centro Oli, l’impianto costruito dall’Eni dove il petrolio lucano viene ripulito da acqua, gas e zolfo. L’obiettivo è arrivare a lavorare più di 150 mila barili al giorno di petrolio.
I motivi dei ritardi nel rilancio economico della Val D’Agri, vanno ricercati in una eccessiva burocrazia nella gestione dei fondi. Il Pov stabilisce quattro linee guida: Infrastrutture, sostegno alle attività produttive; salvaguardia e miglioramento dell’ambiente e elevazione della qualità della vita. I soldi per le infrastrutture sono destinati direttamente ai comuni, che definiscono gli interventi urgenti. Tutto questo denaro però non rientra nei bilanci correnti ma rimane nelle casse dalla Regione, con una trafila (dal comune al Pov, dal Pov alla Regione, dalla Regione al comune) che crea problemi e paradossi.
Tutta questa procedura – spiega un impiegato comunale dell’area della Val d’Agri che chiede di rimanere anonimo – comporta spesso lunghi tempi di attesa. Si arriva anche a quattro mesi dopo la fine dei lavori. È qua sta il problema. Perché le imprese appaltatrici chiedono gli interessi di mora all’amministrazione che ha commissionato il lavoro. E i soldi per pagarli vengono presi dal bilancio ordinario. E così molti Comuni si ritrovano con conti in rosso ma con quasi due o tre milioni di euro bloccati alla Regione che non può spendere se non per interventi prefissati nel Pov.
Per quanto riguarda invece gli incentivi alle aziende è la stessa Regione a stabilire gli interventi.
Un fondo di 134 milioni di euro è destinato ad aiutare le piccole e medie imprese ad ammodernare, delocalizzare, ristrutturare, ampliare o creare nuove attività. In tutto sono 1.418 le iniziative finanziate, 916 delle quali in ambito agricolo. Solo 863 progetti sono stati però effettivamente conclusi o avviati, contribuendo alla creazione di 550 nuovi posti di lavoro. Quasi 400 però le aziende che hanno rinunciato all’incentivo e tutte del settore agricolo. Certo strade danneggiate o assenti non aiutano ma quello che crea più problemi è che nessuno vuole comprare alimenti dove si estrae petrolio.
Antonio Capogrosso (testimonianza video) è un agricoltore che abita nella contrada le Vigne del comune di Viggiano, il maggiore della zona. Dopo aver fatto l’artigiano per anni aveva deciso di smettere per dedicarsi al suo sogno: coltivare e veder crescere le sue piante. Aveva comprato terreni in quella che lui definiva un’ oasi e si era costruito una piccola casa. Poi però hanno costruito il Centro Oli dell’Eni e quel idillio si è trasformato in un incubo. “Io ho sempre prodotto vino e olio. Ne facevo in abbondanza e molto lo scambiavo con agricoltori del Vallo di Diano. Davo via la metà del mio prodotto, in cambio prendevo tutto quello che non producevo e così riuscivo a vivere. Adesso nessuno lo vuole più e ho la cantina stracolma. Ho smesso di coltivare”.
Dal suo balcone si vede la pianura, poi l’occhio sbatte sull’enorme blocco di cemento e acciaio del Centro Oli e il paesaggio svanisce: “Eravamo in tanti ad abitare questa zona, adesso siamo rimasti in pochi. Le abitazioni sono vuote e molti sono andati via. Chi è rimasto cerca di vendere per fuggire, ma nessuno compra vicino a dove si lavora il petrolio. La mia preoccupazione è che qui sarà una nuova Casal Monferrato”, un allusione alla cittadina in provincia di Alessandria, dove la fabbrica Amiantit per più di trent’anni ha prodotto lastre in fibrocemento-aminato, ignorando i rischi per la salute di cittadini e lavoratori.
Molti cittadini e diverse associazioni a tutela della salute nate in questi anni temono che solo quando tutto sarà finito, e non ci sarà più da trivellare, verranno comunicati i rischi dell’impianto. Una legge dello Stato, infatti, definisce il centro Oli ad alto rischio rilevante.
I controlli effettuati fino ad oggi, da parte dell’Arpab e Agrobios (una struttura di ricerca per innovazioni in campo agro-industriale) hanno dato risultati incostanti. Molto spesso a fornire i dati ufficiali è la stessa Eni, che con cadenza trimestrale comunica alla Regione i livelli di sostanze immesse in atmosfera. Per capire se c’è una correlazione tra l’aumento dei tumori, riportato dal registro dei tumori della Basilicata, e le sostanze trattate all’interno del Centro Oli servirebbe un’indagine epidemiologica nel centro stesso.
Il Centro Oli è, d’altra parte, anche una fonte di reddito, con un indotto diretto di 120 aziende, 15 delle quali con sede legale in Basilicata e presenti nella zona industriale di Viggiano, secondo i calcoli di Davide Bubbico, ricercatore dell’Università di Salerno. Per l’acquisto di materiali sono coinvolte 400 imprese, anche se solo 60, comprese le 15 direttamente coinvolte, sono lucane. Tutto questo ha generato un aumento dei posti di lavoro: nelle sei aziende maggiormente legate all’Eni, dal 2009 l’occupazione è passata da 150 a 220 addetti (340 con i lavoratori a tempo determinato). Nel complesso il Centro Oli e il suo indotto danno lavoro a poco più di duemila persone. Ma meno della metà sono lucane.
“Dirigenti, tecnici e ingegneri, vengono tutti da altre regioni – dice Gianbattista Mele, consigliere di minoranza del comune di Viggiano – qui l’Eni prende solo le maestranze con qualifiche basse, e solo per pochi mesi. E a volte neanche quelle. Eppure le persone preparate ci sono, ma preferiamo lascarle partire”.
Ascolta Giambattista Mele su “Royalties, sviluppo e occupazione”
In una terra, quella lucana, che da sempre vive l’incubo dell’ emigrazione, tutto questo diventa sempre più insopportabile per gli abitanti, che vedono morire i paesi e svendere il proprio territorio. Alla sera guardando la valle dal monte Volturino, per un tratto gli occhi incontrano solo le tenui luci dei paesini in lontananza. A rompere quell’armonia ci pensa il bagliore del gigante d’acciaio, a ricordare a tutti chi adesso è il padrone di quella terra incantata.
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