Le soprintendenze, guardiane a secco

ROMA – Non ce la fanno, dalla Soprintendenza, a controllare che un monumento alla periferia di Roma venga tutelato in un parco. Non c’è personale a sufficienza per vegliare su aree di cantiere così vaste. “In aree così estese – spiega Walter Grossi, archeologo – ci vanno gruppi di archeologi professionisti, ma loro seguono solo lo scavo al momento. Poi, se ci sono aree musealizzate, spetta tutto alla Soprintendenza”. Figurarsi se per andare a visionare gli scavi i soprintendenti devono pagarsi la benzina da soli.

Questo è stato l’ultimo dei tagli inflitti da un’amministrazione che aveva deciso di ignorare i Beni Culturali. Correva l’anno 2010, e proprio in quel momento crollava la casa dei Gladiatori di Pompei. Parallelamente, era stato lanciato l’allarme per i siti “sorvegliati speciali” capitolini: per curare la manutenzione ordinaria – ed evitare un’altra Pompei -dei monumenti più importanti di Roma, tra cui Fori, Palatino e Appia Antica, il costo è stato di 27 milioni nel 2010. Il malato numero uno, il Colosseo, ha invece un budget a parte: 23 milioni per gli interventi che restano da fare.

LA SITUAZIONE A ROMA. La Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, la più “ricca” tra quelle italiane, è quasi al collasso: ha un bilancio di 40 milioni di euro l’anno e aspetta ancora i 19 milioni di euro dei bilanci dal 2009 in poi, bloccati nelle maglie dell’ approvazione ministeriale. Solo per gli interventi d’emergenza a causa del ghiaccio e della neve del febbraio scorso, ha perso 800.000 euro.

Walter Grossi parla di “tutela a macchia di leopardo”. “Ci sono zone – spiega – in cui ci sono dati del Ministero di 600 interventi, in altre solo 3. Non c’è personale, non ci sono fondi. Gli ispettori sono pochi, un po’ anziani e non ce la fanno a coprire le aree più disparate che vengono loro assegnate. Ci sono anche casi curiosi di ispettori che non hanno la patente”.

“La politica delle assunzioni – continua Grossi -non c’è stata. Nel 2009 c’è stato un concorso per archeologi di 30 posti: nessuno nel Lazio, nemmeno uno in Campania. Solo al nord Italia. Dopo il crollo di Pompei ci hanno mandato 14 di questi 30 funzionari, ma ormai era tardi. Negli ultimi anni, poi, è stato proprio il tracollo per i beni culturali, perché fino al 2007-2008 qualcosa funzionava ancora”.

Conferma la situazione il Soprintendente Francesco Di Gennaro: “Bisogna assicurare un futuro migliore a questa amministrazione. Noi, i sessantenni, siamo i “giovani”. Dopo di noi non viene più nessuno. Dagli anni ’70, quando si pensava che ci fossero tanta occupazione e tanta culture, qui dentro, si è andati scemando. L’archeologia interessa sempre di meno”.

LA SITUAZIONE DEL MIBAC. Il Ministero per i Beni e le Attività culturali negli ultimi anni è diventato un poverello cronico. Viene finanziato annualmente dallo Stato e con i fondi deve pagare a sua volta finanziare tutte le soprintendenze e gli istituti pubblici correlati. Con un “vergognoso 0,2% del bilancio dello Stato – spiega Ilaria Borletti Buitoni, presidente del Fondo Italiano Ambiente, intervistata per il crollo di Pompei – dovrebbe tenere in piedi la più faraonica e prestigiosa rete di Beni culturali al mondo. I prepensionamenti voluti dalla legge Brunetta, poi, hanno costretto molti Soprintendenti ad andarsene nel pieno delle loro forze senza che nuove assunzioni consentano l’enorme lavoro necessario”.

I finanziamenti per l’archeologia di 20 anni fa – 250 miliardi di lire in cinque anni con la legge Biasini – non ci sono più, come spiega un approfondimento di Limen Beni Culturali del 2006. Con la legge nazionale per l’archeologia, nel 2001, il Governo decideva di stanziare 17 miliardi di lire il primo anno e 10 miliardi gli anni successivi. Ma nel 2006 erano diventati 4 milioni. Dopo il tracollo degli ultimi due anni – ed emergenze serie come quella di Pompei o del centro storico dell’Aquila –nel 2011 l’ex-ministro Galan ha messo insieme 400 milioni di euro di giacenze di contabilità speciali per interventi straordinari. La finanziaria del 2011 ha anche inserito i beni culturali tra i destinatari del 5 per mille. Un piccolo passo avanti, per una struttura che rischia di scomparire. E assieme a lei, la tutela del territorio.

Un commento to “Le soprintendenze, guardiane a secco”

  1. [...] con i funzionari della Soprintendenza e con l’Associazione nazionale archeologi emerge un quadro allarmante: carenza di personale, funzionari senza senza patente, documentazione di scavo persa negli armadi [...]