Il Parco delle Sabine promesso e mai realizzato
Pubblicato il 19/04/2012
ROMA – Porta di Roma non è un centro commerciale come gli altri. Dopo aver fatto una passeggiata tra i 220 negozi presenti, ci si può sedere comodamente sui bordi di un’enorme teca e rilassarsi. Dentro la teca, un mosaico di epoca romana molto ben conservato. Risale al terzo secolo d.C., come recitava la targhetta scomparsa da qualche tempo, e raffigura dei soggetti marini: murene, pesci, un polpo, una figura che sembra fare surf su un acquario. Il mosaico non è stato trovato proprio in quel luogo: faceva parte di una mansio, o stazione di posta, rinvenuta nelle vicinanze durante gli scavi, in un punto non specificato dalla Soprintendenza. Non si è scelto di conservare l’ambiente che ospitava i mosaici e nemmeno di deviare i lavori: semplicemente, si è reinterrato il resto e si è spostato il mosaico nella galleria.
LA CENTRALITÀ. La tutela del bene è affidata alla Società che gestisce il polo commerciale, la Galleria Commerciale Porta di Roma S.p.a.: ne è azionista di maggioranza la Porta di Roma s.r.l., nata dalla fusione tra la Silvano Toti S.p.a – Holding finanziaria che fa capo al gruppo Toti – e la Parsitalia s.r.l. dell’imprenditore Luca Parnasi. La Porta di Roma s.r.l. è responsabile anche del “Parco delle Sabine”, polo residenziale che assieme al centro commerciale conta più di 2 milioni di metri cubi. E’ la centralità Bufalotta, una mini-città decisa dal Comune ma costruita dai privati. Ce ne sono 18 sparse per la Capitale: alcune sono in costruzione, altre sono ancora in via di progettazione. Nascono con la legge 396/90 per Roma Capitale e sono il punto di partenza del Piano Regolatore Generale approvato definitivamente nel 2008. Nel caso della Bufalotta, alla maggior parte delle cubature destinate ai servizi è stata cambiata destinazione d’uso nel 2007, tramite un accordo di programma con il Comune. Niente ospedale, né ministeri decentrati, pochi uffici, ma solo case “immerse nel verde”.
LE PREESISTENZE. Proprio nel verde, si legge nel progetto preliminare, dovevano trovare posto circa 20 siti archeologici mappati nelle due campagne di scavi che la Società ha svolto: “La conservazione e la valorizzazione delle preesistenze – si legge per ben due volte nel progetto preliminare – fanno parte integrante del progetto: sull’area è stata effettuata un’intensa campagna di scavi archeologici, sotto la direzione della Soprintendenza. I punti principali dell’insediamento ritrovati (ville, acquedotto, ecc..), sono i punti di riferimento del progetto su cui si aprono le piazze e in cui il nuovo grande “Parco delle Sabine” si insinua nell’ abitato”. Un vero e proprio parco archeologico, dunque.
Passeggiando per il parco, però, di reperti nemmeno l’ombra. Caso unico quanto raro, una villa romana proprio all’inizio del parco vero e proprio, lungo via Carmelo Bene, il “boulevard” che taglia a metà il Parco delle Sabine. Dopo anni di abbandono, anch’essa è in fase di reinterro.
LA LORO TUTELA. La Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, interrogata sulla questione, non fa mistero della sorte dei reperti: tutto è stato scavato, catalogato e riseppellito sotto il prato. Lasciare le cose fuori terra ha un costo enorme e, soprattutto in periferia, non ha alcun ritorno. In più, non c’è abbastanza personale per vegliare su cantieri vasti come quelli di una centralità.
Dalle conversazioni con i funzionari della Soprintendenza e con l’Associazione nazionale archeologi emerge un quadro allarmante: carenza di personale, funzionari senza senza patente, documentazione di scavo persa negli armadi della Soprintendenza. Tagli su tagli al Ministero dei beni culturali che stanno sfiancando gli organi a tutela del patrimonio storico del Paese. E risultati sono ben visibili a Pompei.
URGENZA E PREVENZIONE. Su un terreno privato come quello in questione, la tutela dei beni spetta interamente ai costruttori. Sono loro che destinano dei soldi per i saggi preliminari e che devono mantenere quello che si sceglie di conservare. Ma in corso d’opera i soldi finiscono, e a farne le spese sono i settori considerati più “inutili”, come l’archeologia. E’ una tutela d’emergenza, quella praticata nei cantieri: si scava, si trova qualcosa, si bloccano i lavori e si sotterra tutto. Ma gli archeologi sono d’accordo nel dire che bisogna governare il processo di urbanizzazione con le tecniche di archeologia preventiva: indagini non invasive, basate su ricognizioni e letteratura, per mappare il territorio e sapere prima dove poter scavare. Spesso, infatti, lo scavo d’emergenza può danneggiare il bene stesso.
Alla richiesta di spiegazioni su che fine avesse fatto il parco archeologico, la Società non ha fornito risposta. Stessa storia per il Comune, responsabile della pianificazione della centralità Bufalotta in quell’area, che ha espropriato i terreni e li ha rivenduti ai costruttori in questione. Alla domanda se il Comune avesse firmato un accordo di Programma con i costruttori che li svincolasse anche dalla tutela delle preesistenze, né l’Assessore al Patrimonio Lucia Funari e né quello all’urbanistica, Marco Corsini, hanno risposto.
Una tendenza, quella dei nuovi quartieri in cui la memoria storica si va perdendo, destinata a crescere. E con lei anche quella dei cittadini che, spinti dagli affitti troppo alti nel centro storico, si troveranno a comprare casa in una periferia sempre più snaturata e simile a un quartiere-dormitorio. Ma avranno comunque un centro commerciale, e potranno riposarsi su un rudere che un tempo lontano era un pezzo della loro vera città.