Tutti i dati dell’Italia (non) denuclearizzata
ITALIA - Secondo l’ultimo inventario dei rifiuti radioattivi compilato da Ispra, in Italia al momento sarebbero stoccati nei vari depositi temporanei circa 28mila metri cubi di rifiuti radioattivi, di cui oltre 1500 di terza categoria. Anche se la produzione in massa è cessata con lo spegnimento delle centrali nucleari e degli impianti di lavorazione del combustibile, la quantità di rifiuti è andata aumentando di qualche centinaio di metri cubi ogni anno, passando dai 23mila del 1994 ai 27mila del 2007. Ciò è dovuto all’impiego di materie radioattive nell’industria, nella ricerca e nelle attività mediche e diagnostiche, ma anche alle operazioni necessarie al mantenimento in sicurezza degli impianti nucleari e alle azioni di decommissioning. Si tratta di operazioni che comportano la contaminazione di nuovi materiali per essere portate a termine. Solo con lo smantellamento definitivo dei vecchi impianti la produzione di rifiuti radioattivi nel nostro paese finirà del tutto.
Fino all’ultima rilevazione Ispra, la più grande concentrazione di rifiuti radioattivi si trovava nel deposito Nucleco di Casaccia, a Roma, dove erano depositati oltre 6500 metri cubi di materiale. Parliamo di poco meno di un quarto dell’intero inventario italiano. Seguiva l’impianto Itrec in provincia di Matera, che conduceva ricerche sui combustibili nucleari e dove fino a qualche tempo fa erano immagazzinati 64 elementi di uranio irraggiato non riprocessabili. La somma totale dei rifiuti qui stoccati era di 3242 metri cubi. Le opere di bonifica dovrebbero terminare nel 2026. Terzo grande giacimento era l’ex centrale del Garigliano, in provincia di Caserta, con più di 3mila metri cubi di rifiuti. Nella struttura è stato da poco realizzato da Ispra il deposito interno temporaneo, dove saranno stoccati i materiali prodotti dall’attuale decommissiong che dovrebbe terminare nel 2016. In termini di contenuto di radioattività, la concentrazione più elevata era quella registrata nell’impianto Eurex di Saluggia, in sorveglianza speciale da tre anni a causa di anomalie nella conservazione dei materiali radioattivi.
Facendo una somma dei giacimenti di rifiuti radioattivi divisa per regione, è il Lazio a detenere il primato di quantità con più di 8mila metri cubi. Segue il Piemonte con oltre 5mila ed Emilia Romagna e Lombardia, che restano intorno ai 3mila metri cubi. Insieme a questi rifiuti già in territorio italiano andranno aggiunti tutti i quelli che dovranno rientrare dagli impianti esteri, principalmente Francia e Inghilterra. Al momento della chiusura dei nostri impianti, infatti, il combustibile nucleare irraggiato che doveva servire ad alimentarli è stato spedito fuori dai confini per essere riprocessato. Non è detto comunque che ci riprenderemo tutto ciò che è uscito, la Sogin sta lavorando per cercare compromessi più vantaggiosi. Per rendere l’idea, nell’impianto inglese di Sellafield ci sono 6mila metri cubi di futuri rifiuti italiani a media concentrazione che verranno probabilmente scambiati con un volume minore di rifiuti ad alta cocentrazione. Ulteriore aggiunta di volume si avrà in relazione alle varie opere di smantellamento definitivo in territorio nazionale. Sommando tutto, il totale dovrebbe aggirarsi intorno a 100mila metri cubi.
A metà aprile è stato inaugurato il deposito per la conservazione delle scorie radioattive, realizzato da Sogin nell’ex centrale nucleare di Latina. La nuova costruzione ha una capacità di 25mila metri cubi e sarà adibita alla soprattutto ai rifiuti derivanti dallo smantellamento della centrale stessa. Un ulteriore sito di stoccaggio temporaneo in attesa della realizzazione del deposito nazionale. L’iter per l’individuazione delle aree idonee a ospitare questo megazzino generale di rifiuti radioattivi è in elaborazione già da qualche anno, ma le operazioni sembrano essersi velocizzate dopo l’approvazione del decreto legislativo n.45 avvenuta lo scorso marzo, in attuazione della direttiva 2011/70/EURATOM sulla gestione comunitaria. La scadenza per creare un programma nazionale è stata fissata al 31 dicembre 2014 e già da fine maggio l’Ispra potrebbe rendere noti i criteri per la mappatura del territorio nazionale e l’individuazione di una decina di possibili siti. A quel punto sarà aperto un tavolo di trattativa con i territori presi in considerazione.