Le dimissioni del tecnico nucleare: “Dopo Chernobyl ho capito che
contribuire criticamente vuol dire pure sempre collaborare”
“Spettabile Enel, con la presente vi inoltro formale richiesta di non essere più adibito a mansioni inerenti la progettazione, la costruzione o l’esercizio di una centrale nucleare. Questa mia decisione (che intendo rendere pubblica) può forse apparire perentoria, ma al punto in cui è giunte la mia vita lavorative e sociale, mi trovo di fronte a scelte non più rinviabili.
Da sedici anni ormai mi occupo di combustibile nucleare e in tutto questo tempo la mia mansione è stata quella di sorvegliare la fabbricazione: prima per il Garigliano e Latina, poi per Trino e Caorso fino al Cirene e ad Alto Lazio. Per questo mio lavoro, pur se abbastanza insolito, non mi sono sentito però né “esperto” né “scienziato”… (ahimé di questi tempi in Italia gli scienziati si sprecano!). Più semplicemente so di essere un tecnico che, al pari di molti suoi colleghi, si sforza di compiere correttamente un compito specialistico.
Ma come a voi è noto sono anche un antinucleare che da molti anni si batte per modificare le scelte di politica energetica operate dall’Enel. Di qui il dilemma che accompagna il mio lavoro e che oggi sento di dover risolvere per necessità di chiarezza verso me stesso e verso tutti coloro con cui ho diviso l’impegno lavorativo o gli ideali di lotta. Chiarezza a cui del resto ho sempre improntato, pur se da posizioni contrastanti, i miei rapporti con l’Enel e cui intendo tener fede anche in questa difficile scelta.
Dico difficile perché se per anni ho convissuto con questo personale compromesso di agire da antinucleare e lavorare come un diligente nuclearista, è anche perché ho creduto di poter mettere qualcosa in più nel mio lavoro che non fosse strettamente contrattuale: la mia diffidenza, la mia scrupolosità (e perché no, anche la mia passione) nel lavoro su un componente così inequivocabilmente nucleare come il combustibile.
Se tutto ciò non basta più è perché ho capito che, dopo Chernobyl, contribuire criticamente vuol dire pure sempre collaborare, dare credito a quel paradosso secondo cui gli incidenti nucleari sono tecnologicamente impossibili, ma statisticamente probabili; ma soprattutto vuol dire dimenticare e far dimenticare che i pompieri di Chernobyl, accettando una morte orribile, hanno impedito una castrofe ancora più grave.
Anche se razionalmente sono convinto che la “peste nucleare” – sotto certi aspetti – non è peggiore di quella chimica; anche se intuisco che la nube di Chernobyl viene usata per nascondere altre minacce per l’umanità, non intendo più avvallare – neanche con la mia esperienza – scelte tecnologiche che si rivelano sempre più invadenti e opprimenti; non voglio più soggiacere a quel cinismo ingegneristico che considera la vita un “vuoto a perdere”; non posso più accettare il perbenismo culturale di certi scienziati che inviano al Capo dello stato le loro banalità spacciandole per appelli alla ragione.
Si tratta di una ragione che non rispetto e non conosco, perché è una ragione che non pensa al pari della scienza di cui è figlia.
Distinti saluti.
Giorgio Ferrari”