CAGLIARI - La diga dimenticata sembra non avere più ostacoli. C’è una gara d’appalto in dirittura d’arrivo, una azienda sana e ben intenzionata e i soldi pronti. “Contiamo di firmare il contratto con la Astaldi intorno al 30 aprile – spiega l’ingegner Roberto Meloni, direttore generale del Consorzio di bonifica della Sardegna meridionale – e di iniziare i lavori dopo l’estate, magari a settembre”.
Insomma, a 12 anni dall’abbandono dei cantieri da parte della società italo-spagnola formata da Dragados y Fomento construcciones e dalla Grandi Lavori Fincosit Spa, il cantiere per la realizzazione dello sbarramento su Monte Nieddu sta per riprendere vita, almeno stando alle parole del Consorzio di bonifica della Sardegna meridionale.
Un’opera quantomeno sfortunata agli occhi dei vertici dell’ente pubblico. “I lavori procedevano bene – racconta Meloni – in 4 anni tutte le opere più difficili erano state realizzate, la strada, le galleria, la spalla e la base dello sbarramento. A un certo punto l’azienda vincitrice dell’appalto ha avanzato delle riserve economiche considerando poco convenienti alcuni prezzi delle voci di spesa, in particolar modo quelle relative al calcestruzzo. La parte spagnola avrebbe voluto una revisione della spesa, ma in Italia, a differenza della Spagna, la legge Merloni non lo rende possibile”. Per questo motivo, secondo il responsabile del Consorzio, la Ati abbandonò il cantiere nel febbraio 2012 avanzando richiesta di contenzioso arbitrale.
La diga piace e non piace. I comuni interessati, Sarroch, Villa san Pietro e Pula spingono da sempre per la realizzazione. “Nei mesi di luglio e agosto l’insufficienza idrica è ancora una realtà soprattutto per la parte agricola, spiega Meloni.” Il razionamento avviene con orari molto ridotti e limitanti di approvvigionamento. Sono proprio questi i mesi in cui le colture di nicchia hanno maggiori necessità”.
Non la pensano così le associazioni ecologiste come per esempio il Gruppo di intervento giuridico. L’opera ha un forte impatto ambientale e presenta un rapporto costi-benefici per nulla conveniente. Sono queste le loro principali obiezioni. “Il progetto – puntualizza l’ingegnere a capo dell’ente – è stato concepito prima del 1985 e quindi non ha bisogno di valutazione di impatto ambientale, essendo la norma successiva. Nonostante questo abbiamo adottato alcune misure di mitigamento dell’ambiente. Abbiamo dimezzato la viabilità e isolato gli alberi cosiddetti ‘patriarchi’, cioè piante secolari che possono essere considerati ‘capostipiti’ nei rispettivi boschi. Inoltre il livello di invaso è stato determinato in modo tale da non raggiungere le zone di maggior pregio della vallata”.
Roberto Meloni immagina un vero e proprio “parco della diga” con tanto di sentieri, piste ciclabili, e piccole imbarcazioni. Un sogno probabilmente, ma di concreto, secondo Meloni, c’è che tante delle attrazioni naturalistiche che alcuni denunciano sarebbero interessate dall’opera (il canyon di Bidd’e Mora per esempio) si trovano a non meno di un chilometro dal futuro bacino e quindi non sarebbero minimamente intaccate.