Nella sua rubrica su Panorama, Giuliano Ferrara espone (ancora una volta) la sua teoria dell’obiettività: “La verità giornalistica si fonda – scrive – su un canone tutto sommato ipocrita: il potere ha la tendenza a mentire, noi scopriamo i suoi altarini”. La polemica è diretta contro coloro che affermano di “lasciare le loro opinioni fuori dalla porta dell’ufficio”. L’esposizione è chiara e schietta. Ma non convincente. Siamo proprio sicuri che il fine del giornalista sia raccontare la Verità? Non è forse più giusto dire che dobbiamo invece fornire ai lettori gli elementi per cercarla, loro, la verità (con la v minuscola, per carità)? E non è forse la correttezza con cui si offrono questi elementi, senza censure dovute alla cosiddetta opportunità politica, a costituire il nucleo dell’obiettività dei giornalisti? D’altronde il discorso di Ferrara conduce a conclusioni davvero bizzarre: “Ecco perché – dice Ferrara – non me ne importa niente di sapere se il governo Blair ha gonfiato qualche dossier nelle polemiche internazionali precedenti la guerra all’Iraq”. Ma è proprio questo il punto: il fatto che una cosa non ci interessi non ci può impedire di scriverla, se può aiutare i lettori a farsi una loro idea. Magari diversa da quella che abbiamo lasciato fuori dalla porta.(M.)