Riceviamo da una stagista ex allieva e – come si usa dire – volentieri pubblichiamo (correggendo, al solito, gli elementi di riconoscimento esterni):
Sto per finire (domani è l’ultimo giorno) lo stage nella redazione di un dorso locale del Sole 24 Ore. Esperienza strana… sicuramente formativa per la precisione maniacale a ciò che si scrive, il controllo serrato, il supporto indispensabile dei numeri. Ma anche pesante per la scelta dei temi, per la limitatezza degli argomenti, per il supporto dei dati per ogni argomentazione. Sicuramente positiva per il rapporto con i quattro colleghi tutti giovani e ancora assolutamente innamorati di questo lavoro, ma anche “creativa” nello spingermi ogni giorno a trovare fisicamente un posto dove sedermi.
L’ho già fatto presente a scuola: è un’esperienza che va fatta assolutamente dopo il primo anno perché ti può aiutare molto per la verifica delle fonti e il controllo di ciò che si scrive. Al secondo anno è sprecata visto che non si fa poi così tanto desk (almeno qui) e i tempi lunghi di realizzazione fanno perdere un po’ il ritmo della scrittura.
Ora torno all’amata cronaca e all’amata radio e spero francamente di divertirmi un po’ di più. Perché se non ci si diverte, allora, non vale neanche la pena di lavorare.
Molto bene… ma perché l’esperienza di “precisione” deve valere solo il primo anno? E che c’entra il fatto che non si faccia molto desk, non è un vantaggio? Continuate a scrivere e a commentare.