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Il giornalismo anglosassone nell’era dei blog

di    -    Pubblicato il 16/11/2004                 

Pubblico volentieri questa riflessione di Paola a proposito delle lezioni di etica e della separazione fra fatti e opinioni. Credo che sia uno spunto utile per aprire – anche online – una discussione. Buona lettura. (M.)

Il dibattito più acceso in questo momento a scuola riguarda le lezioni sull’etica anglosassone della netta separazione tra fatti e notizie. L’estrema chiarezza e laicità del titolare del corso provoca, nella maggior parte di noi “neofiti”, dei gran mal di pancia. Perché? Beh, perché siamo dei lettori dei giornali italiani, abituati a non distinguere tra fatti riferiti da qualcuno e opinioni contestualmente espresse, e perché, di conseguenza, ci avviciniamo a questa professione con l’intero ed inevitabile portato delle nostre convinzioni individuali.

Fin qui tutto bene, nel senso che non mi “indigna” (poche cose lo fanno, in realtà) il dovermi spogliare di pre-giudizi per fare bene questo lavoro. Certo, ho difficoltà istintive a credere che un embedded possa scrivere un buon pezzo dall’Iraq, ma il Corriere della Sera di oggi in qualche modo mi smentisce (Paul Wood, pag 13, testimonianza a fondo pagina)…..

Tuttavia, e veniamo a noi, cos’è il blog se non il più evidente esempio di quello che un giornalista “anglosassone” non dovrebbe fare? Si, insomma, uno spazio nel quale non solo opero da solo la selezione irrinunciabile delle notizie, ma in cui, sostanzialmente, scrivo solo degli strani ibridi a metà strada tra il commento e la notizia? Cosa c’è di giornalistico, nel senso anglosassone, in questo? Cambiano gli schemi persino dell’unica etica possibile?

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