Le “ossa del drago”
APECCHIO – La scienza ha stabilito che si tratta di vertebre di balena. Per i fedeli invece erano ossa di drago, quello ucciso da San Crescentino il soldato romano divenuto martire. Almeno fino a metà dell’800, si è continuato a pensare che il patrono di Urbino avesse liberato la valle Tiberina dal mostro che ne terrorizzava gli abitanti. I resti sono stati conservati in diverse chiese dell’area e due di questi reperti, due “ossa del drago”, sono ora esposti al museo dei fossili e dei minerali di Apecchio, nella sezione archeologia di palazzo Ubaldini.
Rinvenuti due mesi fa nei sotterranei di una delle case dei conti Ubaldini, sono stati riconosciuti come testimonianze autentiche: “Anche se si tratta di resti fossili, in quanto è stato certificato all’inizio del ‘900 che si tratta di vertebre di balena di almeno 10mila anni fa (Pleistocene superiore) – spiega Leonello Bei, presidente dell’associazione Amici della storia di Apecchio e collaboratore del museo – abbiamo preferito sottolineare il loro valore storico-culturale legato alla tradizione e al folklore del patrono di Urbino e della leggenda che lo accompagna”.
La Storia
Crescentino era un miles (soldato) romano, che convertito al Cristianesimo, si diresse, narra la leggenda, tra il 297 e il 303 a Tifernum Tiberinum (oggi Città di Castello). Là sconfisse il drago, in località Pieve dei Saddi, dove tuttora sono conservate tre costole. Richiamato da Diocleziano a Roma con l’ordine di abiurare la fede cristiana e ritornare nella sua legione, Crescentino non rinnegò il suo Dio e fu martirizzato il 1° giugno del 303, a Pieve dei Saddi, dove fu eretta una piccola chiesa.
Nel 1068 il corpo del santo è stato conteso tra gli abitanti di Urbino e quelli di Città di Castello, dopo che i loro due vescovi, amici, si erano accordati affinché San Crescentino divenisse un santo reliquia per entrambe le città. Il compromesso era: a Urbino il corpo, a Città di Castello la testa. Ma questa soluzione non trovò il consenso dei Castellani, che volevano il santo tutto per loro. Mentre i due eserciti si scontravano, la tradizione vuole che una fitta nebbia piombasse sul campo di battaglia, permettendo agli urbinati di portare via la propria reliquia. Nella sua benevolenza il Santo aveva accontentato le due città.
Ancora nel 1842 il Vescovo Giovanni Muzi, nelle memorie religiose e civili di Città di Castello, continuava a sostenere: “…nulla poi proibisce a credere che fosse un vero e naturale drago quello ucciso da San Crescenziano, di cui si servisse Iddio per punire gli ostinati nel culto idolatrino”.