URBINO – È forse già un’utopia definire la parola stessa. Nel volume intitolato “Utopie”, curato da Lella Mazzoli e dal giornalista Giorgio Zanchini si è provato a recintarne tutte le sfumature possibili nei vari campi del sapere, dalla comunicazione, passando per la linguistica, la letteratura e il teatro.
Perché l’uomo ha bisogno dell’utopia? è la domanda che tutti si pongono in questo volume.
“Si potrebbe pensare a un’oziosa raccolta di saggi, invece ogni intervento ha una lucidità impressionante nel cercare di definire il termine in questione”, spiega Gilberto Santini, direttore dell’Associazione Marchigiana Attività Teatrali, intervenendo alla presentazione del volume ieri alla Montefeltro libri in piazza della Repubblica.
La politica non c’è almeno nella sua forma classica, quella di “partitica”, per usare le parole di Lella Mazzoli. Non c’è un capitolo specifico, spiega Giorgio Zanchini, perché la politica percorre quasi tutti gli interventi, dal saggio “liberista spietato” di Carlo Stagnaro all’utopia nel teatro di Laura Gemini che parla di politica in riferimento a “quell’idea di utopia del teatro dove si fanno i conti con la realtà”.
La multiformità è un altro aspetto della raccolta secondo Zanchini che “si vede anche dal titolo al plurale. Potrebbe sembrare un “patchwork di tanti pezzi messi insieme ma la rete connettiva delle introduzioni rendono l’opera corale e uniforme”.
Secondo Lella Mazzoli un’utopia realizzata rimane utopia e lo rimane nel momento in cui si realizza. Magari poi da lì inizia un’altra tappa, ma si tratta sempre di utopia, basti pensare al sogno di Olivetti. Zanchini non è d’accordo, secondo lui, come spiega Stagnaro nel suo saggio, anche l’utopia di Olivetti sarebbe stata distrutta dalla globalizzazione. Per Laura Gemini, almeno nel teatro, l’utopia è un tendere verso qualcosa. Se si realizza, si rovescia nel distopico (cioé l’antiutopia, l’immaginare una società indesiderabile dove le tendenze peggiori si realizzano e si estremizzano), basta leggere gli autori del ‘900 che ci hanno provato. La tecnologia invece, spiega Giovanni Boccia Artieri, docente di Sociologia della Comunicazione all’Uniurb, garantisce uno stato di possibilità del futuro e offre una funzione più neutrale del concetto di utopia, un’uscita dall’utopismo novecentesco descritto da Marc Bloch.
La soluzione alla domanda sulla definizione di utopia, secondo Zanchini è che è impossibile giungere a qualcosa di definitivo, ed è forse l’unico concetto che accomuna gli autori della raccolta.