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Da Urbino al Bangladesh: la storia di Ezio e dei suoi bambini

di    -    Pubblicato il 5/04/2013                 
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URBINO – Ezio Crescentini ha 120 figli, 120 bambini adottati a distanza che ogni anno lo aspettano in Bangladesh e che, grazie all’associazione Rishilpi, ricevono un’istruzione e pasti caldi. Ezio per 30 anni ha lavorato all’Age, arti grafiche editoriali di Urbino. Ora che è in pensione trascorre due mesi all’anno a Satkhira, a 50 km da Calcutta. Lì aiuta gli “ultimi della terra” come li chiama lui.

“Tutto è iniziato per caso. Io e mia moglie cinque anni fa abbiamo adottato un bambino a distanza, ma era una truffa. Non esisteva nessun bimbo. Poi ho conosciuto l’associazione Rishilpi e ho deciso di andare in Bangladesh per verificare di persona che fine facessero i miei soldi”, racconta Ezio. “Ho passato dei giorni con la mia bambina Ewaparvin che ora ha 13 anni. Ho visto l’estrema povertà di questo Paese, dove essere povero significa valere meno di niente. Non potevo rimanere indifferente. Così ho deciso di dare una mano. Incontro i bambini adottati e faccio video e foto e poi li spedisco ai loro genitori adottivi qui in Italia”.

L’organizzazione Rishilpi, dove rishi significa fuori casta e shilpi artisti, è stata fondata nel 1977 da Laura Melano e Enzo Falcone. Attraverso offerte libere e adozioni a distanza, costruisce scuole e biblioteche. Oggi, aiuta più di 600 bambini nella sede centrale e 5.000 nelle 46 scuole costruite in tutto il Paese. Li segue dall’asilo fino alla scuola media, i genitori invece imparano un mestiere. I maestri sono giovani del posto o ex scolari.

“I piccoli alunni  spesso mi domandano da quale villaggio vengo. Io rispondo ‘Urbino’ e cerco di raccontargli qualcosa della nostra città – continua – loro mi chiamano Library perché grazie ai soldi della vendita dei libri Sos Bangladesh e In cammino verso… forse… no, oltre abbiamo aperto più di una biblioteca, la più grande ha 125 libri e 4 computer”.

In Bangladesh gli ultimi, i fuori casta vivono in baracche di fango fuori dai villaggi. Il valore della vita umana si misura attraverso quello che si possiede. Ma la più grande disgrazia lì è nascere donna. “Jasmin aveva sedici anni e studiava nella nostra scuola” racconta Ezio. “Il padre voleva venderla per una capra. L’abbiamo trovata impiccata a un albero. In tasca aveva un bigliettino: ‘Nessuno è responsabile della mia morte. E’ l’unico atto libero della mia vita’”.

Il volto di Khalimoti, sfigurato dall’acido

Le bambine vengono scambiate come merci. “Sono date in sposa a 12-13 anni e quando restano incinte spesso muoiono insieme ai loro piccoli”, dice Ezio. “La figlia di Khalimoti doveva essere venduta, ma il suo primo fidanzato ha deciso che nessuno la dovesse avere. Ha cercato di bruciarla con l’acido, ma invece della piccola ha colpito la madre. Khalimoti non ha più il naso, l’orecchio ed è quasi cieca. E’ stata abbandonata dal marito e la figlia è stata venduta. Ora vive grazie al sostegno dell’associazione”.

I bambini che nascono con problemi fisici vengono buttati nelle discariche. Sono i volontari dell’organizzazione a raccoglierli e curarli. Il nuovo obiettivo di Ezio è aiutare i disabili: “In tre anni vogliamo donargli stampelle, protesi e carrozzine. Gli cambierebbero la vita. L’associazione già segue 3.000 disabili”, racconta Ezio che non ha alcuna intenzione di fermarsi. E’ tornato a febbraio dal Bangladesh ma già progetta il suo prossimo viaggio. Qui a Urbino ha tre figli grandi, ma i suoi 120 bambini lo stanno già aspettando.

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