Una magnifica storia d’amore nata nella magica Urbino
di Stefano Giungi
Sono nato a Milano per caso. I miei genitori sono nati a Fossombrone, l’antica
Forum Sempronii, e si sono conosciuti in vacanza a Pesaro. Siamo marchigiani da innumerevoli
generazioni, e questo è motivo di orgoglio. Mi sento prima italiano, e poi
marchigiano. Ho frequentato il liceo a Milano, ma quando si è trattato di iscrivermi
all’Università, non ho avuto dubbi, ho scelto Urbino. Perchè Urbino? Perchè nel 65 a
Milano non esisteva la facoltà di Farmacia, così ho preferito Urbino a Pavia.
Trascorrevo da sempre le vacanze a Pesaro, ma non conoscevo la città di Raffaello.
Fu mio padre a condurmi una mattina di agosto. Provai una emozione intensa, inaspettata.
Al culmine della salita apparve la sagoma del Palazzo Ducale con i caratteristici torricini.
Fu amore a prima vista. Compresi perchè film come “La Mandragola” con Totò e
“Una vergine per il principe” fossero stati girati in esterni in questa piccola Urbs, che più
di ogni altra conservava intatto l’aspetto rinascimentale. Avevo frequentato il liceo classico
con l’intenzione di fare l’avvocato. Forse avevo visto troppi telefilm di Perry Mason e
letto troppi romanzi gialli… Ma, come detto, ci pensò mio padre a farmi cambiare idea.
Era titolare di una azienda farmaceutica, figlio di farmacista. Come dargli torto?
Così non solo mi sono iscritto alla facoltà, ma anche al collegio universitario, che
era stato appena inaugurato. Si trovava sul Colle dei Cappuccini, di pascoliana memoria,
e invitava allo studio e alla meditazione, con una vista rasserenante sulle splendide colline
circostanti. Mio padre quando lo vide si mostrò entusiasta, e devo dire che non solo era
suggestivo, ma anche molto confortevole.
Trascorsi lì un breve periodo prima delle vacanze di Natale, poi tornai un poco in
ritardo a causa di una nevicata che aveva bloccato le strade. Ma non mi lamentai. Urbino
coperta di neve è magica, un paesaggio surreale.
Il college era frequentato in maggioranza da ragazze. Rispecchiava la stessa percentuale
degli iscritti alle varie facoltà. Fu una piacevole sorpresa ritrovare l’ambiente
animato e scoprire qualche bella ragazza. Non molte in verità, ma qualcuna era proprio
carina. Magari fidanzata, ma disponibilissima al cambiamento.
Il primo giorno che mi recai a pranzo, notai in un altro tavolo una bambolina che
dimostrava 15-16 anni. Da bravo diciottenne, mi innamorai a prima vista. In realtà aveva
più o meno la mia età, ma la prima impressione mi fece pensare che il college fosse aperto
anche ai liceali. La sottoposi a una corte serrata, con continui inviti che gentilmente rifiutava.
Più mi respingeva, più mi innamoravo…
Un pomeriggio la portai al Furlo con la mia 850 coupè. Pensavo che il Furlo
(furulum-buco in latino) potesse ispirare un poco di tenerezza. E’ un posto romantico,
particolare, con un’acqua verde smeraldo. A quei tempi c’era solo un albergo, più simile
a un rifugio, dove si fermava a desinare e a dormire Benito Mussolini.
Visitammo le stanzette, ma lei si spaventò dallo squallore della camera da letto.
Dopo aver acquistato qualche cartolina ricordo le proposi di salire alla vecchia miniera
abbandonata, dove avremmo potuto scorgere quanto restava del profilo del Duce, fatto
saltare dai partigiani. Accettò. Pensai, del Duce non gliene frega niente, mi sta dando
un’opportunità! Parcheggiai in uno spazio ampio e protetto e le saltai letteralmente addosso.
Mi respinse con fermezza e in modo così gelido che mi smontò all’istante. La
sentivo lontana, distante. A questo punto mi arresi e a nulla servì una gita in compagnia
al Castello di Gradara, galeotto per Paolo e Francesca, ma non per noi.
Arrivò il periodo degli esami e lei si impegnò allo spasimo per ottenere il presalario.
Io pure studiacchiavo e a giugno superai un paio di esamini. I contatti si erano ridotti
alla telefonata mattutina, attraverso il citofono, che regolarmente faceva per svegliarmi.
Non uscivamo più negli ultimi tempi. Mi offrii di accompagnarla a casa, in Ancona, per
le vacanze, ma poi ci ripensai e la accompagnai alla stazione di Pesaro.
Tutto finito? No. Come spesso accade nella vita, quando tutto sembra volatilizzarsi,
accade l’imprevedibile. L’occasione si presentò l’inverno successivo, quando mi
trovavo a Pesaro da un amico per preparare l’esame di chimica generale. Mi telefonò un
amico da Urbino per invitarmi ad una cena a Pesaro con una bella comitiva. Andammo a
cena da Carlo, notissimo ristorante con specialità di pesce.
Poi ci trasferimmo all’Hermitage, un locale a picco sul mare sul colle S.Bartolo.
Talmente a picco che rischiò di sprofondare e dopo qualche anno venne chiuso. Angelo
aveva organizzato un gruppo numeroso e affiatato. C’era anche lei. A cena ci eravamo
scambiati qualche convenevole, niente di più. Una volta nel locale notturno, si sedette
vicino a me e, mentre gli altri ballavano, conversammo amabilmente, come mai in passato.
Dopo un lasso di tempo indefinibile, eravamo stretti al suono de “Il Mondo”. Non ci
saremmo più lasciati.
Scrisse un sensibile giornalista del Corriere della Sera.
“All’Hermitage basta chiudere gli occhi ed è subito l’alba”.