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Il New York Times cede al native advertising, nuova frontiera pubblicitaria sul web

di    -    Pubblicato il 29/05/2013                 

Anche il New York Times si apre al native advertising, una forma pubblicitaria che inserisce contenuti promozionali all’interno di spazi editoriali, ovvero sotto forma e con l’aspetto di articoli giornalistici. La ‘signora in grigio’ lo ha fatto non all’interno del sito o del giornale, ma in un’applicazione per smartphone: ha aggiunto una nuova funzionalità a The Scoop, la sua app editoriale – ovvero alimentata da giornalisti – per trovare bar, caffetterie e ristoranti. La novità si chiama Citi Bike e permette di localizzare in tempo reale la stazione di biciclette più vicina e di conoscerne in anticipo la disponibilità: ma, a differenza delle altre sezioni curate da giornalisti, è una vera e propria inserzione pubblicitaria caratterizzata dalla scritta “sponsored”, sponsorizzato.

Per il New York Times questo è il primo caso di native advertising, una forma pubblicitaria considerata da molti perfetta per i nuovi ambienti digitali perché gli inserzionisti si trovano a pagare per avere un articolo online e non semplice pubblicità. Articolo che inoltre ha molto più valore nell’indicizzazione dei motori di ricerca – e quindi interessa agli sponsor – e può garantire importanti entrate alle aziende editoriali, da anni alle prese con la necessità di monetizzare al meglio il traffico. Il tutto ovviamente con un non secondario aspetto etico e di trasparenza nei confronti del lettore è un tema centrale.

Anche il più antico giornale di Washington, il Washington Post, ha ceduto al native advertising con Brand Connect un programma che permette alle agenzie pubblicitarie di inserire nel sito del quotidiano i loro post, video e infografiche.

Altre testate che hanno deciso di utilizzare la nuova forma pubblicitaria sono il sito web BuzzFeed che ha proposto una collaborazione con i brand per catturare l’attenzione dei lettori e Forbes, il magazine americano di business che ha introdotto BrandVoice un servizio di condivisione di contributi pubblicitari non intrusivi tra editori e inserzionisti chiamato Brand Newsroom con la quale i pubblicitari fanno conoscere i loro commerci.

Il native advertising si è invece rivelato un boomerang per il primo magazine ad averlo utilizzato: The Atlantic che, dopo aver pubblicato un inserzione su Scientology il 14 gennaio 2013, scatenò un forte dibattito al termine del quale dovette ammettere di aver compiuto qualche errore di valutazione per il nuovo metodo di inserzione pubblicitaria.

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Un commento to “Il New York Times cede al native advertising, nuova frontiera pubblicitaria sul web”

  1. Si, la native advertising è sicuramente la pubblicità del futuro: è ovviamente molto più invasiva di quella “tradizionale”, ma per l’azienda è profittevole in quanto riesce a catturare l’attenzione del visitatore e coinvolgerlo. Poi, ovviamente, la pubblicità nativa non è nulla di estremamente innovativo. Esiste da anni in ogni contesto e modalità pubblicitaria: solo che negli ultimi mesi ne stanno parlando tutti. Qui si spiega che cos’è nel dettaglio la pubblicità nativa: http://nativeadvertising.it/cose-la-native-advertising/