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Bye bye Urbino. Ecco chi ha salutato il Montefeltro per trovare l’America

di    -    Pubblicato il 21/02/2014                 
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URBINO – Siamo abituati a considerare Urbino come una meta, una destinazione. Ma se da un lato sono tantissimi coloro che ogni anno ne fanno il capolinea del proprio viaggio, dall’altro c’è anche chi da qui ha deciso di partire, di fare le valigie per iniziare un nuovo percorso. Sono pochi, a dire il vero, e trovarne qualcuno è stato più difficile del previsto. Ma Franco Antonelli, Giacomo Magnanelli e Alessandro Carloni hanno in comune proprio questo. Tutti e tre sono urbinati e tutti e tre, un po’ per scelta e un po’ per caso, hanno deciso di lasciare Urbino per prendere il largo. Sono partiti da giovani e nessuno di loro è più tornato, segno che la loro scommessa di lasciare il Montefeltro per l’estero non era poi un stravagante “follia”. Lavoro, amore e successo. Tutti e tre hanno insomma ottenuto ciò che cercavano e che qui, per un motivo o per un altro, non avevano trovato.

SVIZZERO PER CASO

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Aveva a malapena 18 anni Franco Antonelli quando salutò Urbino alla volta di Ginevra. Si ricorda perfino il giorno esatto: “Era il 18 febbraio 1962. Quel viaggio nacque per puro caso – afferma – perché non avevo in programma di lasciare Urbino”. A quei tempi era un giovane vetraio, professione affinata da tre anni di apprendistato in una ditta di Urbino che adesso non esiste neanche più. “Mi ricordo come se fosse ieri – precisa – che mentre lavoravo arrivò un signore che, in un italiano stentato, mi offrì di andare a lavorare a Ginevra. Perché no, pensai, in fin dei conti erano molti gli italiani che a quel tempo andavano in Svizzera a lavorare.”

Convinto di dover affrontare il servizio militare l’anno successivo, Franco partì. Era certo che la sua esperienza all’estero sarebbe durata al massimo un anno. Ne sono passati 52. Nell’arco di questo mezzo secolo Franco è vissuto a Ginevra, dove si è sposato e dove 47 anni fa è nato suo figlio. E nonostante sia trascorso mezzo secolo, sono in molti nella provincia a ricordarsi di lui. Merito del suo lungo impegno per l’integrazione dei cittadini marchigiani emigrati e del suo ruolo nell’Associazione Marchigiani in Svizzera, di cui è presidente da oltre 30 anni. Con più di tremila fra pesaresi e urbinati, la Svizzera è la nazione col più alto numero di cittadini provenienti dalla provincia di Pesaro e Urbino.

Nonostante il successo e la felicità, duri da trovare per qualsiasi emigrante, Franco non ha dimenticato le sue origini marchigiane. Anzi. Le sue iniziative, rivolte a tutti gli italiani che si sono trasferiti in terra elvetica, hanno portato nel 2006 alla sua nomina a “Cavaliere della stella della solidarietà italiana” da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, un’onorificenza prestigiosa rivolta ai migliori italiani all’estero.

A 70 anni, insomma, Franco ha raggiunto traguardi e successi che difficilmente quel 18 febbraio del 1962 avrebbe pronosticato. “Adesso che sono in pensione – confessa – mi potrò finalmente concedere qualche viaggio con mia moglie. Mi piacerebbe tornare nelle Marche a trovare qualche vecchio amico”. Si dice che chi parte sa da cosa fugge ma non sa che cosa cerca. Mai proverbio si rivelò più azzeccato.

URBINO – NEW YORK SOLO ANDATA
Giacomo magnanelli Da Urbino a New York il passo non è poi così breve. Ma se la tua camera è tappezzata di poster e bandiere degli Stati Uniti e il chiodo fisso è quello di scoprire la Grande Mela, la distanza non costituisce un problema. Così, 7 anni fa, Giacomo Magnanelli ha deciso di fare le valigie e di mettersi a  rincorrere quel sogno. “Vado ad imparare la lingua” aveva detto ai suoi genitori, conscio che quella era la scusa più ricorrente per giustificare una bella vacanza all’estero. Fu un mese intenso a New York, trascorso da studente al mattino e da turista per il resto della giornata. Ma quelle giornate passate a girovagare da solo per le strade della Grande Mela si sono rivelate determinanti, perché in quei giorni sono maturate molte delle scelte che gli avrebbero cambiato il futuro.

Una volta tornato a Urbino, infatti, lascia l’università, iniziata l’anno prima senza troppe pretese, e si mette a lavorare col padre con la testa, però, sempre rivolta a quella città, a quel mese a stelle e strisce. Così, giorno dopo giorno, la voglia di mollare tutto e partire di nuovo aumenta. Fino a quando un giorno non si presenta l’occasione giusta.  “Mio zio, responsabile di un’azienda pesarese, mi disse che un suo cliente di New York aveva bisogno di un dipendente”. La possibilità di volare di nuovo dall’altra parte dell’oceano inizia a farsi sempre più concreta, finchè, sbrigate le pratiche burocratiche per il visto, non si presenta il giorno della partenza.

Non è semplice abbandonare Urbino, la famiglia e gli amici in un colpo solo, ma Giacomo è ormai pronto a lasciarsi alle spalle ogni cosa.  “Alla fine – confessa – ho salutato tutti e sono partito. Appena arrivato, andai ad abitare a 50 chilometri dal mio futuro ufficio, in un paesino chiamato Hampton Bays. Non conoscevo nessuno e il mio inglese era davvero pessimo”. A 23 anni ambientarsi si rivela più complicato del previsto, ma Giacomo è un ragazzo determinato e col tempo supera tutti gli ostacoli che gli si presentano lungo il percorso. “I primi tempi non è stato affatto semplice – ammette – mi lamentavo spesso con i miei genitori, ma non ho mai pensato di tornare in Italia”. Sono passati 5 anni e Giacomo è ancora lì. Si è sposato, ha cambiato casa e lavora per un’azienda più grande. Adesso vive a Lynbrook, a due passi da Manhattan dove fa il project manager per la Boffi Soho, un’azienda italiana che produce cucine. Sono cambiate tante cose nel frattempo, l’inglese è migliorato e lo stipendio pure. E insieme agli amici, sono aumentate anche le certezze: “ Gli Stati Uniti non sono solo il luogo dove voglio vivere – ammette – ma è anche il luogo dove crescerò i miei figli”. Quando si dice trovare l’America.

IN GIRO PER IL MONDO A COLPI DI MATITA

Alessandro Carloni

Alessandro Carloni

Alessandro Carloni è un cervello in fuga. Ha cominciato a fuggire ancora prima di diventare maggiorenne. Dopo un’infanzia trascorsa a Urbino a mangiare pane e fumetti, a 17 anni inizia a spostarsi in giro per l’Europa. Prima in Germania, poi Svizzera, Francia e Inghilterra con una matita in tasca. A Milano, mentre frequentava l’università, si guadagnava da vivere facendo illustrazioni per piccoli racconti. Ma la sua vera passione era inventare storie e così, unendo le due cose, inizia a specializzarsi nell’animazione. Fino a quando nel 2001 non arriva la svolta. Insieme ad un amico dirige i sette minuti di “The Shark and the Piano”, cortometraggio che ottiene premi in tutto il mondo e incuriosisce perfino la Dreamworks. La casa di produzione americana non ci pensa un attimo e decide di assumerlo.

Da allora Alessandro vive a Los Angeles e la sua carriera non ha conosciuto pause. Negli studios californiani ha lavorato ai progetti più importanti: da animatore del personaggio principale di “Sinbad leggenda dei sette mari” a supervisore dell’animazione per “Kung Fu Panda” nominato all’Oscar. Dopo tanti anni di gavetta passati a ricoprire i ruoli più disparati, quest’anno arriverà anche il suo debutto da regista nel lungometraggio animato “Me and my Shadow”. “Il nuovo progetto della DreamWorks – rivela – sarà una pellicola pionieristica che unirà l’animazione tradizionale e quella al computer”.

Una nuova sfida che non lo preoccupa affatto perché “dopo aver fatto il direttore d’animazione, lo scultore e il supervisore degli effetti speciali, finalmente ho l’occasione di dimostrare le mie capacità di regista”. Da Urbino a Hollywood il percorso è stato lungo e, sebbene non esistano segreti per il successo, lui è certo di averne uno: “Devi essere un sognatore. E non arrenderti mai”.

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