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Quattro, il numero perfetto del giornalismo narrativo: la scommessa di Latterly

di    -    Pubblicato il 2/02/2015                 
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latterlyURBINO – Il numero perfetto non è più il tre, ma il quattro. Quattro: la chiave del giornalismo narrativo secondo Latterly. Quattro, come le storie che il magazine offre ogni mese ai suoi lettori. “Perché proprio quattro? Perché questo è quello che la gente riesce realmente a leggere”.

Ben Wolford e Christina Ascencio hanno scommesso su questo numero per creare una rivista online che potesse emergere dalla massa di pubblicazioni online ancora in cerca del giusto modello di business. Sito che basa la propria sopravvivenza su altre due cifre: 3 e 8. Tre sono i dollari necessari per fruire dei contenuti di Latterly per un mese, otto per un’iscrizione trimestrale. Ma c’è anche un altro modo per poter accedere al magazine. Ben e Christina avevano lanciato un’inserzione su Kickstarter.com (piattaforma online di raccolta fondi) per finanziare il loro progetto e, donando almeno 10 dollari, si avrebbe avuto diritto a un’iscrizione di un mese.

L’inserzione su Kickstarter, lanciata il 18 novembre contemporaneamente all’apertura del sito, è stata un successo e la raccolta fondi è andata ben oltre l’obiettivo, fissato a 9.835 dollari, raggiungendone 12.475. Successo che, però, non è stato replicato in fatto di iscrizioni al sito, circa 230: “Grazie ai soldi raccolti con Kickstarter potremo pubblicare senza problemi fino ad aprile – racconta Wolford – tuttavia abbiamo avuto meno iscritti di quanto pensassi e questo ci permette di estendere le nostre certezze solamente fino a giugno. È strano pensare che diverse persone che hanno partecipato alla campagna di donazione non si siano nemmeno iscritte al sito, per altro avendo diritto a un mese gratis”.

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La storia di gennaio di Latterly pubblicata su Newsweek nel giorno della memoria

Per superare la prova del fuoco di luglio, Wolford ammette di aver già pensato ad alcune soluzioni: “Ci stiamo lavorando: una di queste è ricorrere nuovamente a Kickstarter. Abbiamo provato anche a pubblicare una delle nostre storie su un altro magazine, questo mese, realizzando un servizio in collaborazione con Newsweek per raggiungere un pubblico più vasto. Pur non avendo avuto il successo sperato (solo due sono stati i nuovi iscritti, n.d.r.) non è detta che non riproveremo quest’esperimento”.

Ma in cosa Latterly si distingue dalle numerose altre startup che affollano il campo del giornalismo narrativo? Sicuramente Ben e Christina dispongono di un budget molto più risicato di Jill Abramson, ex direttore del New York Times, e Steven Brill, imprenditore nel campo dei media, prossimi alla fondazione di una rivista che pagherà 100.000 dollari per ogni inchiesta realizzata che sia più lunga di un pezzo da magazine, ma più corto di un libro. “La cifra a nostra disposizione per ogni pubblicazione mensile è di 2400 dollari – afferma, invece, Wolford – anche se vorrei pagare molto di più giornalisti e fotografi che svolgono un lavoro eccezionale. Purtroppo ho anche dovuto rifiutare alcune storie molto belle per via della parcella troppo alta di chi le aveva realizzate”. Lo stesso numero di racconti pubblicati mensilmente è una caratteristica propria di Latterly che ne pubblica, per esempio, la metà di quanto facesse un’importante rivista online come The Magazine prima di chiudere i battenti, lo scorso dicembre, a causa del crollo del numero di iscritti.

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La copertina della pubblicazione di gennaio

Latterly si diversifica da pubblicazioni come Eater, Compass Cultura o The Atavist - che affrontano solamente argomenti di un campo specifico – pubblicando ogni storia che lo meriti. Così, per esempio, nel numero di gennaio possiamo leggere di un uomo che scopre di non essere l’unico nipote di suo nonno, il “Vecchio carpentiere”, ma anche di un neonazista polacco che scopre di essere ebreo per discendenza e abbraccia le abitudini dei suoi avi, di un becchino di Kabul che seppellisce sia gli attentatori dinamitardi che le loro vittime, ma anche di una città turca che si appresta a ricevere 100.000 profughi.

Ma Latterly è più di una semplice rivista. Per aumentarne l’offerta Wolford ha deciso di creare una comunità interna che coinvolgesse anche i lettori e in cui vengono introdotte le novità del sito, si cercano idee e, periodicamente, i fondatori mostrano come hanno utilizzato i soldi ottenuti tramite Kickstarter e iscrizioni. Un elemento che non si può riscontrare altrove. “Siamo una comunità di allievi e narratori e voi ora ne siete parte. La parte più importante – recita l’introduzione alla pubblicazione di gennaio – le sole persone più potenti di coloro che raccontano storie sono quelle che le ascoltano”.

Latterly è dotato di uno stile sobrio ed elegante e questo è possibile grazie soprattutto alla scelta dei suoi fondatori di non includere inserzioni pubblicitarie, né elementi grafici in movimento nella struttura. Entrando nel sito il lettore si immerge in un atmosfera surreale, in cui spazio e tempo vengono trascesi, e il bianco della pagina è riempito solo dal ‘piombo’ delle parole e da alcune immagini altamente evocative. “Siamo abituati a vedere siti pieni di pubbliciità – dice Wolford – io, invece, ho voluto eliminare ogni elemento di distrazione: ci sono solo il lettore e l’articolo”.

L’idea del sito è nata nel giugno 2014, quando Ben e Christina si sono trasferiti dagli Stati Uniti al Sud Est asiatico dopo essersi sposati. Wolford racconta che la coppia ha deciso tentare quest’avventura dopo aver notato altre pubblicazioni simili online: “Volevamo capire se fosse veramente possibile realizzare un mensile di giornalismo narrativo pur non avendo forti sponsor alle spalle”. La loro intenzione era quella di creare un magazine, privarlo di tutti gli elementi frivoli da copertina che catturano l’attenzione, e portare in prima (e unica) pagina ciò che le persone, in realtà, cercano: le tre/quattro storie in fondo alla rivista. “Nelle pubblicazioni tradizionali c’è molto da cercare per trovare una buona storia, noi volevamo rendere questa ricerca più semplice”.

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Ben e Christina

Dopo cinque mesi di gestazione, il sito ha finalmente visto la luce e i primi pezzi non hanno tardato ad arrivare: “È incredibile – racconta entusiasta il suo fondatore – ho creato la struttura del sito e dopo soli tre giorni un giornalista mi ha contattato: avevo già la prima storia”. I racconti che Latterly ospita sono raggruppati per issues, pubblicazioni. Queste non rappresentano una forma di ordinazione per argomento ma una mera organizzazione temporale: ogni articolo, infatti, racconta una storia a sé e, semplicemente, viene pubblicato accanto ad altre narrazioni quando arriva tra le mani dell’editore.

Nonostante i tempi difficili con cui Latterly dovrà confrontarsi in estate, i suoi fondatori non si danno per vinti: “Nonostante il numero di iscritti non sia cresciuto come il boom dell’inserzione su Kickstarter facesse presagire, proveremo in ogni modo ad andare avanti, superando anche luglio”. Tuttavia, guardando dietro di sé per analizzare questi primi mesi di vita della propria creatura, Ben lo fa con il sorriso sul volto, con la consapevolezza di chi sa di aver già vinto un’ardua sfida: “Sapevamo che aprire Latterly sarebbe stato un rischio, è difficile emergere in un mercato così affollato. Tuttavia, l’aver capito che un progetto del genere è davvero realizzabile, per noi costituisce già un successo”.

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