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No Expo, il racconto di due studenti di Urbino: “Si parla solo delle violenze, ignorate le nostre ragioni”

di    -    Pubblicato il 5/05/2015                 
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URBINO – C’erano anche degli studenti di Urbino alla manifestazione No Expo del primo maggio a Milano. Erano 54 in tutto, compresi i ragazzi che sono saliti sul pullman a Bologna.

Uno studente di Urbino era in coda al corteo, la parte dove generalmente avvengono gli scontri, e ha vissuto i disordini di Milano da vicino. Lo studente – che ci ha chiesto l’anonimato – ci ha raccontato cosa succede negli attimi precedenti agli scontri. Questo, secondo lui, è il momento più delicato: “Ci si raggruppa, vengono accesi dei fumogeni per nascondersi e in quel momento ognuno copre viso, capelli, eventuali tatuaggi o lacci di scarpe colorati. Milano è piena di telecamere. Bisogna stare attenti ad ogni dettaglio”. Ma il rischio di essere fermati resta comunque. “Tutti, anche chi non danneggia nulla, rischia, ma si rischia per un ideale comune e questo crea molta solidarietà”.

A Milano, venerdì scorso, i poliziotti avevano l’ordine di non caricare, per evitare di ripetere dinamiche simili a quelle avvenute a Genova nel 2001. Così gli agenti hanno risposto ai disordini dei No Expo lanciando lacrimogeni e usando gli idranti. Hanno compiuto alcune cariche di alleggerimento, evitando però di coinvolgere il resto del corteo. In questo modo, si sono limitati molto gli scontri corpo a corpo tra poliziotti e manifestanti, che sono strati costretti a restare all’interno di un percorso stabilito e non hanno potuto disperdersi nelle vie del centro. “Del tragitto della manifestazione – racconta lo studente – noi, come gli organizzatori, conoscevamo solo la partenza e l’arrivo. Abbiamo percorso i grandi viali di Milano, le traverse laterali erano presidiate o recintate. I negozi erano tutti chiusi, come ovunque il primo maggio”.

Decine di auto incendiate, soprattutto di grossa cilindrata, vetrine di pasticcerie e parrucchieri rotte o imbrattate, Milano conta ancora i danni. Ma, racconta lo studente, non è stata una devastazione cieca: “Sono stati colpiti simboli ben precisi. Sono stati presi di mira Suv, non Cinquecento. È stata rotta la vetrina di una banca e non l’ortofrutticolo di quartiere. Con questo non cerco di giustificare, per me il dissenso in genere deve essere pacifico, ma a volte in questi contesti si può e si deve arrivare allo scontro”.

A Milano c’era un’altra studentessa di Urbino. All’interno del corteo era nello “spezzone di sostegno”, poco prima della coda. Non ha assistito agli scontri, ma quando la polizia ha cominciato a lanciare lacrimogeni, anche se era distante, il fumo le è arrivato negli occhi. “I disordini sono iniziati solo durante la seconda parte della manifestazione, nelle prime ore del corteo tutto si è svolto tranquillamente con cori, musica, striscioni”.

“Era una bella giornata, ed era pieno di persone di ogni tipo, da tutta Italia e dall’estero – racconta la studentessa – in testa al corteo c’erano le famiglie con i bambini, gli anziani, poi gli studenti, i militanti. Abbiamo parlato con persone che tutto l’anno seguono problemi legati all’occupazione o che lavorano nel campo dell’agricoltura, dell’artigianato, ma in modi alternativi, sostenibili e a basso consumo, forme che a Expo non trovano spazio”.

Per questa studentessa ‘No Expo’ è questo: oltre 20mila persone che si riuniscono, sfilano insieme in corteo per le vie di Milano e dicono ‘no’ a un sistema che contestano: lavoro sottopagato, sprechi, modelli di sviluppo basati sullo sfruttamento delle risorse.

E i disordini? “Quando qualcuno manifesta viene additato come violento. Si dimenticano le rivendicazioni e si guardano i danni, ma senza cercare di capire da dove viene questa violenza e come porgli rimedio” osserva la studentessa. Lo studente annuisce e aggiunge: “Al contrario, sembra che la gente la voglia vedere questa violenza, i video dei danni a Milano attraggono molto di più rispetto a un articolo che spieghi le ragioni dei ‘No Expo’. Cioè le ragioni per cui eravamo a Milano venerdì scorso”.

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