L’inferno nel Cara di Mineo: “Qui rischiamo di impazzire”


Pubblicato il 10/04/2014                          
Tag: , , , , , ,

La prima volta che Hassan (nome di fantasia) è arrivato al Cara di Mineo era felice. Non poteva non esserlo. Partito dal Mali, dopo un viaggio disumano, finalmente era arrivato a destinazione. In quelle distesa di villette tutte uguali, lasciate nel 2011 dagli americani in servizio alla base di Sigonella, si sentiva quasi al sicuro. Non immaginava che per 11 mesi sarebbe rimasto bloccato lì.  Passato dall’inferno al limbo. “Qui rischiamo di diventare pazzi. Viviamo come schiavi ma non possiamo dire alla gente che siamo schiavi. Se tieni il tuo cane chiuso per 11 mesi, cosa ti farà dopo?”, racconta in un luogo lontano dal Cara, perché teme che gli operatori del centro possano vederlo. Secondo la legge sarebbe dovuto restare nella struttura, la più grande d’Europa, solo 35 giorni, il tempo di essere identificato e ascoltato dalla Commissione che concede lo status di rifugiato.

La vita nel Cara. Nel Cara di Mineo, in provincia di Catania, attualmente ci sono 4.000 persone. La capienza massima è di 2000 posti. Così donne, uomini e bambini restano lì anche per due anni, in attesa dei documenti. Il centro dista da Mineo 20 chilometri e i collegamenti sono quasi inesistenti. Intorno c’è il vuoto: una distesa di campagna, interrotta dalle macchine parcheggiate degli operatori che lavorano lì, 360 persone in tutto. Il Cara è la prima azienda della provincia.

I tempi lunghi della Commissione non sono l’unico problema. Dentro vi sono più di 50 nazionalità, organizzate in clan. I capi gestiscono la vita: decidono dove sistemare i nuovi arrivati, dettano legge. Per gli operatori, del resto, controllare le 403 villette del residence è quasi impossibile. Così, le donne sole al mattino escono dal Cara sotto lo sguardo dei militari armati che presiedono l’uscita e vengono caricate da alcuni uomini in auto. Tornano la sera.

A dicembre un articolo di Repubblica, denunciava un giro di prostituzione in cui sarebbe coinvolto anche il personale del centro. La Comunità di Sant’Egidio, di cui fanno parte gli operatori ha smentito tutto, ma intanto la procura di Caltagirone ha aperto un’indagine. Le indagini sono in corso e il Procuratore Francesco Giuseppe Puleio non ha voluto rispondere alle nostre domande.

Nel Cara sono frequenti le risse e i suicidi, l’ultimo a dicembre di un ragazzo siriano. Periodicamente i richiedenti asilo bloccano la strada Catania-Gela per denunciare i tempi troppo lunghi della Commissione, il pocket money di 2,50 euro pagato in sigarette e ricariche telefoniche, file interminabili per prendere il cibo in mensa, un’assistenza sanitaria inadeguata. Hussein (nome di fantasia) ci mostra una foto sul cellulare: è la sua faccia bruciata a causa di una vampata di fuoco dal fornellino a gas della sua stanza. Ha aspettato ore prima di essere curato.

Patrizia Maiorana, dell’Arci di Messina, racconta che molti migranti di Mineo arrivano a Messina per chiedere l’elemosina. Al rientro nel Cara però danno parte dei soldi agli operatori. “E’ una specie di pizzo”, afferma.

La gestione del Cara.  Il Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo è stato aperto nel 2011, durante la cosiddetta “emergenza Nord Africa”. Le villette lasciate dai militari americani della base di Sigonella e di proprietà della ditta Pizzarotti di Parma furono requisite al costo di 6 milioni di euro annui. Lo stato d’emergenza che ha portato all’apertura del centro non ha permesso di fare alcuna gara d’appalto.

Fino al dicembre 2012 il soggetto attuatore è stato il presidente della Provincia di Catania Giuseppe Castiglione, ex Pdl. A febbraio 2013, si è costituito un consorzio tra i Comuni del Calatino, denominato “Calatino Terra di Accoglienza” che ha preso in gestione il Cara. Ne fanno parte la cooperativa Sisifo, aderente a Legacoop,  Senis hospes, la Cascina Global Service, la Croce Rossa, la Pizzarotti e la Casa Solidale. Per ogni migrante lo Stato paga 34,60 euro per un totale di 138.400 euro al giorno, 50 milioni di euro all’anno.

Hassan ha paura di impazzire nel Cara di Mineo. Passeggia avanti e indietro nel Villaggio della Solidarietà, come è chiamato il centro. Da 11 mesi è nel nostro Paese ma non conosce ancora l’italiano, non è mai uscito da Mineo. Deve mandare i soldi alla sua famiglia ma non può lavorare. Ogni giorno spera di essere chiamato dalla Commissione, prega di non passare altri 12 mesi segregato nel Cara ad aspettare di prendere in mano la sua vita.

I commenti sono chiusi