Basso Chienti: il “riscatto dai veleni” che non è mai arrivato

di Mauro Torresi

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Vene di solventi chimici che scorrono sottoterra, da più di 20 anni. Residui di lavorazione delle calzature sversati abusivamente, penetrati fino alle falde e lì in parte rimasti, nell’attesa di una bonifica che non è ancora arrivata. E’ la situazione del basso bacino del Chienti, 26 chilometri quadrati, ex sito di interesse nazionale tra le province di Macerata e Fermo. La vicenda inizia nel 1992, quando dalle analisi dei pozzi dell’acquedotto di Civitanova Marche si scoprono livelli allarmanti di tricloroetano, solvente utilizzato per sgrassare i fondi delle scarpe. Il problema si allarga anche ai comuni di Montecosaro, Morrovalle, Sant’Elpidio a Mare e Porto Sant’Elpidio. In tribunale finiscono nove titolari di imprese accusate del fenomeno inquinante che patteggiano. Con il tempo, cambiano i processi produttivi così come i solventi utilizzati. Nel 2008, nelle acque di falda analizzate dall’Arpam è il tetracloroetilene il solvente più presente in quantità superiori ai limiti. E la salute? Lo studio epidemiologico Sentieri ipotizza un collegamento tra solventi alogenati e malattie dell’apparato urinario. Ma per essere sicuri del rapporto causa-effetto, è necessario uno studio epidemiologico ad hoc che, spiegano dall’Arpam, i comuni non hanno richiesto. Da quel 1992, ancora impresso nella mente dei cittadini, si è provato più volte a realizzare progetti di bonifica, ma i tentativi non sono andati a buon fine. Nulla di fatto anche in Parlamento, dove è stata presentata, senza successo, una serie di emendamenti all’ultima legge di stabilità per poter disporre di fondi da destinare alla decontaminazione. Oggi, nel 2016, l’attesa è per la pronuncia della commissione parlamentare d’inchiesta che si sta occupando di questo lungo problema senza risposta.

Questo servizio è un Progetto di fine corso per il biennio 2014-2016 dell’Istituto per la Formazione al giornalismo di Urbino (IFG), pubblicato il 18 marzo 2016