Nel mondo delle start-up di Lisbona, la capitale tech dell’Europa del sud dove si scommette sul futuro

di ANTONELLA SCARCELLA

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Lisbona vista dal miradouro di Santa Caterina, Bairro Alto

Mettere piede in una start-up è come andare a casa di qualcuno. La porta è quasi sempre aperta e all’ingresso c’è chi fa a gara per offrirti un caffè. O una ginjinha. Dipende da che ore sono. Il tipico liquore all’amarena portoghese non manca mai negli scaffali di una start-up di Lisbona. La cucina è un po’ il centro della casa, il posto in cui tutti si ritrovano per chiacchierare e mangiare un boccone. Se non fosse per le scrivanie, i computer, le lavagne e i tavoli delle riunioni non sembrerebbe neanche un posto di lavoro. Qui, spesso, i capi hanno meno di trent’anni e i loro colleghi sono più giovani. O al massimo coetanei.


I NUMERI DEL REPORTUNIPLACESUNBABELLANDING.JOBSL’UNIVERSITÀ NOVA L’OPINIONE ITALIANASTARTUP LISBOA


Da qualche anno in Portogallo, e in particolare nella capitale, si è creato un clima favorevole agli investimenti e alla nuova imprenditoria. L’ecosistema delle start-up è in forte espansione e da quando Paddy Cosgrove, il fondatore del Web Summit, il più importante evento di tecnologia al mondo, ha deciso di trasferire la conferenza da Dublino a Lisbona, nella città lusitana nessuno sta più nella pelle. “Noi ce ne siamo già innamorati. Ora tocca a voi”, si legge dalla nuova pagina del sito del Web Summit dedicata a Lisbona.

Per gli esperti del settore non è una novità: la capitale portoghese già nel 2015 era stata premiata dal Comitato delle regioni europeo a “European entrepreneurial region”, regione europea dell’impresa, per aver fatto di se stessa uno snodo economico importante sfruttando la posizione di confine con l’Atlantico. Il titolo di ‘città delle Start-up’ Lisbona lo ha meritato per il proliferare di eventi, organizzazioni e programmi che stimolano l’economia e l’innovazione.

A confermare il ‘boom’ portoghese arriva poi, a novembre 2015, uno studio della Startup Europe Partnership, la prima piattaforma della Commissione Europea dedicata a questo settore che fa da intermediaria tra start-up e investitori puntando alla loro crescita e aiutandole concretamente. Come si legge dal report, il mercato portoghese è giovane ma cresce bene e velocemente; uno sviluppo notevole se comparato alla piccola economia del paese.

IL RISVEGLIO DI LISBONA

Per fare una start-up ci vuole innanzitutto un’idea. Poi la voglia di realizzarla, quindi ambizione e perseveranza. Infine, il posto giusto dove lanciarla. Lisbona è uno di questi per un’insieme di fattori. La qualità della vita è alta e i costi sono contenuti. Non a caso nel settore delle start-up la chiamano ‘La nuova Berlino’: è come la capitale tedesca 5 anni fa, ma con il clima del sud Europa. Con uno stipendio da start- up, che in media non supera i 1.000 euro, si vive bene. E poi c’è il sole, si mangia bene e si spende poco.

Cliché a parte, A Luz de Lisboa, la luce di Lisbona, sta conquistando sempre più persone. A fine giugno sbarcheranno sulle rive del Tejo, il fiume-mare lisbonese, Second Home e Impact Hub: due importanti realtà londinesi del settore riconosciute a livello mondiale.

L’aria internazionale a Lisbona si respira subito. E pesa in positivo sulla bilancia degli investitori. È una città meticcia, ospitale, dove da sempre convivono persone di diversi continenti. Una città multietnica dove gli immigrati delle ex colonie portoghesi sono ben accolti e dove, tutti, inoltre, parlano bene l’inglese. La città delle moltitudini: è ancora così Lisbona, come la descriveva uno dei suoi più grandi scrittori, Fernando Pessoa.

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Lisbona vista dal miradouro de Santa Luzia
È disteso su sette colli, altrettanti luoghi da cui godere esaltanti panorami, il vasto, irregolare e multicolore insieme di case che costituisce Lisbona. Per il viaggiatore che arriva dal mare, Lisbona, anche da lontano, si erge come un'affascinante visione di sogno, contro l'azzurro vivo del cielo che il sole colora del suo oro. E le cupole, i monumenti, i vecchi castelli si stagliano sopra il turbinio di case, come araldi lontani di questo luogo delizioso, di questa regione fortunata. Ferdando Pessoa

Le infrastrutture sono buone: c’è una connessione internet anche nelle zone più isolate, ci sono decine di incubatori per le imprese, risorse umane eccellenti, burocrazia snella e agevolazioni fiscali. Con il programma Empresa na Hora, ad esempio, chiunque può creare un’impresa in mezz’ora compilando un unico modulo. Al costo di 360 euro. C’è una lista di nomi da scegliere, si scrive una ragione sociale così si ottiene un numero fiscale e lo statuto. Per tre anni non ci sono tasse da pagare, ma solo 130 euro al mese per le spese e un’assicurazione. Un’iniziativa di modernizzazione amministrativa in crescita: in tutto il Portogallo gli sportelli di Empresa na Hora sono 214.

I NUMERI

La ricerca fatta sul Portogallo a novembre 2015 da Startup Europe Partnership, Microsoft e Avitar Portugal Startup ha identificato 40 scale-up: sono start-up che hanno già attirato capitali per oltre un milione di dollari; altre 24  sono state in grado di assicurarsi fondi tra un milione e 500mila dollari e 9 sono le cosiddette exit, cioè le società acquisite da aziende straniere più grandi. Il 67% degli acquirenti è statunitense, come Digisfera e Best Tables comprate da Google e Tripadvisor.

Il report confronta i numeri portoghesi con quelli di altri paesi europei come Gran Bretagna, Italia, Francia, Germania e Spagna. Cifre piccole. Ma non così tanto se si tiene conto della dimensione dell’economia portoghese. Il Pil del Portogallo è di 230 miliardi di dollari, 16 volte più piccolo di quello tedesco, 12 più piccolo di quello inglese, 9 di quello italiano e 6 di quello spagnolo. Lisbona non sarà mai come Londra, Berlino o Parigi ma la distanza tra il Portogallo, l’Italia e la Spagna si sta accorciando.

Dalla fondazione, le 40 scale up portoghesi hanno raccolto più di 166 milioni di dollari. Quelle italiane (soltanto) 400 milioni. In media ogni scale up portoghese ha raccolto 4,2 milioni di dollari, ogni italiana 5,5 milioni. La maggior parte di loro, il 65%, è nata negli ultimi due anni. Il 75% dopo il 2010 e 48% dopo il 2012. Le aziende lisbonesi hanno raggiunto il 60% del totale.

Tre si sono accaparrate più di 20 milioni di dollari ciascuna: Uniplaces, Talkdesk e Feedzai. La prima è un sito di alloggi per studenti ora con uffici a Lisbona e Londra; la seconda è un’azienda che ha sviluppato un software cloud per call center, presente nella Silicon Valley e a Lisbona; la terza offre un servizio di sicurezza per l’e-commerce, fondata a Coimbra, adesso ha uffici in California, a Londra e ovviamente a Lisbona.

Altre imprese in crescita sono Muzzley, una piattaforma intelligente che connette tutti i dispositivi presenti in casa in un’unica app, con sedi a Lisbona e San Francisco; Codacy, con base a Lisbona e uffici a Londra, una piattaforma per l’analisi e il monitoraggio dei codici di programmazione per sviluppatori e che nel 2014 vinse il premio Beta al web Summit; e Unbabel, una piattaforma di traduzione metà artificiale e metà umana che mantiene la base a Lisbona ma guarda a San Francisco.

Il mercato portoghese per dimensioni fa sì che dopo la fase iniziale di sviluppo, gli startupper si guardino intorno, principalmente verso il Regno Unito o agli Stati Uniti, dove c’è un mercato finanziario più grande che consente di avere accesso a più capitale. Tenendo sempre un occhio sul mercato di casa, dove comunque conviene mantenere la parte produttiva.

Capitale raccolto VS Pil nominale
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UNIPLACES: CERCARE CASA IN REMOTO

La porta della sede di Uniplaces è di ferro, rossa, come le otto porte della facciata della stazione del Rossio, la vecchia Estação Central di Lisbona, costruita a fine Ottocento per collegare la capitale con la regione di Sintra. L’edificio è lo stesso, ma l’ingresso è alle sue spalle, a Largo Duque de Cadaval, dove dall’altro lato terminano le ultime scale della faticosa Calçada do Carmo. Sempre rosse. Il portone è socchiuso e la piccola insegna della start-up quasi si confonde tra i tavoli di un piccolo bar portoghese e un pub irlandese.

Miguel Amaro, Mariano Kostelec e Ben Gretch sono i tre fondatori di Uniplaces, il sito online per cercare, da casa, un alloggio all’estero. Così da arrivare in una città e avere già una casa dove dormire, evitando gli ostelli e le traduzioni amatoriali dei siti di annunci immobiliari. Nel 2012, quando hanno lanciato la loro start-up, erano studenti universitari in giro per il mondo, alle prese, appunto, con le difficoltà di cercare un appartamento in un paese straniero. Partiti da un budget di 2.000 euro, vinti come premio durante l’edizione portoghese di Start-up Weekend – una 54 ore di eventi organizzata in tutto il mondo – gli startupper di Uniplaces sono arrivati, con l’ultimo giro di finanziamenti di serie A, ad attirare 24 milioni di dollari da Atomico, tra i grandi investitori mondiali.

“Mi sono trasferito da Londra un anno fa – racconta Luca Verginella, responsabile marketing Italia di Uniplaces- quando sono arrivato ero il dipendente numero 70 e adesso siamo 140.  Siamo cresciuti di 3 o 4 volte da un anno all’altro. La prospettiva è di continuare sullo stesso range di crescita anche nel 2016. Prenotando sul nostro portale scegli la casa perfetta con un click e hai un supporto linguistico di 12 lingue per comunicare con il proprietario di casa. Il primo mese di affitto, se il proprietario conferma, gli viene trasferito solo dopo il check-in così lo studente ha tempo di verificare se è tutto come presentato on-line”.

Negli uffici di Uniplaces dietro la stazione del Rossio, nella Baxia di Lisbona, nell’enorme spazio in cui lavorano 130 ragazzi provenienti da tutto il mondo, l’età media in ufficio è intorno ai 26 anni. Un po’ più alta da quando, un anno fa, hanno assunto persone con più esperienza nel marketing. Le sedie di Ben, Mariano e Miguel attorno al tavolo dei fondatori sono vuote: gli appuntamenti di lavoro sono sempre più numerosi.

Come si sostiene Uniplaces? Perché il problema principale di una start-up, al di là dei finanziamenti, è avere un modello di business sostenibile. Chi cerca casa e chi affitta pagherà una commissione, come una normale agenzia immobiliare. A fare la differenza è il costo e le garanzie. In un confronto con una normale agenzia che di solito chiede una mensilità, prenotando con il loro portale uno studente non spende più di 180 euro. Ad esempio su un canone di affitto di 500 euro al mese, facciamo per 10 mesi, Uniplaces chiede 75 euro, il 15% di una mensilità. Il costo può variare in base alle destinazioni, ma comunque il tetto massimo resta di 180 euro. Al padrone di casa invece si chiede uno sforzo in più che corrisponde al 7% del canone totale. Quindi sullo stesso affitto paga 350 euro.

La piattaforma, lanciata inizialmente in Portogallo e Spagna, adesso è presente in 9 paesi e copre 39 città. Quello di novembre 2015 è stato solo l’ultimo, e il più massiccio, round di investimenti. A inizio 2014 era arrivato già il primo finanziamento di 3,5 milioni di dollari da parte di Octopus Investment, capitali inglesi. Ci sono anche investitori portoghesi come Shilling Capital e Caixa Capital e altri inglesi come Alex Chesterman e Rob McClatchey di Barclays.

UNBABEL: LA TRADUZIONE PER UNIFICARE INTERNET

Disfare Babele portando ordine nel caos linguistico. È questa la missione di Unbabel, la start-up portoghese lanciata nel 2014 che offre un servizio di traduzione online unendo la velocità delle macchine automatiche alla qualità di un team di traduttori provenienti da tutto il mondo.

Il nome della start-up di Lisbona è biblico: secondo la Bibbia infatti, gli abitanti di Babele vennero puniti da Dio per la volontà di innalzare una torre in suo onore. Dio non approvò perché lo considerò un atto di presunzione e così li punì, confondendo i linguaggi degli uomini, che si sparsero per il mondo, dando origine alle diverse lingue parlate oggi. La storia di Internet è simile a quella di Babele: inizialmente si parlava un’unica lingua, l’inglese, mentre adesso c’è una chiara diversificazione linguistica.

Così i cinque fondatori di Unbabel, Vasco Pedro, João Graça, Sofia Pessanha, Bruno Prezado e Hugo Silva, durante un fine settimana di sole e surf, hanno pensato di inventare una start-up che aiutasse le persone o le aziende appartenenti ai diversi internet a comunicare con gli altri ‘mondi’.

“Nel 1998 l’inglese rappresentava l’80% di internet – spiega Vasco Pedro, co-fondatore di Unbabel – tutti pensavamo sarebbe stata la più grande piattaforma per comunicare ma nel 2015 l’inglese non copre neanche il 35% di internet. Abbiamo tanti internet chiusi e la maggior parte delle persone comunica nel proprio internet, nella propria lingua, dove trova abbastanza materiale. Ma oggi le aziende sono sempre più globali e spendono molte risorse per essere presenti in tutte le lingue”.

Il modello di business di Unbabel si basa sugli abbonamenti che variano in base al numero di parole che possono essere tradotte. Finite quelle, ogni parola costa. Ad oggi ci sono 23 lingue disponibili e 56 combinazioni. Si parte da 110 dollari e si arriva a 900. Più parole compri, meno paghi.  La loro squadra è stata la prima delle start-up portoghesi ad accedere a Y combinator, il migliore acceleratore del mondo, dove le start-up vengono adottate quando sono piccole, per tre mesi, per uscire con un prodotto presentabile agli investitori.

Al momento a Lisbona lavorano 25 persone e il prossimo obiettivo è quello di allargare l’ufficio già presente a San Francisco, dove lavora Sofia, per il quale stanno cercando ulteriori fondi. Ad oggi Unbabel ha raccolto più di 3 milioni di dollari da diversi investitori portoghesi e americani tra cui Google Ventures.

“Finora non ha avuto senso allargarsi ad altri mercati né per i costi né per le risorse – spiega Vasco – qui si possono trovare buone risorse. In termini di tecnologia e prodotto vogliamo restare qui, in quelli di vendita vogliamo essere più vicini ai nostri clienti come faremo negli States dove è davvero un vantaggio avere un ufficio”.

Quando Vasco è tornato a Lisbona nel 2011, dopo dieci anni passati oltreoceano per i suoi studi, tutti i suoi amici erano stupiti da questa scelta. “Se posso fare un’impresa ovunque, perché non dovrei farla dove mi piace vivere? Lisbona sta crescendo così tanto – continua – perché non ci sono altri grossi business e tutti si stanno focalizzando su questo settore. Credendoci. Il sole e il mare non sono i motivi principali ma vivere bene aiuta. Noi per esempio, visto che abbiamo fondato Unbabel durante una gita surf, una volta al mese andiamo tutti sull’oceano. Dista solo 20 minuti da qui”, conclude.

LANDING.JOBS: ATTERRAGGIO SICURO

Pedro Oliveira ha 29 anni e nella sua vita ha cambiato più lavori di quelli della madre e del padre messi insieme. Ha fatto tanti traslochi e cambiato paese diverse volte. Fin qui niente di strano, succede praticamente quasi a tutti i suoi coetanei europei. Pedro però, quando ha capito che non avrebbe voluto fare l’ingegnere informatico, ha lanciato una start- up, Landing.Jobs, un portale per cercare lavoro nel settore della tecnologia che ha già raccolto 700mila dollari di investimenti e conta 900 partners tra cui Booking.com e Spotify.

“Ci sono due aziende nell’azienda – racconta Pedro tra una partita a biliardino e un sorso di birra – una è quella del 2013/2014, prima dei finanziamenti, un’altra è questa. Con il mio cofondatore José Paiva – continua – a marzo 2014 abbiamo capito che dovevamo cambiare strada mettendo in contatto un numero maggiore di persone che cercano lavoro con le aziende che cercano profili perché più candidati piazziamo più aziende si rivolgono a noi. Quindi adesso puntiamo l’80% sui profili e il 20% sulle aziende”.

Il modello di business di Landing.Jobs punta infatti sui profili dei lavoratori: ogni candidatura viene seguita e indirizzata verso il ‘match’ perfetto. Per ogni profilo assunto si guadagna una percentuale che dipende dai salari. La svolta è arrivata a febbraio 2015 con il round di investimenti che ha permesso a Pedro e José di costruire il loro brand e l’azienda. Nel nuovo appartamento di Landing.Jobs lavorano 25 ragazzi, un team internazionale che oltre al lavoro di tutti i giorni va in giro per gli eventi organizzati a Roma, Barcellona, Berlino ma soprattutto organizza il festival fatto in casa, a Lisboa Marine, che quest’anno punta a essere internazionale.

Pedro nel frattempo ha fatto un altro trasloco: adesso vive a Londra, dove punta ad allargare l’azienda, ma una volta al mese torna a casa per controllare che tutto sia al proprio posto. Nella sua testa sempre il futuro: “A un diciottenne che non sa cosa fare della propria vita – sorride Pedro – gli direi ‘non fare il medico, fai qualcosa con la tecnologia’ perché in futuro ci saranno sempre più aziende che cercheranno profili tech”.

UNIVERSITÀ NOVA DI LISBONA: UN PRE-INCUBATORE PUBBLICO

L’università Nova di Lisbona è la più giovane università pubblica della città, fondata nel 1973. Nel campo dell’imprenditoria, attraverso diverse iniziative, si muove molto bene e nel 2014 ha vinto il premio Up come migliore università a supporto dell’imprenditoria. “È una cosa di cui andiamo molto fieri – commenta Lara Ligeiro dell’ufficio di Imprenditoria della Nova – da sei anni organizziamo molte attività che diano agli studenti gli strumenti adatti per avere successo”.

Uno di questi strumenti è lo Starters Academy, un corso sponsorizzato da Nos, un colosso delle telecomunicazioni, che ha come obiettivo quello di aiutare gli studenti a realizzare le proprie idee orientandosi verso il mercato. La peculiarità di questo progetto è quella di essere multidisciplinare. Non solo studenti di economia o management ma ogni squadra, formata da 5 membri, deve avere diversi profili: studenti di lettere, arte, giurisprudenza, chimica, fisica, ingegneria.

“Ci sono 40/50 posti ogni anno e il corso dura un semestre – spiega Lara – ma non è un corso convenzionale, ogni lezione si cambia professore e sono previste alcune gite nelle start-up, negli incubatori, a Microsoft”. Funziona così: i prescelti il primo giorno presentano la loro idea davanti a tutti gli altri, cercando di convincere i colleghi che la loro è quella migliore per cui vale la pena lavorare. Non tutti hanno un’idea, o chi ce l’ha non vuole svelarla, ma preferisce imparare le tecniche per svilupparla da solo successivamente.

Il primo appuntamento per l’edizione 2016 è stato sabato 27 febbraio, alle 14, alla Fábrica de Startup, un’azienda incubatrice creata nel 2012. I ragazzi sono tutti seduti e, uno alla volta, si alzano per dire il proprio nome e la facoltà da cui provengono. Qualcuno di loro ha già qualche esperienza lavorativa nel settore ma è lì per approfondire la conoscenza. Venti di loro hanno già un’idea e non vedono l’ora di conoscere i futuri compagni di squadra.

“Abbiamo anche Nova Idea Competition, un concorso per la creazione di un business plan che verrà presentato davanti a una giuria di professori, imprenditori e investitori – aggiunge Lara – ci sono tre premi finali: il primo da 8.000 euro, il secondo 5.000 e il terzo 2000. Possono partecipare tutti, ma è obbligatorio il team multidisciplinare anche qui”.

DALL’ALTRO LATO DELLA NOVA

Per arrivare alla facoltà di Scienza e Tecnologia della Nova di Lisbona bisogna attraversare il fiume Tejo e arrivare a Monte de Caparica. Anche qui c’è un progetto simile allo Starters Academy ma è obbligatorio per tutti. Al quarto anno tutti gli studenti devono fare questo corso di quattro settimane in cui si focalizza un problema o un’opportunità e si cerca di risolverli applicando la tecnologia. Fatto il prototipo si va sul mercato e si prova. I gruppi sono sempre da 5 e i progetti nella fase iniziale sono 200, poi 60 e infine 12.

Molti studenti approfondiscono la ricerca l’anno successivo, approfittando della tesi di laurea per sviluppare il prodotto in termini di impatto ambientale, elementi chimici, elettronici. Insomma, ognuno in base all’area di studio.  “Non è una competizione – spiega Ana Sofia Esteves, lettrice di Imprenditoria alla Nova e dottoranda in ingegneria industriale – vogliamo aiutarli a capire quale modello di business sia meglio, cerchiamo di fare tutto quello che serve per trasformare un’idea in un prototipo in 5 settimane. Non vogliamo formare migliaia di imprenditori, vogliamo soltanto dargli un nuovo paio di occhiali per osservare le cose da un altro punto di vista”.

L’OPINIONE ITALIANA

Perché Lisbona e non Napoli, o Roma, Firenze, Palermo? Secondo Alberto Onetti, coordinatore di Startup Europe Partnership, il Portogallo è un paese emergente che ha accettato di esserlo e ha rilassato le condizioni per lavorare con l’estero, cosa che facilita le scelte di localizzazione.

“Il problema dell’Italia – commenta Onetti – credo sia avere la presunzione da nobile decaduto. Ma adesso non è più sostenibile: non siamo né un grande paese né ci adattiamo ai cambiamenti che richiedono determinati costi e tempi. Cosa che invece in Portogallo hanno fatto bene. Però anche in Italia si parla tanto di start-up: siamo in ritardo, ma non spacciati”.

Il punto dunque è la velocità di crescita e il problema in Italia, inoltre, è la distanza tra la buona teoria dell’Università italiana e il poco confronto con il mercato del lavoro. La pensa così anche Francesco Castellaneta, professore di Imprenditoria all’Università Cattolica di Lisbona, tra gli atenei migliori d’Europa: “C’è una generazione di ragazzi che qui ha capito che si possono fare start-up e ha imparato a sognare con i piedi per terra. In Italia manca la capacità di lavorare bene insieme. Ci sono tanti talenti ma questi si neutralizzano. Inoltre l’università italiana ha molte risorse, ma troppe sono teoriche. Deve uscire dalle torri dorate della conoscenza”.



START-UP LISBOA: LA CASA MADRE DELLE START-UP

Se sei una start-up di successo di Lisbona, con molte probabilità sei passato da Startup Lisboa: il primo incubatore della città che in quattro anni ha visto crescere 200 imprese. Lanciato da un progetto del comune di Lisbona nel 2011, l’idea era quella di fare un incubatore di start-up per dare vita alla downtown, dalle parti di Praça do Comércio, dove ci sono molti negozi turistici, qualche tasca, ovvero la trattoria tipica, e case vuote. Quindi ristrutturare i palazzi, mettere gli imprenditori dentro per far crescere i loro progetti. E poi ancora, spostarsi, ingrandirsi e riqualificare gli edifici decadenti, ripulendo i vecchi azulejos, le piastrelle di ceramica che rivestono tutta Lisbona.

“All’inizio avevamo solo aziende portoghesi – racconta Bruno Gomes dell’area comunicazione di Startup Lisboa – adesso ce ne sono tante straniere. Dopo quattro anni abbiamo quattro palazzi: due per le compagnie tech, uno per quelle commerciali e un altro adibito ad ostello per dare la possibilità a chi viene a lavorare qui di ambientarsi e cercare casa con calma”.

Startup Lisboa ha 46 partners e due banche municipali come sponsor. Le aziende pagano una tassa simbolica per le spese e per i servizi di consulenza, gli incontri, gli eventi e tutto quello che l’incubatore fa durante e dopo la permanenza delle imprese.

Dalla finestra di uno dei due palazzi di Startup Lisboa in Rua do Comércio si vedono brillare degli azulejos azzurri. Startup Lisboa è una grande famiglia, chi cresce qui non va mai via veramente. Un po’ come si fa con la casa dei propri genitori quando si va a vivere da soli.

 Questo servizio è un Progetto di fine corso per il biennio 2014-2016 dell’Istituto per la Formazione al giornalismo di Urbino (IFG), pubblicato il 18 marzo 2016.