Cannabis terapeutica negata: così i malati marchigiani sono abbandonati a loro stessi

di ENRICO FORZINETTI
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Una piantina di cannabis

Curarsi in Italia non sempre è un diritto, o almeno non è un diritto provare tutte le cure possibili. La cannabis terapeutica ad esempio è un lusso per pochi. Non vietata, ma difficile, quasi impossibile. Le Marche sono un caso esemplare, seppure in negativo, sotto questo punto di vista: da ormai più di tre anni le persone malate, pur essendoci una legge, non possono accedere alla cannabis terapeutica.


LA LEGGE INAPPLICATACANNABIS FAI DA TECENNI LEGISLATIVIFIGLIE CHE LOTTANOSCLEROSI MULTIPLA E SATIVEXPRESENTE E FUTURO


Per questo chi soffre ha poche alternative: ricorrere alle vie illegali, autoproducendosi la cannabis o comprandola dagli spacciatori, oppure arrendersi e rinunciare a questa strada. In ogni caso due scelte che portano all’isolamento o alla frustrazione, anche perché la maggior parte dei medici non crede a questo tipo di terapia o comunque non ne è informata a sufficienza.

LA LEGGE C’È, MA NON VIENE APPLICATA

In realtà nella Marche esiste una legge che regola l’erogazione dei farmaci a base di cannabis. Ѐ stata approvata nel gennaio del 2013 ma ancora oggi mancano i regolamenti attuativi. Al momento quindi si tratta di carta straccia. Questo significa che nessun paziente può importare le infiorescenze o i farmaci sintetici a base di cannabis dall’estero, dove sono prodotti e commercializzati, a carico del servizio sanitario.

Ma anche se la legge venisse effettivamente applicata in futuro, bisognerebbe chiedersi quante persone potrebbero fare uso di cannabis a scopo terapeutico. Infatti per dare il via al complesso iter burocratico per l’importazione serve necessariamente la ricetta di un medico.

Ma come sottolineano sia i pazienti che le associazioni, sono pochissimi i dottori informati e sono ancora meno quelli disposti a prescrivere la cannabis a un proprio paziente. Ma intanto aumentano gli studi scientifici che dimostrano l’efficacia della cannabis non solo come antidolorifico e sostanza che stimola l’appetito, ma anche per il miglioramento delle malattie di pazienti con Sla, sclerosi multipla, neuropatie e numerose altre patologie.

Antonella Soldo, collaboratrice del presidente della Commissione diritti umani del Senato Luigi Manconi, racconta i problemi dei pazienti nell'accedere alla cannabis terapeutica

CANNABIS TERAPEUTICA ‘FAI DA TE’

Le difficoltà incontrate dai malati sono ben testimoniate dall’esperienza di L.P., che chiameremo Luca. Luca – come tutte le persone che hanno deciso di parlare della loro situazione – ha chiesto che non venisse rivelato il suo vero nome.

Luca è un uomo di 50 anni, malato di epatite C e con un passato da eroinomane. Luca ha deciso non intraprendere la via delle cure tradizionali vedendo gli effetti che aveva sulle persone che l’avevano provata. Dalla fine degli anni ’80, nonostante non esistesse ancora una legge regionale, ha tentato la via della cannabis. Una sostanza che quando era ragazzo ha utilizzato al solo scopo ricreativo, ma che ormai sfrutta per fini terapeutici.

“L’ho usata anche per disintossicarmi – racconta Luca – grazie a quella ho evitato il Sert (il Servizio per le tossicodipendenze) e la somministrazione di metadone e di psicofarmaci che hanno portato tanti miei amici dalla tossicodipendenza direttamente al cimitero”.

Luca si è sempre rifornito per vie illegali: l’autoproduzione in casa o l’acquisto per strada dagli spacciatori. Dal 2013 in poi, nonostante l’approvazione della legge, non è in realtà cambiato nulla, visto che deve continuare ad “aggiustarsi da solo”.

Oggi sostiene di non avere più problemi con l’epatite nonostante non abbia mai fatto affidamento sui medici, i quali alle sue richieste di farsi prescrivere la cannabis hanno dato le risposte più disparate: dal “rivolgiti al Sert” al “non ne so nulla”.

“È uno scandalo – si sfoga Luca – esistono centinaia di studi scientifici che dimostrano l’efficacia della cannabis, ma qui da noi di fatto non possiamo utilizzarla. Ci viene negato il diritto di curarci”.

La testimonianza di Luca, un malato marchigiano che non può accedere alla cannabis terapeutica

Per importare cannabis dall’estero per vie legali esiste una possibilità ulteriore: la cosiddetta ricetta bianca. Un malato può fare arrivare la cannabis a proprie spese, appoggiandosi a una farmacia galenica che materialmente si occupa di acquistarla dai distributori italiani e di preparare le dosi per il paziente.

Nei vari passaggi però i costi lievitano portando il prodotto a cifre esorbitanti: si parla di 35/40 euro al grammo. Ma oltre all’ostacolo economico persiste la difficoltà nel trovare un medico che in ogni caso deve firmare una ricetta.

Matteo (nome di fantasia per M.T.) è uno dei pochissimi ad esserci riuscito. Matteo è giovane, ha 31 anni ed ha l’epatite C. In passato ha avuto problemi con la droga e per liberarsi dai numerosi farmaci somministratigli al Sert, sia per disintossicarsi che per curare gli effetti dell’epatite, ha deciso di provare la via della cannabis a fini terapeutici. Inizialmente comprandola al mercato nero, poi producendosela in casa.

Un percorso non privo di rischi: un anno fa è stato arrestato per coltivazione e spaccio di cannabis, ma è riuscito a dimostrare di autoprodurla al solo fine terapeutico personale. Nel processo il giudice lo ha assolto dall’accusa di spaccio e ha utilizzato la decisione per fare leva sul medico di base affinché gli fornisse la ricetta bianca, interrompendo così l’autoproduzione.

Matteo, racconta, con la cannabis ha non solo eliminato i problemi dell’epatite ma anche della psoriasi, una forma di disturbo di psico-somatizzazione dello stress. Nonostante abbia trovato un medico che gli faccia la ricetta i problemi continuano: in particolare la cannabis arriva dall’Olanda a una farmacia galenica, passando per i canali distributivi italiani, in maniera discontinua e a un prezzo difficilmente sostenibile, intorno ai 40 euro al grammo. 

La scarsa regolarità gli ha lasciato soltanto due opzioni: ricorrere agli spacciatori oppure interrompere l’utilizzo della cannabis. Matteo non ha volto rifornirsi sul mercato illegale, quindi ha sospeso la cure con la cannabis. Questo però lo ha obbligato a riprendere le cure tradizionali che hanno fatto ricomparire i sintomi della psoriasi e appesantito il fegato. “La speranza è quella di poter ritornare alla cannabis terapeutica – racconta Matteo – i distributori si sono impegnati a tagliare i costi, portandoli a 21 euro al grammo. Il mio obiettivo è abbandonare tutti i farmaci che sono stato costretto a riprendere”.

COME È CAMBIATA LA LEGISLAZIONE IN ITALIA E NELLE MARCHE

A livello nazionale è ormai dal 2007 che al Thc, uno dei più importanti principi attivi della cannabis, è stato riconosciuto un valore terapeutico. Nel 2013 il ministro Balduzzi ha aggiornato la normativa: anche i medicinali di origine vegetale a base di cannabis sono stati inseriti nella cosiddetta tabella II sezione B, quella che elenca le sostanze psicotrope ma con attività farmacologica. 

È toccato poi alle singole regioni introdurre una legge che regoli l’erogazione dei medicinali a base di cannabis. Questo perché in Italia la Sanità e la salute sono materie in cui la competenza è divisa tra Stato e Regioni. Finora sono solo 12 le Regioni ad aver legiferato sul tema. 

Anche le Marche come si è detto hanno approvato una legge, ma non hanno mai emesso i decreti attuativi. Nel frattempo si è votato, la giunta Spacca ha lasciato il posto a quella Ceriscioli, ma i decreti ancora non si sono visti.

Le reazioni politiche alla denuncia di questa mancanza latitano. L’attuale presidente della regione Luca Ceriscioli, che ha tenuto per sé la delega alla Sanità, dà al Ducato una risposta generica. “Su tutta la medicina palliativa c’è molta attenzione – spiega Ceriscioli – si guarda con un occhio diverso questi temi. Dobbiamo sempre più andare incontro al bisogno del cittadino quando esprime un bisogno di accompagnamento nel momento in cui la malattia prende il sopravvento. Questo è un percorso che si sta rafforzando, quindi anche per quello che riguarda le terapie con la cannabis, non verrà meno l’attenzione e l’impegno. Certo al momento stiamo riorganizzando tutto il quadro generale della Sanità, partendo però dalle questioni più rilevanti”.

Intanto l’8 marzo 2016 il Consiglio regionale ha approvato una mozione che impegna la Giunta a muoversi entro tre mesi in direzione dell’attuazione della legge regionale del 2013 e a presentare entro la fine dell’anno una relazione sull’attuazione della stessa legge.

 In rosso la Regioni che non hanno una legge sulla cannabis terapeutica

FIGLIE IN LOTTA PER I GENITORI MALATI

Esistono poi persone che si battono non per la propria salute ma per quella di un proprio caro. È il caso di Beatrice, nome di fantasia per B.D. Sua madre ha 82 anni e ha perso l’uso del mignolo e dell’anulare della mano destra a causa di una compressione al nervo ulnare curata in modo errato dai medici.

Mia madre ha visto la guerra – racconta Beatrice – sa cosa vuol dire provare dolore. Volevamo abbandonare gli antidolorifici tradizionali un po’ perché non funzionavano, ma soprattutto perché portavano a effetti collaterali come la perdita di appetito, nausea e stanchezza. Per questo motivo siamo andate alla ricerca di una cura più naturale come la cannabis terapeutica, anche se non abbiamo mai trovato nessun medico che la prescrivesse” .

Fortunatamente a Milano la donna sembra avere trovato una soluzione grazie a una dottoressa esperta di medicina del dolore. Alla madre viene somministrato un nuovo farmaco, specifico per il dolore neuropatico, che secondo la specialista è la cura più adatta per la signora. “Da quando lo assume è un’altra persona, non ha più i dolori come prima – sottolinea – è una soluzione accettabile, ma rimane il fatto che per la cannabis terapeutica, nonostante tutti questi mesi di ricerca, non c’è stato nulla da fare”.

Beatrice, prima di trovare questa soluzione si era detta disposta a pagare di tasca propria la cannabis. Ma il problema fondamentale rimaneva quello di trovare uno specialista che prescrivesse la ricetta bianca. “Non ho neanche mai pensato di fare ricorso a vie illegali per procurarmela: oltre a non sapere cosa ci sia dentro alla cannabis che compri per strada non sarei stata in grado di fare i giusti dosaggi per mia madre” conclude.

Non potevo rifornirmi al mercato nero. Tu sai cosa ti vendono? Poi chi avrebbe fatto le dosi da dare a mia madre? Beatrice

La storia di Beatrice è simile a quella di Roberta, figlia di N.O, un uomo di 69 anni a cui era stato diagnosticato un tumore al pancreas nell’ottobre del 2014 e morto un anno dopo.

Roberta avrebbe voluto far passare gli ultimi mesi di vita del padre in maniera dignitosa, visto che i medici avevano riscontrato un cancro già in fase avanzata. “Volevo fargli recuperare un po’ di appetito e migliorare l’umore. Mio padre – racconta – era costretto a stare su una sedia a rotelle e aveva perso più di 30 chili, ma soprattutto volevo ridurgli il dolore. Dopo i cicli di chemioterapia ha iniziato anche a soffrire di una neuropatia: la cannabis, conoscendo gli effetti, avrebbe fatto al caso nostro. Ma di questo il nostro medico di famiglia non sapeva nulla. Tutti gli altri antidolorifici, tipo la morfina che ci hanno consigliato, avevano effetti devastanti sul corpo”. Anche Roberta, al pari di Beatrice, si sarebbe sobbarcata le spese di una carissima importazione pur di far trascorre al padre giorni migliori. Ma senza una firma di un medico sulla ricetta bianca non è stato possibile fare qualcosa per lui.

I PAZIENTI DI SCLEROSI MULTIPLA E IL SATIVEX

Tra le numerose qualità della cannabis c’è sicuramente quella di portare a un rilassamento della muscolatura. Condizioni che riguarda da vicino i malati di sclerosi multipla (SM). Dal 2013 questi pazienti possono usufruire del Sativex, lunico farmaco cannabinoide autorizzato all’immissione in commercio in Italia. Il Sativex è un farmaco somministrabile inizialmente in ambito ospedaliero, solo nei centri autorizzati, e rimborsabile del servizio sanitario.

Si tratta di uno spray sublinguale che viene estratto da un tipo di Cannabis sativa che possiede un contenuto preciso di Thc e Cbd. Il farmaco però viene prescritto soltanto ai malati di sclerosi multipla per i quali si ritenga che nessun altra cura possa ridurre la spasticità agli arti inferiori. Se per il numero di medicinali a base di cannabis il ministero della Salute non ha voluto rilasciare i dati sull’importazione, sulla somministrazione del Sativex esistono dei dati a livello regionale, suddivisi tra le differenti Asl e strutture della regione Marche.

Nei primi tre mesi del 2015 i pazienti trattati con il Sativex in tutta la Regione sono stati 30, mentre nel 2014 erano stati 77. In entrambi gli anni la maggioranza dei pazienti faceva riferimento agli Ospedali Riuniti di Ancona.

Nella provincia di Pesaro e Urbino si contano pochi casi di pazienti che ne hanno fatto uso. A.S., che chiameremo Angela, è una di questi.  Ma la sua esperienza con il Sativex è stata negativa. L’ho provato per una ventina di giorni dopo che me l’avevano prescritto all’ospedale di Pesaro, ma poi ho dovuto interromperlo. Gli effetti collaterali che avevo erano troppo forti: non mi sentivo totalmente cosciente, a volte avevo problemi di equilibrio, ero come offuscata” racconta Angela, una donna che convive ormai da 24 anni con la sclerosi multipla.

Il Sativex non sempre funziona per tutti i pazienti. “Le persone a cui viene somministrato devono tornare dopo un mese per verificare se hanno avuto benefici o se hanno riscontrato effetti collaterali – spiega Maura Danni, dottoressa del Centro Sclerosi multipla di Ancona – in questo caso interrompono il trattamento e noi segnaliamo i problemi avuti all’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco che monitora la somministrazione del Sativex”.

Alla struttura di Ancona si era rivolto invece Andrea, uomo di 45 anni, che ha provato lo stesso farmaco circa un anno e mezzo fa. I risultati non sono stati quelli sperati e per questo ha interrotto la cura dopo appena un mese e mezzo. “Il Sativex mi rendeva le gambe troppo molli, tanto da non riuscire neanche più a controllarle – racconta – magari potrei provare con le infiorescenze, ma dovrei prima capire se avrebbe lo stesso effetto del Sativex. Però al momento non ho intenzione di spendere su un prodotto che potrebbe non funzionare su di me”.

Se Andrea non ha ancora trovato un’alternativa contro la rigidità muscolare, Angela invece sta percorrendo un’altra strada. “Dopo l’interruzione del trattamento un giorno per caso mi sono imbattuta in una delle bancarella di Massimiliano Marinelli, un imprenditore agricolo che coltiva canapa. Da lui compro regolarmente le infiorescenze con cui mi faccio delle tisane: fin dai primi giorni in cui ho provato questa strada, cioè da settembre del 2015, ho subito visto dei miglioramenti, i miei muscoli sono molto più rilassati. Lo ha notato anche la fisioterapista che mi segue”, continua Angela.

Il lavoro di Massimiliano Marinelli merita un approfondimento. Marinelli infatti coltiva legalmente la canapa perché utilizza una delle sementi autorizzate dal registro stilato a livello europeo. La canapa in questione è a basso contenuto di Thc e per questo motivo è legale, a differenza delle altre varietà di cannabis. “Per poterla coltivare bisogna possedere una partita Iva agricola, utilizzare un campo di almeno un ettaro e si deve comunicare la propria attività alle forze dell’ordine” racconta l’imprenditore.

Marinelli – come altre 6 o 7 aziende nella provincia di Pesaro e Urbino – non vende solo prodotti alimentari realizzati con la farina ottenuta dalla cannabis, ma anche le infiorescenze. Angela è una dei suoi clienti. La donna racconta di aver abbandonato tutti farmaci nel lontano 2004, quando si è accorta che la medicina tradizionale avevano troppi effetti collaterali sul suo fisico. Ha iniziato così a provare fitoterapia e omeopatia, ma dopo la breve esperienza negativa con il Sativex ha scoperto la cannabis. Una sostanza naturale che certamente non cura la sclerosi ma almeno ne allevia un po’ la rigidità muscolare.

IL PRESENTE È INCERTO MA NON MANCANO LE SPERANZE 

Questa è la situazione al momento nelle Marche. Le cose però potrebbero cambiare radicalmente se passasse la proposta di legge per la legalizzazione della cannabis, ora all’esame della commissione Affari sociali della Camera. Il testo, presentato dall’intergruppo parlamentare che riunisce deputati e senatori di quasi tutti i partiti politici, porterebbe molte novità. Innanzitutto la possibilità di detenere una quantità di cannabis, da utilizzare a fini terapeutici, che superi il limite consentito per lo scopo ricreativo, purché rispetti la prescrizione medica. Successivamente il diritto di coltivare in casa propria fino a cinque piantine, una svolta per chi si vorrebbe curare autonomamente con la cannabis. Infine l’individuazione di aree sul territorio italiano dove produrre la canapa che poi potrà essere utilizzata dalle aziende farmaceutiche o dalle farmacie galeniche.

In realtà in Italia esiste già un luogo dove la cannabis viene coltivata per finalità terapeutiche. Si tratta dello stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Attivo dal settembre del 2014, per ora ha portato avanti una sperimentazione di un anno. Il primo vero raccolto dovrebbe arrivare nell’estate 2016 con 50 chili di canapa, la metà della quantità richiesta dall’ufficio centrale stupefacenti del Ministero della Salute italiano.

In ogni caso questo primo raccolto dovrebbe permettere di non dipendere totalmente dall’importazione di infiorescenze dall’Olanda, come avvenuto finora, offrendo la cannabis anche a un prezzo inferiore.

Il quadro marchigiano presente però è un altro: la maggior parte dei pazienti che vorrebbe intraprendere la via della cannabis terapeutica è lasciata a sé stessa. Da una parte per una legge regionale non applicata, dall’altra a causa di un nutrito gruppo di medici che non crede in questo trattamento terapeutico. In questo modo i pazienti non possono che trovare soluzioni alternative, come la canapa a basso tenore di Thc. Ma questa è soltanto l’ipotesi migliore perché in tutti gli altri casi le persone ammalate devono ricorrere a vie illegali o rinunciare alla terapia.

Questo servizio è un Progetto di fine corso per il biennio 2014-2016 dell’Istituto per la Formazione al giornalismo di Urbino (IFG), pubblicato il 18 marzo 2016