Capitale dello sport dimenticato. La Roma che sogna le Olimpiadi calpesta la sua storia

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di Adriano Di Blasi

Ruggine, sterpaglie alte mezzo metro, immondizia e lucchetti dorati ma anche l’odore intenso dei grandi eventi del passato. A Roma, la città che ha ospitato le Olimpiadi del 1960 e che si è candidata per quelle del 2024, sono molti gli impianti sportivi abbandonati o incompiuti. Alcuni, come lo stadio Flaminio o Campo Testaccio, hanno nomi che evocano i trionfi del passato di Lazio e Roma. Altri, come la Città dello sport di Tor Vergata o l’area dell’ex Velodromo dell’Eur, sono meno conosciuti e più periferici ma vivono una condizione simile.

I costi per rimettere tutto in ordine variano a seconda della struttura. Si va dai 6/15 milioni di euro per lo stadio che tra il 2001 e il 2012 ha ospitato il 6 nazioni di rugby, agli oltre 400 per la Città dello Sport progettata da Santiago Calatrava, fino agli 800mila euro necessari a rimettere in sesto campo Testaccio. Cifre incompatibili con il bilancio del comune di Roma, da anni in rosso. Per il Flaminio e Tor Vergata però, si è aperta la strada delle Olimpiadi di Roma 2024. Con la presentazione del progetto, inviato al Cio (Comitato olimpico internazionale) di Losanna lo scorso 17 febbraio, il comitato promotore ha detto di essere pronto a riqualificare e completare le due aree grazie ai 2,1 miliardi di euro che verranno investiti per le strutture che ospiterebbero i Giochi. Una panacea inattesa per gli impianti coinvolti, come spiega la coordinatrice generale del Comitato2024 Diana Bianchedi.

LO STADIO FLAMINIO | IL PALAZZETTO DELLO SPORT | LA CITTA’ DELLO SPORT |
GLI STADI DELLE OLIMPIADI 1960 | L’EX VELODROMO | CAMPO TESTACCIO | 2024: L’ULTIMA SPIAGGIA?

Stadio Flaminio. La casa del rugby azzurro ridotta a discarica

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A trecento passi dall’Auditorium di Roma, centro della vita culturale della Capitale, c’è un gigante addormentato. Pesa migliaia di tonnellate e ha oltre mezzo secolo di storia. Una vita in cui ha ospitato alcuni dei maggiori eventi sportivi giocati in Italia: dalle Olimpiadi del 1960, alle partite di serie A nella stagione 1989-1990, fino al torneo del sei nazioni di rugby. Ma non solo. Perché sul prato dello Stadio Flaminio si sono esibiti alcuni tra i più celebri musicisti al mondo. Tra questi: Michael Jackson e i Rolling Stones.

La storia dello stadio Flaminio

Oggi però questo storico impianto è in pessime condizioni. Lattine di birra e bottiglie vuote sono sparse lungo tutto il perimetro esterno, insieme a immondizia e giocattoli abbandonati. L’aria in alcune zone è irrespirabile per l’odore acre di scarti alimentari e urina. L’Ama, l’ente del Comune che gestisce la pulizia della Capitale, passa circa una volta al mese per spazzare e raccogliere i rifiuti. Troppo poco per una zona vasta e spesso frequentata da senza tetto. All’interno la situazione è anche peggiore come documentano le immagini realizzate dal Corriere della Sera. Topi morti, tubature rovinate e calcinacci ovunque. Senza contare l’immondizia lasciata da chi entra di notte. Sì, perché entrare nel Flaminio non è difficile. Basta scavalcare due recinzioni alte poco più di due metri o entrare dai buchi che a volte si trovano nelle cancellate arrugginite e indebolite dalle radici dei pini.

Uno stato di totale abbandono che lascia un senso di tristezza a chiunque passi vicino allo stadio, ma soprattutto a chi, in quell’impianto, ha giocato le partite più importanti della sua carriera.

Non saranno arrivate molte vittorie, ma il pubblico si è affezionato a questo stadio Andrea Lo Cicero

Il futuro del Flaminio è quanto mai incerto. Sulla cifra che servirebbe solo per renderlo di nuovo agibile, sono state fatte diverse stime. C’è quella dei periti del Comune che oscilla tra i sei e i dieci milioni di euro ma altri studi, condotti da privati, parlano di 15/18. Inoltre sarebbero necessari circa 800mila euro l’anno per la manutenzione. Soldi che, se Roma dovesse ospitare le Olimpiadi, non intaccherebbero più di tanto il faraonico budget previsto.

Qui si svolgerebbero le gare di hockey su prato e rugby a 7, una delle nuove discipline che farà il suo esordio ai Giochi di Rio 2016.

Il Palazzetto dello sport. L’eredità di Pier Luigi Nervi

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– “Ma quanto stanno?”
– “70 a 65 mi pare”
– “E dove lo leggi?”
– “Sul cellulare, il tabellone è saltato da un pezzo”.

Questo il più che probabile dialogo tra due tifosi della Virtus Roma durante la partita di basket giocata dai capitolini contro il Varese nel 2014, quando il tabellone del punteggio andò in cortocircuito a causa del maltempo. Un malfunzionamento casuale e successivamente riparato ma non un caso isolato visto che il problema si è ripresentato nei mesi successivi. Il sintomo di una condizione non impeccabile.

Costruito nel 1960, il Palazzetto dello sport di viale Tiziano, che per tutti i romani è semplicemente il Palatiziano, è stato per anni all’avanguardia dal punto di vista architettonico. Le tribune disposte per favorire una perfetta visuale da qualsiasi settore e soprattutto una tela di cemento armato che abbraccia l’esterno dello stadio hanno fatto del Palatiziano la degna eredità di Pierluigi Nervi che lo progettò.

Per anni è stato la casa del basket romano e ancora oggi svolge questa funzione, seppure a intermittenza. Qui giocano il Club Italia, la M-Roma Volley e la Virtus Roma, la più importante società di pallacanestro della Capitale. Ogni domenica centinaia di tifosi riempiono alcuni dei 3500 seggiolini gialli e rossi, nonostante la retrocessione dello scorso anno in Lega 2.

Per il Palatiziano non si può parlare di impianto abbandonato né di particolare incuria. Ciò non toglie che la struttura sia invecchiata in questi 55 anni, senza beneficiare di una rinfrescata necessaria per evitare che faccia la stessa fine dello stadio Flaminio. Con un’eventuale promozione nella massima categoria la Virtus potrebbe tornare a giocare molte partite al Palalottomatica dell’Eur (originariamente Palazzo dello Sport), un impianto più capiente (15mila posti) ma distante dal centro una ventina di chilometri. Una struttura che peraltro verrà coinvolta nel progetto Roma 2024. Con uno stadio rinnovato e il ritorno in Serie A, la società dell’imprenditore edile Claudio Toti, che da anni pensa anche alla costruzione di uno stadio di proprietà, potrebbe decidere di abbandonare del tutto il Palatiziano. Un rischio che non spaventa Marco Nervi, nipote dell’ingegnere che progettò la struttura.

Il Palazzetto dello Sport attualmente è di proprietà del Comune che lo affitta alla Virtus per una cifra molto bassa: 500 euro al mese.

Qui, se Roma dovesse ospitare le Olimpiadi del 2024, si svolgeranno solo le gare preliminari del torneo di pallavolo, per cui non sono previsti grandi investimenti da parte del Comitato.

La citta dello sport di Tor Vergata. La più grande opera incompiuta d’Italia

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Nella periferia est di Roma, appena fuori dall’anello del Grande raccordo anulare, svetta tra campi e palazzoni una struttura bianco latte. Ha la forma di una rete ed è alta più di un edificio a 5 piani. La Vela, o almeno il suo scheletro, è l’unica testimonianza visiva del progetto disegnato dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava, ormai 10 anni fa. Una struttura nata per ospitare la Città dello Sport di Tor Vergata e i mondiali di nuoto del 2009 ma che, dopo rinvii e aumenti vertiginosi delle spese, è ancora lontana dall’essere conclusa.

La storia della Città dello sport

Nel corso degli anni i costi sono aumentati a dismisura e oggi la stima prevista è di 660 milioni di euro, undici volte l’investimento ipotizzato a inizio lavori. Di questi, 240 sono stati già sborsati dal Comune, per i restanti 420 non c’è un piano preciso data anche l’assenza di investitori privati. Come per lo stadio Flaminio, la candidatura di Roma per ospitare le Olimpiadi del 2024 potrebbe rappresentare una svolta.

Per quest’area il comitato ha previsto un forte investimento. Tor Vergata dovrebbe infatti diventare il punto nevralgico dell’evento insieme al Foro Italico. Qui, secondo i piani del comitato, saranno ospitati gli atleti che potranno allenarsi in vista delle gare. I sentimenti verso questa grande opera restano dunque contrastanti. C’è chi, come il Codacons, la chiama la più grande opera incompleta d’Italia e vorrebbe demolirla, ma anche chi, come il rettore dell’università di Tor Vergata, continua a vedere un’opportunità nella Città dello Sport.

Abbiamo già un progetto presentato in Europa che, al di là delle Olimpiadi, è in fase di valutazione Giuseppe Novelli

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Olimpiadi del 1960. Gli stadi che hanno fatto la storia

Ora prendiamoci una pausa dal nostro viaggio in giro per la Roma delle strutture sportive abbandonate e facciamo un salto indietro nel tempo. Torniamo al 1960. Un’Italia in pieno boom economico piangeva la morte di Fausto Coppi e dava il benvenuto a Franco Baresi, che tra gli anni Ottanta e Novanta sarebbe diventato un’icona del calcio italiano. È l’anno di Tribune elettorali, il primo talk-show politico, ma sopratutto delle Olimpiadi, assegnate alla Capitale dopo il ballottaggio con Losanna (battuta con 35 voti a 24).

I Giochi si aprirono il 25 agosto e si chiusero l’11 settembre. 5.338 gli atleti partecipanti da ogni parte del mondo. Un evento eccezionale per l’Italia che si rifece il look proprio in vista dell’appuntamento. Dall’inaugurazione dell’aeroporto di Fiumicino alla costruzione di molti impianti, la Capitale cambiò volto, ma l’Olimpiade coinvolse anche altre città italiane.

Lo storico ex-Velodromo snobbato da Roma 2024

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“Possiede la volata breve e quella lunga. Ha lo scatto e la potenza. Correre contro un avversario o contro il tempo gli è indifferente, tanto a perdere lui non ci sta mai”. Così il telecronista della Rai raccontava il trionfo di Sante Gaiardoni al Velodromo olimpico. Due ori nel ciclismo su pista ai Giochi di Roma del 1960. Il primo nella velocità, il secondo nel chilometro da fermo dove superò il belga Ernest Sterckx.

Lo stadio in cui fu scritta quella pagina di sport oggi non esiste più. È stato demolito il 24 luglio del 2008 dopo quarant’anni di inutilizzo. Dal 1968 fu giudicato inagibile e pericolante. Così, a soli otto anni dall’inaugurazione, l’impianto venne chiuso al pubblico rimanendo solo a disposizione degli atleti per gli allenamenti di ciclismo su pista e hockey su prato, le due specialità che aveva ospitato nei Giochi del 1960.

Quello che resta è solo il ricordo del vecchio Velodromo e un grande cratere verde circondato da cancelli arrugginiti, in parte divelti dalle radici. Durante la notte vandali e senza tetto si accampano in mezzo al prato lasciando immondizia lì dove si stendeva la pista in parquet e sedevano oltre 17mila persone. L’Eur Spa, una società controllata per il 90% dal ministero delle Finanze e per il 10% dal Comune, non ha una risposta quando interrogata sul futuro dell’area: “Non ci sono progetti”, fanno sapere. Parole che contrastano con quelle del presidente di Eur Spa Roberto Diacetti: “Lavoriamo per valorizzarlo”. Con i soldi che otterrebbe dalla vendita del nuovo progetto (tra le ipotesi la più accreditata sembra quella di un complesso residenziale), Eur Spa potrebbe completare alcune opere incomplete di sua proprietà come il centro congressi della nuvola di Fuksas.

La zona del Velodromo però è al centro di un altro scandalo. Insieme al cemento, durante la demolizione di quasi otto anni fa potrebbero essersi sbriciolati anche chili di amianto. Da tre anni è in corso un processo , oggi fermo al primo grado, a carico dell’ex dipendente dell’Eur Spa Filippo Russo sulla presenza di eternit nella struttura demolita. “Nell’impianto – spiega Cristina Lattanzi, vicepresidente del comitato salute e ambiente Eur – erano presenti tra le quattro e le sei tonnellate di amianto e si tratta solo di quello smaltito, peraltro con pochi controlli. Nella relazione finale della Asl si parla solo di 105 chili fatti saltare in aria. L’area – continua – deve mantenere la destinazione sportiva per cui è stata vincolata, non può essere utilizzata per costruire un complesso residenziale”

Per anni, dopo la demolizione, si è parlato prima di costruire un acquario, poi un laghetto artificiale simile a quello già esistente nel quartiere. Nell’ultima ipotesi, fatta prima della rinuncia del governo Monti alla candidatura per ospitare le Olimpiadi del 2020, si immaginava di ricostruire un Velodromo. Il Comitato Roma 2024 non ha ripreso l’idea perché, come spiegato dalla coordinatrice Diana Bianchedi, il Cio ha chiesto alle città candidate di concentrare il maggior numero di strutture in poche zone della città.

Il Velodromo per i Giochi del 2024 quindi sarà nuovo di zecca e sorgerà nella Città dello sport. L’unico impianto che andrebbe costruito da zero.

Campo Testaccio. La storia della As Roma soffocata da immondizia e burocrazia

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Pochi sanno che prima di vincere lo scudetto del 1942 la As Roma ha giocato in uno stadio passato alla storia con il nome di Campo Testaccio. Qui si giocarono decine di partite tra il 1929 e il 1940. A calcare il campo di terra battuta furono i primi campioni della squadra giallorossa. Dopo la demolizione dello stadio, quest’area è rimasta abbandonata fino all’inizio degli anni 2000. Poi, grazie all’azione congiunta di Franco Sensi e del Comune, il campo è tornato a vivere. Un nuovo inizio che, però, è durato poco. Pochi anni dopo Campo Testaccio è rimasto invischiato in un’infinita polemica a colpi di ricorsi e carte bollate.

Oggi il futuro del glorioso campo Testaccio resta incerto. La proposta più concreta è quella del consigliere del Municipio I di Sel Mauro Cioffari: rifare il campo aggiungendo altri impianti sportivi e un’isola energetica dove poter ricaricare cellulari e macchine elettriche.

Tutto a impatto zero, finanziato da fondi pubblici e privati, per i quali andrà indetto un bando, con l’obiettivo di “riconsegnare ai cittadini un’area storica”, ha spiegato Cioffari.

 2024: l’ultima spiaggia?

Il Comune di Roma dovrebbe sborsare più di 450 milioni di euro per rimettere in sesto le strutture di cui abbiamo parlato. Un investimento impossibile per le casse del Campidoglio che da anni segnano un debito da miliardi di euro. Le Olimpiadi sembrano dunque l’unica soluzione per gli impianti della città. I progetti alternativi, come visto, ci sono (dalla serra di Tor Vergata all’area green di Campo Testaccio), ma non poggiano ancora su basi solide e sono troppo legati alla possibilità di intercettare fondi privati o europei.

Come dimostra il rapporto presentato dai Radicali italiani però, raramente i Giochi generano introiti, anzi: solo in due casi (Los Angeles 1984 e Barcellona 1992) le città si sono arricchite. Inoltre restano alcune incognite sulla spesa che il Comitato 2024 dovrebbe fare per migliorare le infrastrutture della Capitale dato che i numeri ufficiali usciranno solo a ottobre (come richiesto dal Cio). Ma soprattutto: Roma può davvero aspettare settembre 2017 per sapere se e come potrà riabilitare queste aree?

Questo servizio è un Progetto di fine corso per il biennio 2014-2016 dell’Istituto per la Formazione al giornalismo di Urbino (IFG), pubblicato il 18 marzo 2016.