Foglie illegali, legali o terapeutiche. La strana vita della cannabis

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di Matteo De Rinaldis

Urbino, il paese dei balocchi. Fino a qualche anno fa, la città marchigiana era sinonimo di una movida ai limiti dell’estremo, dove il rapporto tra residenti e studenti è di uno a uno. Pochi locali nel raggio di un centinaio di metri, tanti vicoli dove i ragazzi si incontrano per trasgredire e vivere la prima esperienza lontano da casa.

Maurizio Gambini, sindaco della città, ha cercato di risolvere la situazione con un’ordinanza che vieta il consumo di alcolici dalle 22. Ma nel frattempo, i residenti del centro storico hanno progressivamente abbandonato le case all’interno delle mura cittadine. Meglio affittare a universitari e spostarsi in quartieri periferici più tranquilli. Proprio in quelle case di urbinati, spesso gli studenti coltivano illegalmente marijuana. Ma secondo la polizia, la situazione è sotto controllo.

Una vita più difficile di un residente urbinate ce l’ha invece la pianta della cannabis. Una pianta che ha perso la sua personale battaglia anni fa contro nylon e petrolio. Era il 1937 quando in America venne approvato il Marijuana tax act, la legge che impediva la coltivazione di Canapa. Harry J. Anslinger, direttore del Federal bureau of narcotics e uno dei principali oppositori alla cannabis, giustificava così la sua abolizione: “La marijuana è la droga che più ha causato violenza nella storia dell’uomo”. Da lì in poi, la coltivazione di Canapa è stata vietata in gran parte del mondo.

Dopo oltre cinquant’anni ai margini, la cannabis sta lentamente tornando alla ribalta grazie all’uso terapeutico e negli ultimi mesi si è affacciata una nuova tipologia “commerciale” che ha generato profitti milionari, in maniera del tutto legale. O almeno, non del tutto regolamentata.

Dal legale all’illegale, dalle dipendenze all’uso medico. Un viaggio “all’inverso”, dunque, attraverso le varie anime di una pianta che ha avuto l’unica “sfortuna” di avere infinite possibilità di utilizzo.

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“Scusa, che hai da fumare?”

A Urbino la marijuana è senza dubbio la droga più utilizzata all’interno delle mure della città, e farsi una canna sotto i torricini di Palazzo Ducale potrebbe non essere così complicato. Ma soprattutto, adesso è legale. Negli ultimi anni, in tutta Italia stanno aprendo negozi dalle insegne inequivocabili: la classifica foglia di marijuana, in vetrina in bella mostra grinder (lo strumento per sbriciolare l’erba), bong, accendini, vaporizzatori e lampade per la coltivazione. All’interno è possibile comprare cannabis, in maniera del tutto regolare. L’erba che viene venduta, infatti, contiene un Thc inferiore allo 0,6%, la soglia stabilita dalle legge per rendere la marijuana illegale.

A seconda dell’interpretazione che ogni venditore dà della legge, si possono trovare in commercio cannabis sotto la soglia minima (0,2%) o prodotti poco sotto il limite massimo di tolleranza (0,6%).

I negozi specializzati nella vendita della cannabis light hanno aperto in tutta Italia, comprese le Marche. Nella provincia di Pesaro e Urbino, è possibile comprare questo tipo di prodotto direttamente in centro a Pesaro o a Fano. Ma altri negozi specializzati si possono trovare anche nel sud delle Marche.

Nella zona industriale di Monsano, a due passi da Jesi, dopo una piccola salita in mezzo a capannoni industriali, due vetrine lasciano pensare a un semplice negozio dedicato all’agricoltura. Fertilizzanti, semi, arnesi da lavoro. Entrando, la prima cosa che salta all’occhio è invece l’infinita quantità di clipper in vendita, il tipico accendino per pressare la canna una volta rollata. Sulla sinistra, svariati tipi di cartine, mentre in una teca sul fondo sono esposti vari bong.

Vita verde è un grow shop aperto da Diego Bravi, 41 anni. Tre anni spesi in Australia tra lezioni di Kung-fu e lavorare come pizzaiolo. Rientrato in Italia, Diego ha aperto la sua attività nel 2015. Dallo scorso anno la domanda di chi entra è spesso, molto spesso, la solita. “Ciao, hai qualcosa da fumare?”. Una richiesta che sentiamo anche durante la nostra intervista: “Devo andare a Senigallia – chiede un ragazzo sulla ventina – ho pensato di fare un salto qui per vedere se trovo qualcosa di interessante”.

“Abbiamo aperto tre anni fa – spiega dopo aver venduto erba light a quattro ragazzi – Prima ero un semplice grow shop e vendevo tende per la coltivazione, semi e

Il negozio Vita verde

fertilizzanti. Adesso da maggio dello scorso anno vendo queste cose qui”. E indica diversi barattoli sul bancone. Confezioni da 8 grammi ciascuna con diverse tipologia di cannabis light. A rifornire Vita verde della cannabis è Easyjoint, la società nata lo scorso anno che vende marijuana con il Thc sotto allo 0,2%. “A prima vista è impossibile distinguerla da quella illegale, anche i cani antidroga non percepiscono la differenza“.

Quello della cannabis light è un mercato nato da poco ma che si sta normalizzando in fretta: “La competizione comincia a essere molto forte – spiega Diego -. Quando ho aperto la mia attività mi sono scelto un posto isolato e nascosto, bisognava stare un po’ nell’ombra. Adesso ci sono negozi che aprono in pieno centro”. Ma soprattutto, in un settore così ancora poco definito dal punto di vista legale, il futuro potrebbe essere incerto: “Magari domani esce una legge che permette alle tabaccherie di vendere questi prodotti. Io fortunatamente non mi baso solo su questo, il mio grow shop è nato prima che entrasse in commercio la cannabis a basso Thc e sicuramente lo avrei anche dopo”.

La normativa che regola la vendita è da tutti definita molto confusa. In realtà, manca completamente: “La legge è molto vaga, non proibisce la vendita e non chiarifica gli utilizzi. Ufficialmente è venduta per uso tecnico e collezionistico, ma non per uso alimentare”.

A comprare l’erba non psicotropa non sono soltanto i ragazzi incuriositi: “L’età della clientela si è alzata molto. Chi cerca questo prodotto non è il ragazzino che cerca lo sballo con la cannabis ma una platea di persone di 30, 40 e 50 anni che magari, stressati da una giornata di lavoro, vogliono semplicemente rilassarsi senza sballarsi”.

 

All’interno del negozio è possibile sì comprare erba ma anche molti altri prodotti: “Vendo tutto quello che riguarda la canapa. Dai prodotti alimentari alle borse, ci sono scarpe, mutande e portafogli. Mi piacerebbe allargarmi nel settore dell’abbigliamento: come tessuto è ottimo, ha una termicità e una vestibilità incredibili rispetto anche al cotone. E i nostri nonni potrebbero confermarcelo”.

Alcune volte, i clienti si presentano al bancone con una ricetta medica. Se la cosa può sembrare simpatica, la verità è però molto più seria: “Spesso mi trovo di fronte persone che stanno male e vogliono curarsi. I loro dottori prescrivono la cannabis terapeutica che però non trovano in farmacia e ripiegano sui miei prodotti, che però sono completamente diversi”.

Sull’importanza della cannabis a livello terapeutico, Diego non ha dubbi: “A livello scientifico si continua a leggere che i risultati ci sono, non capisco tutto questo ostruzionismo. Spesso trovo riscontri molto importanti anche dai racconti dei miei clienti. Non sono un medico e non posso dare consigli, ma a livello di trattamento dei tumori sembra che funzioni”.

Prima di farci consigliare un’erba da provare con gli amici al sabato sera, l’ultima curiosità. “Se ho delle mie piantine? No, ma sto cercando di convincere l’agricoltore mio vicino di casa per mettere un piccolo appezzamento”.

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Easyjoint, un mercato da 2 milioni di euro

Creare un’azienda e dare vita a un mercato fino a quel momento inesistente, arrivare a fatturare nei primi nove mesi di vita 2 milioni di euro. Un sogno che forse ha sfiorato un po’ tutti i giovani imprenditori italiani. A riuscire in questa impresa in Italia è stata un’azienda di Parma nata l’11 maggio del 2017, Easyjoint. A raccontare il progetto è Leonardo Brunzini, uno dei due soci fondatori. “La nostra è prima di tutto un’azione politica”. Sarà, ma nel frattempo, a pochi mesi dal suo primo anno di vita, Easyjoint ha smerciato quasi venti tonnellate di cannabis light. “Il nostro obiettivo – spiega Leonardo – è far conoscere questo prodotto e renderlo comune all’opinione pubblica per togliere la paura. Un primo passo per sperare in una regolamentazione e in una definitiva liberalizzazione”

Un prodotto Easyjoint

L’idea di puntare in questo settore nasce dal vuoto legislativo riguardo la commercializzazione dei fiori di canapa: “È una legge monca. Di fronte alla proposta che regolamenta tutta la pianta, l’ala proibizionista del Parlamento si è impuntata e la parte relativa all’infiorescenza è sparita. Con la vendita del nostro prodotto vogliamo stimolare il dibattito e far nascere il problema della commercializzazione, visto che ora non esiste un regolamento e non riescono a non farcelo vendere”.

Per “aggirare” una norma che non esiste, Easyjoint si è inventata un utilizzo decisamente fantasioso delle infiorescenze: “Non potendo vendere il nostro prodotto come prodotto alimentare o come surrogato del tabacco, ci siamo inventati l’uso tecnico, di ricerca e sviluppo o collezionismo”. In sintesi, il cliente finale può “ricercare” il modo migliore per utilizzare il prodotto acquistato. “Se una persona che compra un peperoncino se lo vuole fumare è libera di farlo – scherza Leonardo -. Non è vietato l’utilizzo che vuoi farne, e io che lo vendo non ho responsabilità”.

L’azione “politica” di Easyjoint è arrivata anche alla Camera dei deputati. Lo scorso 15 febbraio, una delegazione dell’azienda è stata accolta a Montecitorio per raccontare la loro esperienza: “Stiamo chiedendo una regolamentazione del mercato. Vogliamo un permesso ufficiale per vendere questo prodotto, che sia dichiarata lecita la vendita e la commercializzazione dell’infiorescenza. Servono norme precise e stringenti sullo stile delle normative che riguardano l’alimentare. È una tutela che un mercato di queste dimensioni ha bisogno”.

Per capire il giro d’affari che sta dietro al businnes della cannabis light, Easyjoint ha deciso di affidare uno studio a Davide Fortin, ricercatore della Sorbonna di Parigi e membro del Marijuana policy group, il gruppo che ha condotto gli studi per la legalizzazione della cannabis in Colorado: “Si parla di 44 milioni di euro l’anno e 960 posti di lavoro. Se si amplia alla possibilità di completa legalizzazione del prodotto, i numeri crescono vertiginosamente e somigliano a quelli di una manovra economica”.

In attesa che le regole del gioco vengano scritte, il mercato ha già cominciato a correre: “Dopo la nostra apertura il mercato della cannabis light è diventato un far west. Sono nate altre aziende che commerciano infiorescenze e propongono di tutto. Noi rispettiamo i parametri e le varietà di semi indicati dall’Unione europea, altri no. È una concorrenza difficile e sleale. È come una corsa, soltanto che uno ha le scarpe e l’altro le ciabatte”.

Ma anche con le ciabatte, il mercato di Easyjoint è andato più veloce degli altri. Il primo giorno di vendita l’azienda ha ricevuto un ordine ogni 30 secondi, una media che si è mantenuto per le 18 ore successive. Il risultato è stato quello di far saltare il server italiano di Paypal. “Il giorno dopo – spiega Lorenzo – abbiamo inceppato anche le Poste italiane a causa delle spedizioni e le consegne del prodotto. Pensavamo di poter esplodere sul mercato ma nell’arco di un paio di mesi, un “botto” del genere ci ha colti impreparati”.

Nei primissimi giorni, per la vendita l’azienda si era appoggiata a Canapaio ducale, il grow shop di proprietà di Luca Marola, altro fondatore di Easyjoint:

La cannabis a basso contenuto di Thc di Easyjoint

“Abbiamo chiesto una mano ai ragazzi che venivano ad acquistare la nostra cannabis light. Ci aiutavano a inscatolare il prodotto in cambio di tre barattoli”. Di quei giovani che nel maggio dello scorso anno si sono “venduti” per un paio di grammi light offerti, tre di loro sono entrati a far parte dello staff.

Inizialmente l’azienda aveva pensato di coltivare in proprio la canapa da rivendere. Ma visto il boom iniziale le scorte sono finite quasi subito: “Quella che abbiamo coltivato noi è durata una settimana. Adesso ci siamo appoggiati a una serie di agricoltori italiani che ci forniscono la materia prima. Da dieci aziende siamo arrivati a una cinquantina, per il 2018 sono oltre 300, tutte con contratto di ritiro, cioè con il materiale venduto già prima della semina”.

“Stiamo investendo sulla nascita di una scuola di specializzazione sulla coltivazione della Canapa (Italian cannabis businness school) – conclude Lorenzo -. Si tratta di una scuola itinerante per preparare nuovi professionisti che possano emergere in questo mercato. La prima tappa è stata lo scorso 10 marzo a Roma, a metà aprile saremo a Milano e poi nelle altre principali città italiane”. A preparare i futuri esperti di cannabis legale è una squadra composta da trenta docenti: “Sono i migliori conoscitori delle singole materie. La conoscenza di questa materia è relegata a pochi, c’è bisogno di qualità in questo settore”.

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“Dov’è finita la Canapa?”

“Spinello sì o spinello no? La domanda è stupida, la grande domanda è: dov’è andata a finire la Canapa?”. Ben prima di scendere in politica, Beppe Grillo riempiva i teatri di tutta Italia con i suoi spettacoli. In uno di questi, nel 1997 nella sua Genova, il comico parlava della scomparsa della Canapa e di cosa aveva portato alla sua sparizione. Una guerra di potere tra la pianta e i maggiori produttori di nylon e petrolio. A più di vent’anni di distanza, un’azienda marchigiana potrebbe rispondere a Grillo e mostrare i 40 ettari coltivati nel territorio marchigiano: Canapa delle Marche.

 

“Siamo un’associazione di agricoltori – dice il presidente Matteo Venturini – che ha l’obiettivo di aumentare gli ettari coltivati nella canapa, crediamo nella pianta e nei suoi mille utilizzi possibili. Ci siamo costituiti lo scorso anno ma di fatto lavoriamo come un’associazione da cinque anni. Siamo quattro soci fondatori, ma in vista della coltivazione prevista per aprile e maggio contiamo di arrivare a 25 soci ordinari”. Un ingrandimento costante anche a livello di terreni coltivati: “Per ora abbiamo sempre raddoppiato le dimensioni. Il primo anno coltivavo poco più di mezzo ettaro, lo scorso anno venti e quest’anno siamo arriva a 45”. A crescere non solo soci ed ettari, ma anche il fatturato: “Il bilancio del 2017 si aggira attorno ai 50.000 euro. Probabilmente l’anno prossimo sarà il triplo”.

Come per la vendita della cannabis light, anche il mercato della Canapa è a rischio: “Non sappiamo ancora che direzione prenderà la legge. Per le infiorescenze c’è minaccia della legalizzazione. Se dovesse arrivare, il fiore di canapa non varrebbe più niente”.

Ma la Canapa non è soltanto fiore: “A livello industriale ci sono tre settori: alimentare, tessile ed edile. Dal seme parte parte tutto l’aspetto alimentare, mentre il fusto è ricco canapulo e fibra, due prodotti di base che sono importanti per la bioedilizia, per il tessile o per la bioplastica”. Tanti i prodotti che possono essere ricavati dalla canapa in questi settori: “Ci si possono fare i massetti per i pavimenti o gli isolanti per i tetti. È un isolante naturale”.

Nonostante la crescita del mercato, il mondo dell’alimentare è molto difficile: “Ci vorrebbero impianti di trasformazione nelle nostre zone, i più vicini sono Torino e Taranto, e spesso i costi di trasporto superano i guadagni. La regione Marche ha dichiarato di voler realizzarne uno, ma alla fine non se n’è mai fatto nulla ed è un peccato. Si potrebbe coltivare la Canapa e avere un margine di guadagno lavorando solamente sul tessile e la bioedilizia”.

Tra i prodotti alimentari che escono dall’associazione, l’olio di Canapa è il fiore all’occhiello dell’azienda: “È stato premiato come il miglior olio di Canapa in tutta Italia. Il riconoscimento è arrivato non tanto dal sapore: ma da altre caratteristiche: ha un’azione antinfiammatoria molto importante e un apporto nutrizionale fondamentale. Ma i valori aggiunti di questo prodotto sono i livelli di Omega 3, omega 6 e omega 9. Solo l’olio di canapa dà un rapporto perfetto di queste tre componenti, ma per ottenerlo bisogna spremerlo nella maniera adeguata e a freddo”. Per ottenere un prodotto di eccellenza, tutto parte dalla qualità del seme: “Deve avere un peso specifico alto ed essere trebbiato ed essicato nello giorno. Per avere un olio di ottima qualità la spremitura deve avvenire a freddo”.

Visto il dilagare dei prodotti a base di Canapa negli ultimi anni, Matteo lancia un’allarme su cosa i clienti possono trovare sugli scaffali dei supermercati: “Ormai si trovano oli di Canapa biologici che vengono dall’estero nei quali non si sa come è stato spremuto il seme. Il maggior produttore mondiale di canapa alimentare è la Cina, ed è molto probabile che quello che il mercato importa sia cinese, la cui agricoltura è la più inquinata del mondo. Al netto di tutte le spese, produrre un litro d’olio costa 40 euro al litro. Se troviamo una bottiglia in offerta a tre euro e cinquanta c’è qualcosa che non va, non c’è una soluzione matematica per arrivare a certi prezzi”.

Ma oltre all’olio ci sono biscotti, farina, birra e vari tipi di pasta. “L’azione che facciamo in campo alimentare è volta alla valorizzazione degli aspetti benefici e salutari della canapa. La farina contiene un alto tasso di proteine vicino al 38%, è una cosa sensazionale. Mangiare una pasta con questo tipo di farina ha un alto contenuto proteico e rende tantissimo a tavola: 250 grammi di pasta sono sufficienti per quattro o cinque persone. È come se oltre alla pasta avessi mangiato anche una fettina di carne”.

 

Oltre a tutti gli utilizzi possibili, la Canapa ha un effetto benefico sul terreno dove è coltivata: “Purifica i terreni e l’aria, ha un’azione di produzione dell’ossigeno che dura per tutta la vita della pianta a differenza del grano che quando matura non lo produce più. Se in un campo hai coltivato per un anno Canapa e l’anno dopo ci pianti il grano, questo ti rende di più, è un modo anche per rendere più ricco il terreno in maniera del tutto naturale”.

A differenze di alcune piante che per dare il meglio hanno bisogno di particolari tipi di clima e terreni, la Canapa si adatta a molti tipi di territori. Ma le Marche sono indicate: “Soprattutto perché il nord italia è una zona che è stata molto sfruttata a livello agricolo. I terreni sono pieni di pesticidi e diserbanti, senza contare l’alto tasso di inquinamento. Al sud invece la stagione estiva è molto calda, forse troppo per questo tipo di Canapa”. Una situazione che poteva essere migliore se la coltivazione non si fosse fermate per 50 anni: “Purtroppo non abbiamo varietà nazionali. Se pianto i semi che raccolgo nel giro di qualche anno riesco ad avere una pianta che si adatta al mio territorio, ma continuiamo a importare varietà straniere e piantarle con il rischio di trovarci di fronte a una stagione poco favorevole. Non siamo ancora un’azienda certificatrice, ma magari un giorno arriveremo a esserlo”.

“Prendi questo, non ti sballa”

Tra le varie cose che si possono acquistare, l’olio di Cbd che proviamo assieme a Matteo. Il sapore ricorda quello del fieno: “Questo non vi sballa nemmeno se prendete dieci gocce – scherza -. Ha un sapore molto forte e si ottiene dalla prima spremitura, per questo ha un colore così intenso”. L’occasione è buona per farsi spiegare le differenze tra il cannabidiolo e il Thc. “Sono due principi attivi competitivi tra loro: nelle varietà con molto Thc c’è poco Cbd e viceversa. Il primo è un antidolorifico e psicoattivo, il secondo non è antinfiammatorio e non genera un effetto psichedelico. Non esiste un limite per l’assunzione, tanto che non si è mai verificato un caso di overdose, non danno problemi di intolleranza e non creano problemi con l’assunzione di altri farmaci”.

 
Tutto positivo, ad eccezione di qualche effetto collaterale: “Ovviamente per il thc il problema è lo sballo, l’aumento dell’assunzione può diventare un problema, ma chi fuma le canne lo cerca. Il cannabidiolo invece non ha effetti collaterali ed è considerato un ottimo farmaco in diversi Paesi d’Europa”.

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SCHEDA: Thc, la legge “monca” e il Cbd

Un biglietto dell’autobus o un flyer di un concerto. Ma anche la testina di un pacchetto di sigarette, o l’involucro delle cartine lunghe. Lo sballo di una canna passa sempre da qui. Un filtro fatto al volo all’uscita di un bar del centro o sulle mura della città, affacciati sulle colline del Montefeltro. Poi si rolla, si “appiccia”, un tiro, una nuvola di fumo e via con quella strana sensazione di leggerezza. A provocare quel senso di benessere tanto ricercato dai consumatori di marijuana è un principio attivo dal nome particolarmente complesso, il delta-9-tetraidrocannabinolo. Semplicemente, il Thc, la sostanza psiscotropa presente nei fiori di cannabis.

Psiscotropa nell’uso comune è diventato “stupefacente”, cioè in grado di alterare l’attività mentale. L’abuso di cannabis può portare ad alcuni effetti collaterali: deterioramento della memoria a breve e lungo termine, calo dell’attenzione e può creare dipendenza. Oltre a questo, il Thc ha però anche alcuni aspetti positivi: antidolorifico, euforizzante, antinausea. Proprio per queste proprietà, la medicina tradizionale ha cominciato a utilizzare il Thc anche in ambito medico.

La legge

In una legge approvata il 2 dicembre del 2016 sono fissati i livelli massimi di Thc che possono essere presenti in prodotti derivati dalla Canapa. Il limite è di 0,2%, ma la legge consente un margine di tolleranza sino allo 0,6%. È già qui nascono i problemi di interpretazione. Non è specificato se la norma si riferisce soltanto agli agricoltori, e se quindi i venditori di cannabis possano vendere marijuana con più dello 0,2%.

Ma la più grande lacuna della normativa è un’altra. Nei dieci articoli che compongono la legge non si accenna mai alle infiorescenze. Nella versione iniziale, l’articolo 2 comma 2 prevedeva “la produzione di infiorescenze, fresche ed essiccate per scopo floreale o erboristico”. Una frase che però è stata tagliata nella versione finale con un semplice risultato: la legge non specifica se la cannabis a basso contenuto di Thc si possa fumare o commercializzare. E per aggirare questa norma mancata, i rivenditori hanno ideato una nuova modalità d’utilizzo decisamente “stravagante”: uso tecnico, di ricerca e sviluppo o collezionismo.

Un’altra “grana” da risolvere è quella relativa alle varietà di canapa coltivabile. Nei primi anni del ‘900, l’Italia era il secondo produttore mondiale. Ma il blocco cinquantennale ha impedito agli agricoltori italiani di poter produrre nuovi tipi di seme. Il declino della pianta era cominciato in America con il marijuana tax act, la legge che vietò la coltivazione di Canapa e diede inizio al proibizionismo.

Le varietà coltivabili sono 64 e stabilite dall’Unione europea. Se un particolare tipo di seme non è in questa lista, la sua coltivazione è illegale. E qui si aprono scenari abbastanza complessi. Uno dei maggior produttori di semente è la Svizzera, che non aderisce all’Ue. Le sue leggi interne non prevedono così le limitazioni imposte dalla legge dell’Unione, l’unica soglia fissata dagli elvetici è che nel prodotto finale il Thc sia inferiore all’1%. Il problema nell’importazione non sta tanto nel limite del Thc, che deve comunque essere sotto lo 0,6%, ma dalla genetica del seme. Se, ad esempio, un seme è ottenuto incrociando una varietà con un Thc più alto e una con una percentuale minore e si ottiene un nuovo tipo che resta comunque al di sotto dei parametri stabiliti dalla legge, questo non può essere introdotto perché non è presente dentro la tabella dell’Unione europea.

Il Cbd

Assodato che il Thc è il principio attivo che rende la cannabis illegale, c’è un’altra sigla che consumatori e non hanno cominciato a conoscere meglio negli ultimi anni è il Cbd, il cannabidiolo. A differenza del “fratello cattivo”, il cbd è totalmente legale. Le sue proprietà non sono psicotrope, e l’assunzione comporta numerosi benefici: è un potente antinfiammatorio, ansiolitico, allevia la nausea e viene utilizzato per trattare l’asma, combattere la schizofrenia e le crisi epilettiche.

Ci sono vari metodi con cui assumere il cannabidiolo:esistono gli olii al cbd, le gocce, balsami, creme e perfino gomme da masticare. Per i fumatori esiste il liquido a base di Cbd da utilizzare nelle sigarette elettroniche.

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“Una canna e andiamo a sbidonare”

A Urbino, da Borgo Mercatale si entra in città. Dalla piazza si può ammirare lo splendido Palazzo Ducale, la vecchia residenza dei duchi di Montefeltro, padroni della città nel quattordicesimo secolo. Vicino a porta Valbona, una piccola casa su tre piani funziona da sede della Polizia locale. All’ultimo piano, l’ufficio del vice questore Simone Pineschi. Dalla sua finestra, i torricini si vedono benissimo. Da questa stanza partono le operazioni di contrasto alla droga in una città di quindicimila abitanti e altrettanti studenti. Dove la droga, soprattutto quella definita leggera, circola negli ambienti universitari e non solo.

“Il problema del consumo negli studenti è sotto controllo – assicura Pineschi – ma siamo preoccupati per il consumo nei giovanissimi. Sono ragazzi di 14 e 15 anni che utilizzano sempre più precocemente sostanze stupefacenti”. La voglia di andare contro le regole, soprattutto in una fase adolescenziale, genera problemi che dalle droghe si trasformano poi in problemi sociali: “I giovani cominciamo a fumare marijuana. È un problema perché a quell’età non sai mai qual è il momento di fermarsi. Quando si entra in certi sistemi, c’è il rischio di avanzare sempre di più: da marijuana a hashish, poi cocaina, peggio ancora eroina”.

Il ritrovo per eccellenza dei giovani urbinati è il parcheggio di Santa Lucia, il centro commerciale della città. “Una specie di porto franco – dice Pineschi – c’è tutto un rituale del consumo. Facciamo controlli praticamente ogni giorno. Spesso la canna è solo il primo passaggio”. I gruppi, infatti, partono da lì per andare a scrivere sui muri e soprattutto a “sbidonare”, come dicono loro. “Partono per andare a ribaltare i cassonetti in città. Alcuni di loro sono già habitué del consumo, sono già stati segnalati o denunciati. Non percepiscono il disvalore di quello che fanno, ci dicono candidamente ‘ci facciamo solo una canna’. Per queste fasce di età si è perso il controllo sociale”.

A venire in soccorso alle forze dell’ordine spesso sono i genitori stessi. “A volte – spiega Pineschi – riceviamo segnalazioni anonime da parte dei parenti che vedono il

Delle piantine di cannabis sequestrate dalla Polizia

figlio in difficoltà, ci danno lo spunto per partire con le indagini. Altri invece vengono qui e sono proprio impotenti”. Oltre le segnalazioni dei parenti, la caserma riceve anche quelle degli istituti scolastici: “Abbiamo avuto chiamate anche quest’anno, quando hanno trovato della marijuana dietro a un termosifone. C’è una collaborazione totale, ogni piccola cosa strana notata da un preside o un professore siamo subito allertati e possiamo intervenire”.

Ma chi rifornisce i giovani di marijuana? “Il grosso spacciatore qui non esiste. Se vai a Perugia per strada alle due di notte troverai sicuramente qualcuno che ti offre qualcosa. Qui no. Abbiamo fatto molte attività, soprattutto con i parcheggiatori abusivi. Da lì si può passare al piccolo spaccio, è giusto stroncarlo sul nascere”. Ma la droga in città arriva un po’ dappertutto: “Urbino ha una posizione strategica, ‘abbraccia’ tutti. C’è molta eterogeneità degli arrivi. Le sostanze stupefacenti possono arrivare da Bologna, da Milano, da Ancona. Ma anche dalla bassa Toscana e dall’est Europa quando c’è di mezzo la criminalità albanese. Nonostante questo, il nostro resta un territorio integro: il consumo c’è ma è sotto controllo”.

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La nuova marijuana: 30% di Thc

Salita via Raffaello, la più ripida della città, si arriva nella piazza dedicata al più famoso cittadino di Urbino. Scendendo dalle scalette verso via Felice Comandino, sulla sinistra rimane una casa dall’entrata molto discreta. Un piccolo cartello segnala che da lì si entra nel Sert di Urbino, il servizio per le tossicodipendenze. Ad accoglierci e a raccontare lo stato dell’arte della droga in città è il responsabile della struttura, il dottor Roberto Reale.

Secondo i dati raccolti, il maggior numero di accessi deriva per un utilizzo primario di eroina. Ma i numeri non rappresentano una fotografia puntuale di quello che gira in città, a partire dalla cannabis: “È conosciuta come una droga leggera ma negli ultimi anni sta diventando molto pericolosa – racconta Reale -. Lo spacciatore fa in modo di creare la dipendenza. E per farlo il prodotto è modificato”. Rispetto alla consuetudine, la marijuana che gira ha una percentuale molto più alta di Thc, il principio attivo psicotropo presente nei fiori di Canapa e “generatore” dello sballo. Il risultato, gli spinelli dei nostri giorni sono diventati lontani parenti di quelli che si fumavano negli anni settanta e negli anni ottanta: “Parliamo di circa il 30% in più. E questo crea problemi di tipo psichico”. Distinguere la normale cannabis da quella potenziata è impossibile. L’unico modo è quello di analizzarla in laboratorio. Uno studente che si rifornisce al mercato nero, quindi, potrebbe trovarsi per le mani una droga molto più dannosa.

Pochissimi gli accessi al servizio per un utilizzo primario di cannabinoidi: “Dal punto di vista fisico l’utilizzo della cannabis potenziata produce degli effetti nel medio e lungo termine e questo riduce le richieste. I nostri dati sui cannabinoidi sono bassi ma sappiamo che la realtà è ben diversa con i giovani che cominciano già alla fine delle scuola medie. Quelli che vengono da noi sono per la maggior parte segnalati dalle forze dell’ordine, è difficile che un utente si presenti spontaneamente qui”. Chi viene segnalato dalla procura e deve presentarsi al Sert però ha un altro problema: “Venendo da noi, i ragazzi possono incrociare nella sala d’attesa o nei corridoi gli “anziani” che sono in cura per dipendenze molto più gravi. Questo per noi può essere un problema. Le persone più fragili dal punto di vista psicologico possono essere attratti dal fascino del tossicodipendente, avvertiamo una pericolosità a livello identificativo”. Per risolvere questa percezione, il direttore ha un’idea che però è difficilmente perseguibile: “Un’entrata alternativa o che lo stesso servizio offrisse orari diversi in base alle differenti richieste. Ma per farlo servirebbe molto più personale”.

“La cannabis non è percepita come un problema”

“La cannabis è ormai socialmente accettata – spiega il vice responsabile della struttura Marco Fortini -. Secondo l’opinione comune non è una cosa che possa creare danni. Tanti che ne fanno uso non lo dicono nemmeno più, non è percepito come un problema. Se chiedi a un giovane che fa uso di cannabis chi è un tossicodipendente ti risponderà ‘quello che fa uso di eroina’. È un problema anche culturale, i genitori quando accompagno qui i loro figli che sminuiscono la situazione. Favorisce l’accettazione a livello sociale”.

“A Urbino il grande spaccio non si è mai radicato – continua Fortini – qui ci sono magari piccoli spacciatori. Per trovare piazze di spaccio bisogno spingersi a Urbania, dove c’è una continuità di spaccio locale molto radicata. Adesso abbiamo notato un ritorno dell’eroina. Per questa sostanza il marketing delle droghe ha virato in modalità di consumo meno etichettate e più accettate dai consumatori, proponendo la modalità fumata. In questo modo non si ha più lo spettro dell’ago, del buco e dell’aids. Si fa passare il messaggio che è una cosa che fa meno male”.

Prevenire è (ancora e sempre) meglio che curare

Marco Zazzeroni, sociologo della struttura, spiega l’importanza (e i problemi) della prevenzione: “È fondamentale, ma purtroppo i risultati si vedono a lunga distanza. Per questo motivo è la prima cosa che viene tagliata. La prevenzione è oramai è superata idea di farla per le singole sostanze, con internet ormai i ragazzi sono informati e sanno tutto. Bisogna cercare di implementare le capacità di “autodifesa” dei ragazzi, rafforzare il miglioramento dei comportamenti di coppia dei ragazzi, le abilità che servono a gestire lo stress e le dinamiche che si creano nei gruppi di adolescenti. In una cerchia di amici – spiega Zazzeroni – una persona puoi spingere un’altra ad assumere comportamenti che non farebbe. I ragazzi devono farsi trovare pronti quando il gruppo fa pressione e dire ‘no, questa cosa non la voglio fare’”.

La maggior insidia però è che proprio in età adolescenziale, la cosa più importante del gruppo è essere accettato dagli altri: “Se un ragazzo è l’unico che non fa uso di sostanze e gli altri ti fanno pressione pil giovane potrebbe farsi un problema. Se non sa resistere finisce anche lui per farne uso. In questa età i ragazzi si sperimentano. Siccome ora i cannabinoidi si trovano come sigarette, ormai dobbiamo pensare che come alla nostra età abbiamo sperimentato il tabacco, questi sperimentano l’uso della cannabis”.

Il sociologo descrive anche la realtà di Urbino: “Il nostro è un tessuto ancora sano, dal punto di vista della criminalità la situazione è abbastanza tranquilla. Quelli che sono stati beccati non erano legati a organizzazioni criminali, magari coltivano piante in casa o in dei terreni a loro disposizione”.

“In genere un ragazzo che diventa tossicodipendente – dice il sociologo – è il sintomo di una disfunzione del funzionamento della famiglia. Chi arriva qui ha sempre condizioni familiari problematiche. Questo non significa che ha dei genitori delinquenti, ma hanno problematiche relazionali all’interno della famiglia, trascuranti o inaffettive. Per questo, facciamo colloqui anche con le famiglie molto spesso, sia assieme all’utente che separatamente”.

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La doppia diagnosi: come viene trattata la dipendenza da cannabis

Il vero problema della cannabis con più Thc, oltre a dare dipendenza, è quello di creare problemi a livello psichiatrico dando vita a casi conosciuti come “Doppia diagnosi”, ossia quei pazienti in cui è presente allo stesso tempo una patologia psichiatrica e una da utilizzo di sostanza. Con una determina del 27 dicembre 2016, la regione Marche ha approvato un documento che punta alla collaborazione tra il Dipartimento di salute mentale e il Dipartimento dipendenze patologiche.

I pazienti vengono trattati contemporaneamente da entrambi i servizi, quando in passato questi due ambiti hanno condotto “esistenze parallele e tendenzialmente separate”, spiega la determina. Il fine è quello di ottenere un’unica visione e condividere una strategia comune. Capire quale sia il disturbo primario rispetto all’altro (anche se “potrebbe essere impossibile giungere a una conclusione”) e individuare quale dei due sia prevalente (ma anche qui “è difficile stabilire una gerarchia”). Per farlo, la legge prevede la formazione di micro équipe composte da membri dei due servizi che si incontrano almeno una volta al mese per trattare ogni singolo caso.

La Determina Della Regione Marche Sulla Doppia Diagnosi by Scuola di giornalismo di Urbino on Scribd


 
All’interno di ogni Area vasta è presente dunque un team che prende in carico questi particolari soggetti affetti da “comorbilità”, come è definita la doppia diagnosi dall’Organizzazione mondiale della sanità. Per quanto riguarda l’Area vasta 1, quella di Urbino, l’équipe è composta da quattro persone: un assistente sociale del Sert, uno della psichiatria, uno dottore di psichiatria e dalla dottoressa del Sert, Raffaella Amadori.

“Ci arrivano sempre più invii dai servizi psichiatrici – racconta Amadori – Sono ragazzi che hanno dato segni di squilibrio mentale e che fanno uso di cannabinoidi. Oramai – continua – sempre più frequentemente i giovani sviluppano una psicosi da cannabinoidi. Nel 90% dei casi questa cosa non avviene, ma c’è una quota di persone in cui l’abuso slatentizza un disturbo psicotico. C’è un terreno genetico predisposto alla psicosi, ma se non usassero cannabinoidi non manifesterebbero una psicosi. Il Thc è come se funzionasse da grilletto per sviluppare questa patologia”.

L’aumento di pazienti affetti da doppia diagnosi è dovuto anche e soprattutto al potenziamento della marijuana che circola: “Se nella cannabis degli anni novanta o duemila ci poteva essere una quantità di Thc di un certo tipo, adesso esistono sostanze dove oltre ad avere una percentuale di principio attivo più alta sono anche molto più potenti. L’indice di efficacia psicotropa è molto maggiore. Per questo motivo sono aumentati gli ingressi dalla psichiatria”. Se ad esempio un ragazzo abituato a rollarsi una canna con una determinata quantità di erba, con la stessa quantità ma maneggiando una cannabis “potenziata” otterrà un’effetto molto più forte. “In questi casi – spiega la dottoressa – la psicosi è diversa, molto più “agitata”. In entrambe c’è un distaccamento dalla realtà. Ma in quella da cannabinoidi sono più frequenti le allucinazioni visive, a differenza di quella schizofrenica dove prevalgono quelle auditive. Inoltre, i pazienti sviluppano sindromi paranoide, con deliri e pensieri persecutori”.

Amadori analizza poi benefici e gli effetti collaterali del Thc: “Come per tutte le sostanze dipende dall’uso e dall’entità dell’abuso. Nel breve termine, fumare cannabis porta a un rallentamento psicomotorio, a un calo dell’attenzione e dei riflessi. Nel lungo periodo, invece, crea danni a livello cognitivo: problemi alla memoria, generare una sindrome amotivazionale, deficit dell’attenzione. Dall’altro lato esistono anche alcuni effetti positivi: è efficace contro il dolore, è utilizzato come ansiolitico e rilassante, stimola l’appetito. Sono aspetti positivi che possono essere usati in pazienti con dolori cronici o chemioterapici”.

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SCHEDA: La legge sull’utilizzo terapeutico

L’utilizzo della cannabis in ambito terapeutico è il frutto di un lungo lavoro legislativo. In Italia, i primi usi in medicina risalgono al 1997. Un decreto firmato dall’allora ministro della Sanità Rosy Bindi permetteva l’importazione di medicinali che all’epoca non erano ancora regolamentati nel nostro Paese. Dieci anni più tardi, un’altro ministro femmina pone un altro mattoncino nella storia della cannabis terapeutica: Livia Turco firma un decreto nel quale riconosce l’efficacia terapeutica del Thc.

Un ulteriore passo in avanti è stato fatto nel 2015, quando un progetto pilota del ministero dava il via alla produzione di cannabis. Nel decreto è stabilito che “la prova” sarebbe durata 24 mesi, per una produzione totale di 100 chilogrammi di infiorescenze di cannabis. La produzione è affidata allo stabilimento chimico farmaceutico di Firenze. Nell’allegato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, è stabilito in quali casi è possibile utilizzare medicinali a base di cannabis: esempi sono l’analgesia nel dolore cronico e l’analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale). La legge però stabilisce che prima di poter utilizzare questi farmaci il paziente deve sostenere le cure mediche tradizionali.

L’ultimo passaggio a livello legislativo è arrivato non più dal ministero della Sanità ma inserito come emendamento nel decreto fiscale del 2017. L’articolo relativo alla cannabis è il 18-quater. Sette punti dove sono indicate le linee guida: dallo Stabilimento di Firenze che mantiene il ruolo centrale nella produzione (ma nuovi centri potranno chiedere autorizzazioni a coltivare) alla spesa che lo Stato si impegna a investire oltre due milioni di euro.

La Legge Della Regione Marche Sull'Utilizzo Della Cannabis a Livello Terapeutico by Scuola di giornalismo di Urbino on Scribd


 
Oltre le leggi nazionali si inseriscono le normative che ogni regione ha deciso di adottare in materia. Nella regione Marche era stata approvata una legge già nel 2013. Ma i regolamenti attuativi sono stati approvati soltanto tre anni più tardi. La norma prevede che i medicinali potranno essere erogati negli ospedali, nelle farmacie ospedaliere, farmacie pubbliche o private convenzionate. Promossi anche alcuni progetti pilota in collaborazione con lo stabilimento di Firenze e con le università marchigiane.

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“Una nuova freccia nella terapia del dolore”

Tra i primi ad applicare la legge sull’utilizzo terapeutico in regione c’è Paride Marchi, medico che gestisce un’unità di medicina del dolore. Lo incontriamo all’Hospice di Fossombrone, un centinaio di metri dopo il meraviglioso ponte della Concordia, che collega il centro abitato del piccolo comune a sud di Urbino al borgo di San Antonio. Nei tre ospedali in cui opera, Urbino, comunitario di Cagli e comunitario di Fossombrone, sono oltre 40 i pazienti ai quali prescrive medicinali a base di cannabis.

Il dottor Paride Marchi nella sua sala operatoria a Fossombrone

“Il primo paziente a cui ho prescritto cannabis terapeutica risale al 19 agosto di due anni fa – ricorda Marchi -. Un giovane con una patologia neurologica. La terapia convenzionale non otteneva risultati e abbiamo provato questa cura”. Per ottenere un medicinale del genere, il dottore è costretto ogni volta a far compilare tre allegati scaricabili dal sito della regione Marche. Per una questione di privacy, a ogni piano terapeutico non corrisponde il nome del paziente ma un codice alfanumerico. La percentuale e la modalità di assunzione varia a seconda dei casi: “In una patologia infiammatoria che ha bisogno di una stimolazione immunitaria si possono utilizzare le varietà con basse percentuali – spiega Marchi -. Se vuoi un effetto anche psicostimolante devi muoverti su percentuali più alte”. Tre le tipologie di medicinali prescrivibili: la cannabis Fm2, prodotta nello stabilimento di Firenze, con la percentuale di Thc compreso tra il sei e il nove percento; la Fm19 (19-20% di principio attivo), oppure chiedere di importare un diverso farmaco a patto che sia presente nel documento con le linee di indirizzo sull’utilizzo della cannabis a livello terapeutico.

“Rimane però una criticità a livello normativo – dice mentre apre sul desktop del suo computer una cartella dal nome ‘Cannabis’ -. Siamo ancora in una fase di rodaggio, e se è vero che la norma prevede che la preparazione sia a carico del Servizio sanitario nazionale, l’unica struttura che permette di scaricare la spesa è l’Incra di Ancona. Un po’ scomodo per un paziente della nostra zona“.

Gli allegati da compilare per richiedere l'utilizzo di cannabis terapeutica nella regione Marche by Scuola di giornalismo di Urbino on Scribd


 
“All’inizio era utilizzato solo il trinciato – ricorda il dottore – le infiorescenze femminili di cannabis, come se fosse tabacco. Il prodotto non era però fumato ma doveva essere bollito”. Il motivo è presto spiegato: “L’aumento della temperatura fa sì che il principio attiva emerga. Per questo adesso i farmacisti producono capsule decarbossilizzate, una cosa molto più pratica. Nell’utilizzo dell’olio invece – spiega Marchi – c’è un’altra problematica relativa alla concentrazione. Servono macchinari appositi per capire quanti milligrammi di sostanza ci sono in ogni goccia. In farmacologia bisogna sapere, deve esserci un dato empirico”.

A questo proposito, Marchi sottolinea l’importanza degli studi scientifici in materia: “La terapia a base di cannabis è di supporto, deve essere utilizzata con discernimento in base alle varie patologie. È un affiancamento alla terapia tradizionale, quando quella ufficiale non ottiene effetto”. Parole che ricalcano quelle vergate sul modulo da compilare per la prescrizione. “Quando si passa alla cannabis senza dubbio si notano dei miglioramenti. Ci sono delle patologie come quelle muscolari che hanno delle note bibliografiche positive. Il suo ruolo più importante è sul dolore e sulla spasticità, dalla sclerosi multipla al Parkinson. Ma queste terapie possono essere efficaci anche nei casi di anoressia, perché stimola l’appetito, o nel glaucoma, perché riduce la pressione endoculare”.

I prodotti a base di cannabis utilizzabili nella regione Marche by Scuola di giornalismo di Urbino on Scribd


 
L’utilizzo di questa tipologia di farmaci può inoltre portare benefici per quanto riguarda l’assuefazione causata da determinati farmaci: “Quando un paziente sta effettuando una cura a base di oppioidi e non si vedono benefici, si può parallelamente somministrare cannabis abbassando la quantità di oppioidi. L’effetto combinato può portare magari sonnolenza, ma almeno il paziente non rischia di andare in coma”. Un abuso di oppioidi, infatti, può portare a una depressione respiratoria, cosa che invece la cannabis non fa. “In Italia – dice il dottore – si utilizzano oppioidi cento volte più forti della morfina come se fossero gocce di collirio. È una cosa pericolosissima. Purtroppo c’è nel nostro Paese una cultura di questo tipo di farmaci molto ampia, mentre la cannabis mantiene sempre questa paura ancestrale. Io non sono per la liberalizzazione, ma la cannabis terapeutica è una nuova freccia all’armamentario terapeutico del terapista del dolore”.

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La cura di Matteo

Che la Canapa avesse tanti benefici Matteo Venturini lo sapeva già, quando ha deciso di investire nella coltivazione della pianta e fondare Canapa delle Marche. Tra tutti gli utilizzi Matteo ha provato anche l’efficacia della terapia medica. Mesi fa gli era stato diagnosticato un tumore al cervello e 24 mesi di vita. “Era come se avessi una pallottola nel cervello”, spiega. Ed è lì che la Canapa è arrivata in aiuto: “I dottori mi hanno trovato la malattia dopo un fortissimo attacco epilettico – ricorda Venturini -. Fortunatamente prima dell’operazione ho conosciuto Gennaro Muscari, un dottore che mi ha prescritto una cura a base di cannabis. L’azione combinata di Thc e Cbd può distruggere la massa tumorale: il primo la riduce, il secondo aiuta a sfiammare la zona interessata. Io sono stato fortunato, con me la terapia ha funzionato benissimo”.

“Ho un ricordo bellissimo della terapia – ricorda il presidente di Canapa delle Marche -. In attesa dell’operazione ho vissuto in maniera completamente rilassata. A volte i dottori mi dicevano che alcuni esami sarebbero stati ‘tosti’ da sopportare e io ero tranquillissimo. Per fortuna quando mi hanno operato a Cesena hanno scoperto che il tumore era benigno”. Venturini durante le cure non ha fatto chemioterapia o radioterapia: “Mi sono avvicinato all’intervento solo utilizzando il Thc. Dopo, un altro dottore mi ha prescritto degli antiepilettici e ho dovuto sospendere le cure che mi aveva prescritto Muscari. Tra l’altro sono farmaci che danno dipendenza e continuo ad assumerli ancora adesso”.

Assumere cannabis terapeutica non vuol però dire farsi una canna: “Ci sono farmacie che lavorano la cannabis partendo dalla resina del fiore. Il dottore mi aveva prescritto una goccia al giorno, poi due dalla seconda settimana, finché reggevo”. Eh già, perché lo “sballo” è veramente tanto. “Due millimetri di Thc al 98-99% equivalgono a 44 grammi di marijuana con il thc al 20%, più o meno mille euro se vuoi comprarla al mercato nero. La prima volta che l’ho preso mi sono svegliato alle tre di notte”.

La situazione in Italia è però preoccupante secondo Venturini: “Lo Stato ha approvato l’uso terapeutico, ma io per ottenere questa cura ho dovuto contattare un dottore di Mestre che mi ha prescritto Thc che ho dovuto comprare su internet da una farmacia che aveva il sito oscurato. C’è la palese volontà di volerne limitare l’utilizzo. Peccato, perché il Thc mi ha aiutato moltissimo durante la malattia”. A sostegno non solo gli effetti benefici ma anche quelli “collaterali”: “Alla fine in casa ridevo sempre – scherza -. Era una cosa contagiosa, quando tutti sono felici non pensare alla malattia è più semplice. Tutte le persone che soffrono di problemi oncologici e hanno problemi seri dovrebbero sostenere una cura a base di cannabis. A volte i medicinali sono delle vere schifezze. Queste sono cosa naturali e al massimo ti fa una risata in più”.

Questo servizio è un Progetto di fine corso per il biennio 2016-2018 dell’Istituto per la Formazione al giornalismo di Urbino (IFG), pubblicato il 28 marzo 2018