Mirko e Checco Zalone, l’ironia che combatte la Sma. La speranza in un nuovo farmaco che ferma la malattia

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di Daniele Erler

Il sogno di Mirko Toller è di costruire un parco dei divertimenti. Come a Gardaland, ci devono essere per forza le montagne russe, le giostre, magari anche quelle con i cavalli. “Ma deve essere un luna park per tutti, anche per le persone in carrozzina – dice lui con un grande sorriso, dietro al quale nasconde la timidezza tipica di un ragazzo di 14 anni – sì, per tutti. Perché io non sono mai salito sulle montagne russe. Ma vorrei tanto poterlo fare”.

Mirko Toller con le sorelle

Mirko è costretto a stare su una sedia a rotelle perché è uno dei circa 850 italiani malati di Sma, l’atrofia muscolare spinale. La Sma è una malattia genetica rara che colpisce le cellule nervose del midollo spinale, quelle da cui partono i segnali diretti ai muscoli.

Ci sono forme diverse della malattia, a cui corrispondono livelli diversi di gravità: Mirko ha la Sma due e, nonostante i molti disagi, vive una vita tutto sommato normale, o almeno così dice la mamma, Stella Robert: “Convivere con la malattia? È faticoso certo, ma lui non ce la fa pesare”. Ma questo non significa che non ci siano comunque dei problemi: come quando l’estate scorsa, in vacanza al mare, è stato investito da una bicicletta e per mesi è rimasto bloccato con il gesso alle gambe. Perché il suo corpo è fragile, molto di più rispetto ai suoi coetanei senza la malattia.

A ottobre 2017 l’Aifa, l’associazione italiana del farmaco, ha riconosciuto un nuovo medicinale per la Sma, efficace anche per i casi più gravi. “Così si è scritta una nuova pagina nella nostra storia – spiega Daniela Lauro, presidente dell’associazione Famiglie Sma – non è una cura, ma una terapia di sostegno che ostacola la degenerazione della malattia”.

Checco Zalone

Soprattutto, bloccando i sintomi, aumenta l’aspettativa di vita: il rischio di mortalità – sostiene l’associazione Famiglie Sma – si riduce del 50%. Il farmaco è più efficace se viene somministrato alla comparsa dei primi sintomi: per questo è importante una diagnosi precoce. I famigliari dei malati vorrebbero che a ogni neonato fosse fatto per legge il test per scoprire da subito l’eventuale presenza della Sma, come già succede in alcune zone degli Stati Uniti e come già si fa in Italia per altre malattie: “Ora che esiste il farmaco ha ancora più senso: scoprire subito la malattia potrebbe permettere di bloccarla e di cambiare la vita di questi bambini”.

La Sma era fino a poco tempo fa una malattia pressoché sconosciuta al grande pubblico. Se oggi in molti ne hanno almeno sentito parlare è grazie a una campagna di sensibilizzazione voluta dall’associazione ‘Famiglie Sma’: quella realizzata con l’attore Luca Medici, in arte Checco Zalone, diventata un modello per capire come si possa fare ironia, con una punta di cinismo, anche su una malattia. Il ragazzino che recita con Checco nello spot è proprio Mirko Toller.

Vivere con la Sma

Mirko si sveglia ogni giorno alle 6.30 e si prepara per andare a scuola: o meglio, si fa aiutare dai suoi genitori per riuscire a vestirsi e lavarsi. Abita in Trentino, a Segonzano, un piccolo comune sparso fatto di tante frazioni, la sua casa si riconosce subito perché ha un piccolo ascensore esterno: “Così – dice la mamma, Stella Robert – Mirko può muoversi liberamente con la sua carrozzina”. Quando è pronto, può uscire e andare a prendere il pulmino, dotato di rampa, che lo porterà a scuola.

A causa della sua malattia non può fare tanti piccoli movimenti, gesti che per noi sono normali, ma non per chi ha la Sma: “Ma riesce a mangiare da solo, un pochino può muovere le mani e non si lamenta mai. Se ha bisogno di aiuto, lo chiede – spiega Stella – Lui non parla della malattia, non chiede: ‘perché sono così?’, vive con la Sma e questo è tutto. I suoi compagni di scuola non gli hanno mai fatto domande invasive. Lo hanno sempre visto in carrozzina, quindi non si fanno problemi”. “I miei compagni mi hanno sempre aiutato, dall’asilo alle scuole superiori. – dice Mirko – Mi aiutano quando ho bisogno, per qualsiasi cosa: dal togliere una giacca al passarmi una penna o un quaderno. Lo fanno con piacere, non come se fossero costretti”.

L’occasione

Nel suo paese tutti conoscono Mirko, soprattutto dopo la campagna per l’associazione Famiglie Sma: “Dopo lo spot con Checco Zalone le persone mi fermavano per strada e mi chiedevano se fossi io quel bambino: mi sembrava strano”, racconta.

L’esperienza di Mirko di fronte a una telecamera è iniziata grazie a YouTube. Nei primi giorni di febbraio del 2016 ha deciso di aprire un canale insieme alla sorella più grande, Linda: “Avevamo visto un nostro vicino che faceva dei video sui videogiochi – dice la sorella – abbiamo deciso di fare come lui”. “Lo abbiamo fatto per divertirci – spiega Mirko – da allora abbiamo condiviso più o meno dieci video”.

Uno dei video di Mirko e Linda

Il loro canale si chiama “Mirko e Linda show”, le riprese sono amatoriali, in fondo non è molto più che un gioco: “Faremmo qualche video in più se non ci fosse la scuola – dice Mirko – Anzi, posso fare un appello ai nostri professori? Dateci meno compiti, così possiamo fare più video”.

Nella generazione dei nativi digitali non sono i primi ragazzi a divertirsi con una videocamera e a mettere tutto online. Ma per Mirko sono solo i primi esperimenti da attore, il punto di partenza di un percorso che lo porterà poi a girare lo spot con Zalone. Nel canale YouTube di Mirko e Linda ci sono oggi 440 iscritti, il video che ha avuto più successo ha superato le 3.000 visualizzazioni. I due fratelli scherzano su tutto: sulle serie tv, la passione per il calcio, la musica e le notizie inutili dei telegiornali.

Poi un giorno arriva l’occasione: “Sapevamo che l’associazione ‘Famiglie Sma’ stava cercando l’attore per uno spot, non sapevamo con chi – dice Stella – abbiamo inviato un suo video, non pensavamo potesse succedere ma alla fine è stato scelto”. Da YouTube a un vero set cinematografico, Mirko è diventato un attore, capace di commuovere un’ampia platea di italiani che all’improvviso si sono accorti dell’esistenza della Sma.

Sul set con Checco Zalone

“Il primo spot è stato…”. Stella si ferma, non trova le parole. Guarda il figlio e si scambiano uno sguardo d’intesa, poi le sfugge una risata. “…fin troppo esplosivo, non ce lo aspettavamo. Checco Zalone non ha rilasciato nessuna intervista dopo la pubblicità, diceva ai giornalisti: ‘Andate da Mirko’. E allora tutti i giornalisti sono venuti tutti da noi, è stata un’invasione. Famiglia Cristiana, Mattino Cinque, …”.

Mirko continua: “Raiuno, raidue, raitre, tutte le rai, poi retequattro, canale 5, italia uno, la7”. “E poi per qualche mese c’erano le persone che lo fermavano per strada – dice Stella – gli chiedevano: ‘Sei tu quel bambino?’, sì, il bambino dello spot”.

“Ho vissuto davvero come un attore, l’esperienza sul set è stata meravigliosa. Non è stato facile: una scena, quella dove mi scontravo contro la macchina di Checco, l’abbiamo dovuta girare per tre ore prima che andasse bene. Ma Zalone sul set è simpatico come davanti alla telecamera. Appena ci ha visti ha detto: ‘Ma quindi voi venite dalle montagne?’ e lo ha fatto con la sua tipica espressione e la sua voce”.

La pubblicità è uscita nel settembre 2016 e ha avuto un successo oltre le aspettative, è stata ripresa dai giornali e ha fatto discutere per la sua natura irriverente. Soprattutto ha contribuito a far conoscere la malattia anche a chi non ne aveva mai sentito parlare prima. Mirko ha interpretato il nuovo vicino di casa di Checco: una convivenza difficile, fatta di piccoli disagi che si concludono con l’attore esasperato che sbotta: “Ora chiamo la ricerca contro la Sma e dono un sacco di soldi così un giorno magari guarisci e ti faccio un c… così”. In un solo giorno il video ha raggiunto 1 milione e 800 mila visualizzazioni sulla sola pagina Facebook dell’attore.

Erano anni che Zalone sosteneva di nascosto l’associazione ‘Famiglie Sma’ con donazioni anonime: “Lo spot nasce tutto da una fatalità: Checco è molto amico di una nostra famiglia barese – spiega Daniela Lauro, presidentessa dell’associazione – quando ha saputo che c’era un farmaco in arrivo per i malati di Sma ha deciso di regalarci il suo personaggio, recitando in maniera assolutamente gratuita”. “Ci ha chiesto di vedere una decina di video dei bambini che potevano recitare con lui – ricorda Lauro – Mirko era già uno youtuber, era inevitabile pensare a lui. Il successo della nostra campagna sono Checco e Mirko insieme. Perché secondo me un giorno Mirko diventerà un grande personaggio televisivo”.

Un anno anno dopo i due si sono ritrovati per girare insieme un altro spot, questa volta finalizzato alla raccolta di fondi per aprire i centri di somministrazione di Spinraza, il nuovo farmaco che fa sperare le famiglie dei malati di Sma.

Una diagnosi difficile

Incontrare Mirko è un’esperienza di vita: ti spiazza per la sua simpatia, per la voglia di scherzare su ogni cosa, innanzitutto su se stesso: “Sulla malattia non ha mai scherzato – dice la mamma – ma forse solo perché per lui è una cosa normale, non ci pensa”.

Mirko sa sorprendere anche per la sincerità con cui esprime i suoi sogni: “Mi piacerebbe fare l’attore – dice, quasi vergognandosene – dopo l’esperienza con Checco ho capito che è una cosa che davvero vorrei fare”. Ma non è la sua priorità: intanto sta studiando all’Istituto tecnico, è in prima superiore ed è uno dei più bravi della scuola: “Si impegna tanto, forse anche troppo”, dice mamma Stella.

“Un giorno vorrei costruire un luna park, è per questo che studio tanto – spiega Mirko – Ma deve essere un luna park per tutti, anche per le persone in carrozzina. Perché io non sono mai salito sulle montagne russe. Ma vorrei tanto poterlo fare”.

Ci chiedevamo perché Mirko non camminasse. Il pediatra ci diceva di stare tranquilli. Solo dopo diverse visite è arrivata la diagnosi: era malato di Sma Stella Robert, mamma di Mirko

Per Mirko la malattia è ovviamente una costante della sua vita, ma per i suoi genitori è stata una scoperta improvvisa. “Tutto è iniziato quando aveva quasi un anno di età – ricorda Stella – Ci chiedevamo perché non camminasse, perché rimanesse sempre seduto. Lo abbiamo portato dal pediatra e lui ci diceva di stare tranquilli: ‘È normale’, ci diceva, ‘smettetela di preoccuparvi. Vedrete che camminerà’. Ma Mirko non migliorava, anzi aveva sempre più difficoltà anche a restare seduto. Alla fine lo abbiamo portato a Trento, gli hanno fatto altre analisi ed è arrivata la diagnosi. Era malato di Sma”.

“Il fatto è questo: è che noi non sapevamo nulla della Sma – dice Stella – quindi non ci siamo preoccupati molto. Siamo entrati in un mondo nuovo: una vita forse più difficile, ma non ce la fa mai pesare. E allora tiriamo avanti, giorno dopo giorno, senza lamentarci mai, come non si lamenta lui”. Nella speranza che un giorno la malattia possa essere curata grazie ai progressi della ricerca scientifica. “Noi non pretendiamo nulla, seguiamo ogni novità, senza illuderci mai”, conclude Stella.

La ricercatrice che vuole combattere la Sma

Uno su quaranta

Gli schemi della ricerca scientifica sulla Sma

Gabriella Viero è una ricercatrice dell’istituto di biofisica di Trento e sta conducendo una ricerca che punta a scoprire come funziona la Sma: solo così si riuscirà forse, un giorno, a trovare una cura. Incontriamo Gabriella in un sabato pomeriggio in un bar a Trento. Dietro di lei in piazza Duomo ci sono una decina di turisti: “Vedi queste persone? – dice Viero – Fra di loro ci sono dei portatori sani e inconsapevoli di Sma che vivono la loro vita come se niente fosse e magari non lo sapranno mai. Secondo le ricerche, ogni 40 persone circa c’è un portatore di Sma, le probabilità che due di queste persone si incontrino e abbiano un figlio sono molto alte”. Per fare un altro esempio, in una città come Roma – dove ci sono circa due milioni e 600.000 residenti – ci sono circa 65.000 portatori sani della malattia: uno ogni 40, appunto.

La Sma viene trasmessa dai genitori quando entrambi sono portatori della malattia: ci sono il 25% delle possibilità che da loro nasca un bambino malato, il 25% delle possibilità che sia un portatore sano e il 50% delle possibilità che non abbia alcun segno della malattia. La Sma colpisce circa un neonato ogni 10.000.

“Io ho una grande motivazione che mi fa andare avanti, anche contro tutte le difficoltà: voglio capire come funziona la malattia. E lo voglio fare per tutti quelli che combattono ogni giorno contro la Sma”. I primi risultati della ricerca di Gabriella Viero hanno ottenuto la copertina di The Celluna prestigiosa rivista scientifica. “Non è un lavoro solo mio ovviamente – precisa lei – stiamo parlando di un finanziamento molto cospicuo, quasi due milioni e mezzo di euro stanziati dalla Provincia di Trento e indirizzati a cinque gruppi di ricerca, fra i quali c’era anche quello del mio Istituto”.

Gabriella Viero

“L’obiettivo era di utilizzare le più recenti e moderne tecniche di sequenziamento per cercare di capire i meccanismi di azione della Sma: abbiamo fatto delle scoperte che hanno avuto una certa risonanza internazionale”. La ricerca ha stabilito per la prima volta una chiara connessione fra un processo fondamentale per le cellule, la sintesi delle proteine, e il meccanismo attraverso il quale insorge e progredisce la Sma.

“Ora il finanziamento è concluso – dice Viero – ma sto continuando gli esperimenti per conto mio, perché sono troppo importanti. Sto pensando anche al crowdfunding per andare avanti con gli esperimenti”. Capire esattamente come funziona la malattia potrebbe portare un giorno a una cura davvero efficace per tutti i malati di Sma, proprio come Mirko.

La fabbrica dei mattoni

L’atrofia muscolare spinale è una patologia neuromuscolare che porta alla progressiva morte dei motoneuroni, le cellule nervose del midollo spinale. Tutto deriva da una mutazione genetica ereditaria del dna: dal malfunzionamento di un unico gene, l’smn1.

“Nella nostra ricerca abbiamo studiato il motoneurone – spiega Viero – in queste cellule è come se ci fosse una fabbrica di mattoni ed è come se questi mattoni dovessero essere portati lungo una strada, l’assone, fino al luogo in cui servono. Sapevamo già che queste strade sono rovinate in chi è malato. E sapevamo che è per questo che c’è l’atrofia dei muscoli. Grazie agli studi che abbiamo potuto fare utilizzando dei tessuti di topi malati, abbiamo scoperto che in realtà ad avere problemi è la fabbrica dei mattoni. Ovvero, che nella Sma c’è un grosso difetto nel sistema deputato alla sintesi delle proteine”.

Il privilegio della ricerca

“La cosa più incredibile di questa malattia – dice Viero – è che sia ancora tanto sconosciuta. E questo è un ostacolo per la ricerca, innanzitutto perché mancano i finanziamenti. Prima avevo delle persone che mi aiutavano, ora che sono finiti i soldi sto facendo gli esperimenti da sola e lo faccio solo per un motivo: voglio capire cosa c’è dietro questa malattia. Ci voglio riuscire, anche se non è facile”.

Dopo i primi risultati pubblicati su Cell Report, la ricercatrice ha fatto altri progressi nello studio molecolare delle cause della Sma. “È ancora presto per parlare di risultati – spiega – è come aprire un motore per cercare un bullone che non funziona: è una ricerca di base, ma complicata: richiede tempo per vedere gli effetti pratici”. Anche perché ogni progresso nella scienza è frutto di tentativi, errori e correzioni. Ma è solo percorrendo questa strada che si può sperare un giorno di trovare una cura davvero efficace.

La ricercatrice in laboratorio (Foto di Alessio Coser)

“Si tratta di non mollare e di continuare – spiega la ricercatrice – per il momento vado avanti come riesco e spero che questa mia motivazione mi porti a qualcosa, io ci credo. Quello che mi piacerebbe davvero è di poter entrare in contatto con queste persone, conoscere i malati di Sma, perché così potrei fare capire loro che ci sono degli scienziati che stanno dando l’anima per riuscire a capire meglio cosa sta succedendo al loro corpo”.

“Così noi scienziati potremmo uscire dal nostro laboratorio, capire come vivono queste persone – continua Viero – Anche nei momenti di sconforto, quando ci sono scontri nella comunità scientifica o quando non si trovano i finanziamenti… poter vedere come queste persone lottano ogni giorno, per noi farebbe davvero la differenza. Ci farebbe vivere la nostra piccola lotta, quella per riuscire a fare ricerca, come un privilegio. Vorrei tanto poter conoscere Mirko”.

Sognando una cura

Il medicinale che cambia la vita

Fra gli obiettivi della ricerca dell’Istituto di biofisica di Trento non c’è solo quello di trovare una nuova cura contro la Sma, ma anche di verificare i possibili effetti collaterali dell’unico medicinale finora approvato dall’Agenzia del farmaco: Spinraza, prodotto dalla Biogen. “C’è tanta eccitazione intorno a questo farmaco – dice Gabriella Viero – anche perché in certi casi è davvero impressionante vedere come la malattia si è fermata. Bisogna però essere cauti e precisare due cose: innanzitutto il farmaco è davvero efficace se viene somministrato in bambini molto piccoli, altrimenti non può fare miracoli dove i danni sono già in stato avanzato. E poi dobbiamo ancora verificare gli eventuali effetti collaterali sul lungo periodo: per questo è importante continuare a sostenere la ricerca. Per trovare delle alternative e per capire se ci possono essere danni che non abbiamo ancora visto”.

Il farmaco è a carico del servizio sanitario nazionale che lo rimborsa attraverso il fondo farmaci innovativi: ogni confezione costa al pubblico più i 115 mila euro. “Per un trattamento completo – dice la ricercatrice – possono servire fino a un milione di dollari ogni anno”.

Daniela Lauro non è solo la presidente dell’associazione ‘Famiglie Sma’, è soprattutto la mamma di un bambino nato con la Sma1 che purtroppo è sopravvissuto solo pochi mesi alla malattia: “Da allora combatto la mia battaglia: voglio riuscire a dare ai bambini come il mio la possibilità di avere una vita diversa. Con questo nuovo farmaco è come se si fosse aperta una nuova pagina nella nostra storia e per i malati di Sma le cose stanno cambiando, anche molto velocemente”.

“Bisogna dire una cosa: non stiamo parlando di una vera e propria cura – precisa Lauro – è una terapia di sostegno che però arresta la degenerazione. Se il farmaco viene somministrato nei primissimi mesi, cambia completamente l’evoluzione della malattia. Nei casi meno gravi, come la Sma3, può servire anche negli adulti, per esempio per evitare la progressiva degenerazione della malattia”.

Se il farmaco viene somministrato prima della presenza dei sintomi, la Sma potrebbe non presentarsi più Daniela Lauro

“Solo nei prossimi anni avremo un quadro più completo dei risultati che si possono avere con Spinraza nel tempo. Però ci sono due cose da considerare: ci sono bambini che altrimenti sarebbero stati destinati a una morte prematura e che, grazie al farmaco, stanno sopravvivendo, in alcuni casi riescono persino a camminare. Se poi il farmaco venisse somministrato in un neonato ancora prima della presenza dei sintomi, la Sma potrebbe non presentarsi più. Sì, il farmaco può cambiare davvero la vita di questi bambini”.

Lo screening neonatale

Per riuscirci però c’è bisogno di una diagnosi precoce. La storia di Mirko, e il modo in cui i suoi genitori hanno scoperto della Sma, fa capire come non sia affatto semplice per i medici riconoscere la malattia dai suoi primi sintomi. Eppure c’è una possibile soluzione, suggerita in un articolo dello scorso gennaio dalla direttrice di Telethon, Francesca Pasinelli: fare uno screening neonatale, un test diagnostico per capire chi ha la Sma.

“Tra i prossimi obiettivi (per il Sistema sanitario italiano, ndr) dovrebbe esserci quello di realizzare lo screening neonatale per l’atrofia muscolare spinale – spiega la direttrice – L’obiettivo dei metodi di screening neonatale è quello di individuare patologie potenzialmente trattabili, ma non clinicamente evidenti nella fase neonatale. Questo, concretamente, significa intervenire tempestivamente e prevenire, o limitare sostanzialmente, le conseguenze, in alcuni casi molto gravi, di malattie che altrimenti sarebbero diagnosticate solo quando è troppo tardi”. Nel caso della Sma, significa poter somministrare il farmaco quando è davvero efficace.

“È una malattia per cui, oggi, esiste un farmaco dalla straordinaria efficacia, soprattutto se somministrato precocemente, idealmente prima che il bambino inizi a sviluppare i sintomi della malattia – scrive la direttrice – Per la Sma esiste anche un test che soddisfa i criteri di sostenibilità per l’applicazione in un programma di screening neonatale. Che cosa stiamo aspettando?”.

La stessa domanda se l’è posta anche Gabriella Viero, la ricercatrice dell’Istituto di biofisica di Trento: “Il difetto genetico è così evidente che questi bambini dovrebbero essere riconosciuti subito, è indispensabile farlo”. Così anche Daniela Lauro, presidente di ‘Famiglie Sma’: “Ci stiamo battendo perché questo avvenga – dice – ci sono delle norme che vanno cambiate, crediamo che la presenza del farmaco dovrebbe convincere il Governo a intervenire”. Basterebbe modificare un decreto ministeriale.

Una legge per scoprire le malattie

La storia legislativa dello screening neonatale in Italia inizia nei primi anni Novanta. “Una delle principali difficoltà che generalmente incontrano le persone colpite da una malattia rara è l’impossibilità di ottenere una diagnosi tempestiva, idealmente addirittura nella fase preclinica e presintomatica – si legge sul sito del Ministero della Salute – L’adozione di trattamenti nella fase iniziale della malattia può infatti, in molti casi, migliorare sensibilmente la salute del paziente e la qualità della sua vita”.

Prelevando solo poche gocce di sangue i medici possono fare delle analisi e scoprire l’eventuale presenza di malattie, altrimenti difficili da identificare: è una forma preventiva di pediatria. In Italia, l’articolo 6 della legge quadro 5 febbraio 1992, n. 104, ha introdotto per la prima volta lo screening neonatale per tre malattie:

  • l’ipotiroidismo congenito
  • la fibrosi cistica
  • e la fenilchetonuria.

Con lo screening obbligatorio, i pediatri devono per legge eseguire degli esami per identificare queste malattie. Con la legge di Stabilità del 2014, il Governo di Enrico Letta, con Beatrice Lorenzin come ministro della Sanità, ha stanziato cinque milioni di euro (successivamente aumentati a dieci milioni) per avviare in forma sperimentale il cosiddetto “screening neonatale esteso” che ha permesso di aumentare il numero delle malattie indagate dagli esami pediatrici sui neonati.

Nello specifico, si cerca “la diagnosi precoce di patologie metaboliche ereditarie, per la cui terapia, farmacologica o dietetica, esistano evidenze scientifiche di efficacia terapeutica o per le quali vi siano evidenze scientifiche che una diagnosi precoce, in età neonatale, comporti un vantaggio in termini di accesso a terapie in avanzato stato di sperimentazione”. Tradotto: si cercano malattie per le quali esistano già cure o trattamenti di provata efficacia.

La stessa legge ha stabilito che il Ministro della Salute dovesse adottare un decreto ministeriale per definire l’elenco delle patologie su cui effettuare lo screening: è quello che succede con il decreto ministeriale del 13 ottobre 2016. La Legge 167/2016 regolamenta ulteriormente lo screening neonatale, inserendolo fra i “livelli essenziali di assistenza”, quelli che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Come talvolta accade, la ricerca è andata avanti, la legge è rimasta indietro: da qualche mese c’è un farmaco per la Sma, ma la stessa malattia non è stata ancora inserita nell’elenco di quelle che hanno diritto allo screening neonatale. Ci penserà forse il prossimo Governo, non ancora formato al momento della pubblicazione di questo lavoro.

I centri di somministrazione

La somministrazione di Spinraza però non è semplice, almeno finché la ricerca non riuscirà a fare altri progressi. È una terapia invasiva, che può variare sulla base delle condizioni del paziente. Il farmaco viene iniettato con una puntura intratecale, tra le vertebre, direttamente nel liquido spinale. Il principio attivo riesce così a entrare ed agire lì dove serve. Il problema è che tanti bambini con la Sma hanno anche gravi forme di scoliosi, ci sono pazienti poco gravi che se la cavano con mezz’ora di intervento, altri invece che devono stare per ore sotto i ferri.

Daniela Lauro

Per poter intervenire servono dei centri specializzati, con uno staff formato per prendere in cura dei pazienti tanto delicati. Attualmente (a marzo 2018) ne sono stati aperti 18 in 11 regioni diverse. L’associazione Famiglie Sma sta spingendo per l’apertura di almeno un centro in ogni regione, la volontà è di riuscire a raggiungere l’obiettivo entro l’estate: “Nell’arco di pochi mesi siamo riusciti ad aprire moltissimi centri che sono già diventati somministratori – spiega Daniela Lauro – è un processo lungo, anche dal punto di vista burocratico, ma vogliamo riuscire a garantire l’accesso al farmaco a tutti, anche perché ogni paziente ha il diritto alla cura”.

L’associazione sta cercando di raccogliere fondi anche per garantire il supporto psicologico ai pazienti e alle loro famiglie: “Consideri che solo nel primo anno parliamo di sei punture intratecali, è uno stress notevole che non sempre le famiglie riescono a sopportare”. Per raggiungere l’obiettivo serviranno altre campagne di sensibilizzazione, come quelle promosse da Checco Zalone.

Ma più di ogni altra pubblicità, la differenza la può fare da un lato la ricerca scientifica e dall’altro lato la conoscenza di storie come quella di Mirko. Nonostante la debolezza del suo corpo, dentro di lui c’è una grande forza, che è poi la stessa di tanti malati di Sma: la voglia di vivere, nonostante quel gene che non fa il suo lavoro.

Presto aprirà un centro di somministrazione di Spinraza a Bolzano, a pochi chilometri da dove vive Mirko. La Sma gli ha causato però una grave forma di scoliosi, per questo i medici non possono ancora fargli l’iniezione che lo aiuterebbe: “Non ci resta che sperare – dice la mamma Stella Robert – forse un giorno ci sarà una medicina che si può prendere per bocca. Intanto aspettiamo, tutto dipende dalla ricerca scientifica”.

Questo servizio è un Progetto di fine corso per il biennio 2016-2018 dell’Istituto per la Formazione al giornalismo di Urbino (IFG), pubblicato il 28 marzo 2018