Regione Romagna: l’autonomia sfiorata e mai riconquistata

di Giacomo Barducci

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Movimento autonomia regione romagna

La maggior parte di noi la conosce per la piadina, per il Sangiovese, per le discoteche e l’accoglienza della riviera in estate, per il suo dialetto con quelle “s” e quelle “z” sibilanti che fanno tanto ridere. E’ l’Emilia-Romagna, un nome composto che però non piace ai romagnoli.

La regione Romagna non esiste, almeno non nei suoi confini geografici. Eppure la terra romagnola, per molti suoi abitanti, ha dei confini ben definiti e molto sentiti: Rimini, Cesena, Forlì, Ravenna, Lugo, Faenza e Imola. Le sette sorelle romagnole. Questa voglia di autonomia dalla vicina Emilia è rivendicata dal Mar, il Movimento per l’Autonomia della Romagna.


LA LUNGA STORIA DELLA BATTAGLIA PER UNA ROMAGNA LIBERA

GLI ALTRI MOVIMENTI INDIPENDENTISTI IN ITALIA

CHI PIÙ CHI MENO. I DIFFERENTI LIVELLI DI AUTONOMIA DELLE REGIONI ITALIANE


Cos’è il Mar

Il Movimento per l’autonomia romagnola nasce nel 1990 con lo scopo di dar vita alla Regione Romagna attraverso l’iter legislativo previsto dall’articolo 132 della Costituzione italiana. Articolo che prevede la creazione di nuove regioni, tramite referendum consultivo, che abbiano una popolazione di almeno un milione di abitanti e l’appoggio di consiglieri Comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate.

Il Mar si presenta come “movimento culturale e di opinione” trasversale ai partiti politici. È un aspetto molto importante che l’avvocato Riccardo Chiesa, 75 anni cesenate, tra i fondatori del movimento e oggi direttore generale, ha voluto spiegare. Il punto forte del movimento è il radicamento nel territorio: ogni anno organizza riunioni generali con tutti i soci dirigenziali (47) e dal 2009 pubblica mensilmente il giornale E’Rumagnol. Il Mar ha anche un sito internet e una pagina Facebook in cui promuove eventi e incontri.

L’organo principale del movimento è il comitato regionale, diretto dall’avvocato Riccardo Chiesa. Questo organo è suddiviso poi in direttivi o comitati comunali sparsi in tutta la Romagna. Questo perché “che ci sia la maggiore vicinanza possibile con i cittadini romagnoli – spiega Chiesa – il contatto diretto infatti è fondamentale”.

La caveja e il galletto: simboli della Romagna. “Durante i nostri eventi per le piazze della Romagna – spiega Riccardo Chiesa – abbiamo raccolto più di 90.000 firme di cittadini che chiedono il distaccamento dall’Emilia”. Il movimento ha scelto come simbolo la caveja (cavicchio)È infatti posizionata al centro della bandiera del Mar, insieme al galletto romagnolo, su uno sfondo giallorosso.

“La caveja rappresenta il simbolo e l’operosità romagnola” racconta Chiesa. Quando ancora non esistevano i trattori infatti si aravano i campi con i buoi, “i bu” in romagnolo. Gli animali andavano sempre in coppia e la caveja serviva per assicurare il traino dell’aratro ed evitare che in discesa finisse contro le bestie. Anche il galletto simboleggia il lavoro e l’amore per la terra, mentre i colori giallo e rosso, come il nome Romagna, rimandano a Roma. Nel 402 d.C. Ravenna fu infatti l’ultima capitale dell’impero romano d’occidente.

L’indipendenza sfiorata. La Romagna ha simboli, storia e cultura propri, perché quindi non è nata come regione a sé? Nel 1947 l’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana doveva promulgare la Costituzione entro il 31 gennaio del 1948 che oltre a dare una struttura all’ordinamento giuridico italiano avrebbe delineato le venti regioni italiane. “Alle regioni doveva essere data una funzione diversa da quella esclusivamente amministrativa che aveva conferito loro il potere monarchico – dice Chiesa – serviva che a ogni regione fosse riconosciuta una maggiore autonomia legislativa e soprattutto che venissero delineati confini precisi. Confini che però in Romagna non erano ben definiti, o meglio, non erano ben definiti per il governo centrale”. La Romagna quindi, secondo Chiesa, non è una regione a sé perché non aveva dei confini chiari.

Il territorio di Imola è sempre stato conteso tra Emilia e Romagna – continua Chiesa – e alla Costituente non restava molto tempo per promulgare la costituzione. Allora si inventò questa soluzione, la parte che non era Romagna fu denominata Emilia e viceversa”. In quel periodo si arrivò quindi molto vicini al riconoscimento della regione Romagna e fu solo una questione di dettagli- il territorio di Imola conteso tra le due regioni -, se non se ne fece niente.

Riccardo Chiesa e Luigi Scomparcini

“Da allora la questione è rimasta in sospeso. Tanto che – continua Chiesa – nella Costituzione fu introdotto l’articolo 132  cui noi stiamo cercando di appellarci da anni”.

Secondo questo articolo “si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse.

“Il Mar è forte di un grande appoggio popolare – spiega Chiesa – la terra romagnola ha i requisiti necessari per essere regione autonoma avendo più di un milione di abitanti, il problema sorge con la richiesta dei Consigli comunali, che devono rappresentare un terzo delle popolazioni interessate”. L’Emilia infatti, avendo da sola tre milioni di abitanti, possiede un numero più elevato di consiglieri comunali all’interno dell’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna. Fino a quando questi consiglieri non appoggeranno la proposta, il referendum non si potrà fare.

Viabilità, ferrovie ed aeroporti. “L’Emilia pensa solo a sé”. I romagnoli chiedono più autonomia non solo per motivi culturali ma anche politici. “L’Emilia – dice Chiesa – ha sempre privilegiato in ogni circostanza la sua parte nelle decisioni politiche, infrastrutturali e di viabilità rispetto a quella romagnola”.

La viabilità da questo punto di vista è un tasto dolente, i romagnoli infatti si sentono poco considerati e aiutati dall’Emilia, Chiesa e il Mar sottolineano questo aspetto: “I problemi di viabilità, soprattutto per la Romagna che punta molto sul turismo, sono un grave danno. Se visitate qualche località costiera romagnola in estate ve ne accorgerete”.

Il problema riguarda tutto il territorio, da Rimini a Imola e si aggrava se guardiamo le linee ferroviarie e gli aeroporti. Le linee ferroviarie dell’alta velocità infatti hanno escluso la Romagna e si fermano a Bologna. I due principali aeroporti romagnoli, quelli di Rimini e Forlì, non hanno possibilità di competere con l’aeroporto bolognese. Il Luigi Ridolfi di Forlì infatti non effettua voli commerciali dal 30 marzo 2013. A gennaio il comune di Forlì ha approvato il bando per la privatizzazione dell’aeroporto ma secondo Chiesa “senza aiuti dalla parte emiliana, cosa che ogni regione coesa, non si andrà da nessuna parte”.

Militante Mar durante un’esposizione alla fiera di Cesena “Sono Romagnolo”

Le perdite economiche di una possibile scissione. Se un giorno il Mar riuscisse ad ottenere l’autonomia della Romagna quali sarebbero i risvolti economici per le due regioni? La regione Romagna non avrebbe più la possibilità di ricevere un’enorme quantità di introiti derivanti dalle attività industriali emiliane che rappresentano una delle voci principali nel bilancio della regione. Dall’altra parte l’Emilia però perderebbe, come analizzano i report dell’estate 2017 sul turismo nella regione, tutte le entrate derivanti dal turismo in Romagna.

Il turismo ha portato nel 2017 nelle casse regionali dell’Emilia-Romagna 14,6 miliardi pari all’11,8% del totale regionale. In particolare la zona costiera ha contato 2,5 milioni di arrivi(+8,4% rispetto all’anno precedente) e 10,7 milioni di presenze(+6,6%), le città d’arte 1,5 milioni di arrivi (+8,2%) e 3,4 milioni di presenze (+11,5%), l’Appennino 141.000 arrivi (+4,4%) e 583.000 presenze (+2,8%). Il turismo rappresenta anche il 9,8% dell’occupazione totale della regione. Rimini è la prima provincia regionale per incidenza dell’occupazione turistica (32,6%). Al secondo posto si colloca Ravenna. In tutta la Romagna in particolare l’occupazione turistica supera il 22% mentre in Emilia, dove forte è la vocazione manifatturiera, sfiora il 6%. In definitiva l’incidenza della filiera turistica nell’economia regionale è pari all’11%.

Significa che per ogni 100 euro spesi in attività turistiche dirette ne vengono generati altri 85 a vantaggio di attività che beneficiano dei flussi turistici.

La lunga storia della battaglia per una Romagna libera

Il Mar rappresenta solo l’ultimo capitolo della lotta alla conquista dell’autonomia romagnola. La voglia d’indipendenza di questa regione e la sua storia hanno radici molto più antiche. Il nome Romagna viene dato nel sesto secolo dopo Cristo dai Longobardi che in quel periodo occupano la zona nord dell’Italia. La chiamano così per distinguerla dalle zone da loro conquistate perché la Romagna rappresentava l’ultimo baluardo dell’impero romano d’occidente.

Verter Casali, professore di storia e filosofia alla scuola secondaria superiore di San Marino

Ma è dall’ottavo secolo, quando la Romagna passa sotto lo Stato Pontificio, che iniziano a formarsi le prime sostanziali differenze culturali con l’Emilia. “L’Emilia rimane più legata alle zone confinanti al nord, alla Lombardia, ai francesi” – spiega Verter Casali, 66 anni, professore alla scuola secondaria superiore di San Marino e storico sammarinese – e già da qui iniziano a delinearsi differenze che andranno poi a ripercuotersi sui costumi, sul cibo, sui dialetti”.

Romagnoli ed emiliani, due caratteri opposti.La maggiore diversità tra le due “regioni unite” si nota nel carattere delle persone. “Gli emiliani sono persone più legate alla cultura del nord quindi più pacati e tranquilli – continua Casali – mentre i romagnoli sono più sanguigni, più istintivi”. La Romagna è stata al centro di molte sommosse ed è stata anche “il cuore d’Italia per quello che riguarda l’anarchia e il socialismo” continua l’accademico.

Temperamento ribelle e focoso che, spiega Verter Casali, “deriva dal periodo dello Stato Pontificio, dalla voglia di ribellarsi al potere ma anche da un fattore geografico. La Romagna essendo più a sud dell’Emilia, ha assorbito il temperamento caldo, aperto, gioviale delle popolazioni meridionali”.

La Romagna regione. Fino alla Seconda guerra mondiale, più precisamente fino al 1948 quando venne promulgata la Costituzione Italiana, non si parlava di Emilia-Romagna ma di Emilia e Romagna. La terra romagnola è sempre stata conosciuta come Romagna “e basta” dal tempo dei Longobardi. “Nel corso del 1300 – spiega Casali – molte cittadine romagnole mirano all’autonomia perché dal 1300 al 1370 il Papa viene trasferito in Francia, ad Avignone lasciando più libertà alla Romagna”. In quel periodo molte città romagnole infatti diventarono comuni con proprie norme statutarie, svincolandosi completamente dal controllo papale.

Libertà che però durerà solamente fino al 1377 quando il Papa torna a Roma e inizia la riconquista della Romagna. Ma è da questi 70 anni di autonomia che lo spirito indipendentista romagnolo è cresciuto sempre di più. “Bisogna tenere presente – sottolinea Verter Casali – che dopo il periodo dei comuni arriverà quello delle signorie. I signori vogliono il loro dominio personale su un territorio, a Rimini arriveranno i Malatesta, a Ravenna i Da Polenta, a Ferrara i Farnese”.

È quindi in questo periodo che si manifesterà la massima aspirazione di autonomia romagnola.

Gli altri movimenti indipendentisti in Italia

In Italia ci sono altri otto movimenti indipendentisti, come il Mar, che chiedono una maggiore autonomia regionale. In Sardegna il fronte per l’indipendenza è molto attivo e ben rappresentato a livello istituzionale. Non è da meno la Sicilia con il movimento indipendentista che chiede un vero e proprio stato siciliano. Al nord ci sono forti spinte di secessione in zone come il Sud Tirolo, Trieste, Friuli e Veneto dove molte minoranze linguistiche tedesche e francesi temono di sparire rimanendo in Italia.

Chi più chi meno. I differenti livelli di autonomia delle regioni italiane

In Italia esistono già cinque regioni che godono di una maggiore autonomia rispetto ad altre: Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino- Alto Adige/Südtirol. Sono le regioni a statuto speciale, previste dall’articolo 116 della Costituzione. Inizialmente le regioni a statuto speciale erano quattro, la legge costituzionale che aggiunse anche il Friuli-Venezia Giulia venne proposta e approvata solo all’inizio del 1963. Ogni statuto speciale aveva i suoi motivi e la sua storia particolare: in Sardegna, i politici locali avevano cominciato a parlare di autonomia già alla fine della Seconda guerra mondiale (ma ne ottennero poi una più limitata rispetto a quella siciliana); in Trentino-Alto Adige l’autonomia venne concessa anche per le rivendicazioni territoriali austriache, il cui governo trattò con quello italiano per le tutele da dare alla minoranza tedesca, e come compensazione per l’opera di “italianizzazione” forzata durante il fascismo; per motivi simili (la tutela della minoranza francese) venne concesso lo statuto speciale anche alla Valle d’Aosta. Nel 1949 le elezioni regionali si tennero in Sardegna e in Trentino-Alto Adige, che successivamente si divise nelle due province autonome di Trento e di Bolzano. In Friuli-Venezia Giulia le prime elezioni furono nel 1964: qui l’autonomia venne concessa, oltre che per il problema di Trieste e delle contese territoriali con la Jugoslavia, perché si trattava di un’area che per molti decenni ebbe problemi di sviluppo economico.

Ognuna di queste cinque regioni ha uno statuto a sé, che viene approvato dallo Stato con legge costituzionale. La Sicilia gode del livello di autonomia più alto: ha competenza esclusiva in una ventina di campi elencati all’articolo 14 e 15 dello Statuto regionale tra i quali agricoltura, industria, urbanistica, lavori pubblici, turismo e istruzione elementare. Significa che in queste materie lo Stato centrale non ha potere legislativo e tutte le decisioni vengono prese dagli organi regionali dell’isola. Negli ultimi anni il rapporto tra Stato e Regioni è cambiato: la modifica del Titolo V della Costituzione nel 2001 ha dato più autonomia a tutte le regioni riducendo quella delle regioni a statuto speciale.

Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto hanno firmato un’intesa con il Governo per godere di una maggiore autonomia in alcuni ambiti. Disporranno di autonomia legislativa e organizzativa sulle politiche attive per il lavoro, potranno definire l’offerta di istruzione regionale mediante Piani pluriennali e saranno in grado di rimuovere i vincoli di spesa per migliorare il livello dei servizi sanitari.