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Respirando acqua
Ecco come nasce la
squadra di Roma. E come sopravvive tra passione per l’acqua
e mancanza di sponsor
Nessun
rimpianto per i pattini a rotelle. Perché di giocarlo su
una pista non ne hanno mai avuto intenzione. Per loro l’hockey
esiste solo sott’acqua.
Quasi tutti gli atleti dell’Underwater
hockey and rugby club si sono conosciuti al circolo subacqueo
del Foro italico. Qui frequentavano i corsi di apnea o si allenavano
per ottenere il brevetto da sub. Quello che li ha spinti a provare
il nuovo sport è stata la passione per l’acqua.
"L’idea
di formare una squadra – spiega l’allenatore Dino
Iannaccone - è nata leggendo la notizia di un torneo che
si stava svolgendo a Bologna".
Come istruttore
subacqueo e appassionato di sport acquatici, Dino non si è
lasciato sfuggire l’occasione: "Ho preso contatto con
i ragazzi bolognesi – racconta - e ho organizzato alcuni
corsi formativi nella capitale". Franco
e Irene hanno detto
subito sì.
"Ma il primo giorno eravamo in tre – ricorda Dino –
e non è stato incoraggiante”. Poi si è aggiunto
Massimiliano. E via
via tutti gli altri. Fino a formate una squadra affiatata. Che
ha partecipato a numerosi tornei nazionali e internazionali. "Anche
se - precisa Dino – siamo nati tardi e nelle competizioni
scontiamo ancora la mancanza di esperienza".
In squadra ragazzi e ragazze dai 25 ai 40 anni. "Studenti,
impiegati, artigiani o commercianti – precisa Dino - che
la sera staccano la spina e si tuffano in acqua".
Un gruppo misto, perché lo sport non è ancora molto
diffuso in Italia e non avrebbe senso una divisione tra i sessi.
"Ma anche perché – spiega l’allenatore
- la densità dell’acqua attenua il vantaggio della
forza fisica e le donne possono giocare allo stesso livello degli
uomini". E’ sempre più difficile però
trovare un posto dove allenarsi a poco prezzo, perché le
piscine sono molto richieste. E gli unici contributi messi a disposizione
dalla Federazione se ne vanno per la pubblicità e i campionati
ufficiali. L’ostacolo più alto rimane infatti il
problema degli sponsor.
"Anche facendo jogging nel parco – fa notare Dino –
si può riuscire a sponsorizzare una maglietta con un marchio,
ma sott’acqua è decisamente molto più difficile".
Soprattutto perché in Italia non esistono piscine trasparenti.
Nei tornei ufficiali c’è una telecamera in acqua
collegata a un megaschermo. Ma l’inquadratura è fissa
e ristretta e non è facile seguire la partita. E se c’è
poco movimento di pubblico c’è poco movimento di
soldi.
"In questo sport – dice Dino - non si guadagna: fa
affari solo chi ha in gestione le piscine e affitta e lo spazio
per gli allenamenti". E per pagare le strutture, i giocatori
sono costretti ad autotassarsi". Così, lontani dalla
fama e noncurantti della pubblicità, i giocatori di hockey
subacqueo sembrano proprio sportivi d'altri tempi. "Chi gioca
a hockey – conclude Dino - lo fa solo per se stesso".
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