Fumetti a scadenza, miti precari
Interattivo: cronologia illustrata
Parlano gli esperti

Scrittori di storie "a termine"

Vita più breve, ma comunque da eroi
(Tito Faraci)

I "buoni" fumetti prima di tutto
(Roberto Recchioni)

Benvenuti nell'era "fast food"
(Andrea Aromatico)

Benvenuti nell'era "fast food"

Intervista ad Andrea Aromatico

 

Nel panorama del fumetto italiano, il suo è un nome relativamente nuovo. Prima del suo secondo progetto, Pinkerton S.A., Andrea Aromatico aveva scritto soltanto Nemrod, pubblicato da Star Comics. Era novembre 2007, e per l'editore perugino non si trattava del primo esperimento di questo tipo. Ma di certo è dal lancio di Nemrod, simultaneo a quello di Khor, che la Star ha dato il via a una serie di proposte "a breve termine" che sembra non fermarsi.

Crede sia proprio quello delle miniserie l'unico futuro possibile per il fumetto popolare italiano?

"Oggi come oggi sì. Abbiamo di fronte un mercato vasto e articolato che la 'manga invasion' (i prodotti giapponesi e in parte quelli coreani) ha suddiviso in nicchie tematiche, e diventa estremamente difficile proporre qualcosa di generalista che sia capace di catturare ampie fasce di lettori. Ovvio che gli editori si sentano più tutelati proponendo progetti a breve termine atti a sondare il mercato senza correre troppi rischi. C'è poi la questione della cultura 'fast food', che più o meno colpisce ogni settore merceologico, e dunque anche l'industria culturale di cui il fumetto è parte, per quanto 'pop'. Questo rende difficile la fidelizzazione del pubblico, già stordito da un'offerta ampia come non mai anche per via della globalizzazione e dall’apertura dei mercati. Ecco, in un contesto come questo, la miniserie è un tentativo di sopravvivenza. Rivolto, magari, alla ricerca di qualcosa che sia capace di fare centro e di farlo in grande stile, garantendo la resurrezione di un settore che oggi, in Italia, non è certo in espansione. Ma mi chiedo quale lo sia".

Una miniserie di 12, una di 4, e un'altra di 12 (ma con un cambio di marcia da mensile a trimestrale, e non più miniserie ma speciali): Nemrod ha avuto una vita editoriale tormentata ma intensa. Come vengono vissuti da chi sceneggia questi cambi di direzione?

"Male, ovvio. Ma ci si adatta".

Come si affronta la scrittura di storie in evoluzione ma dalle prospettive sempre indefinite?

"Con la passione e con un grande spirito di sacrificio, gli unici motori capaci di garantire una decente linea di galleggiamento, prima esistenziale e poi creativa, in una situazione davvero critica come quella attuale".

Anche se non come una serie regolare, alla fine Nemrod avrà una vita editoriale lunga circa tre anni. In un mercato a breve raggio come quello di oggi non è poco. Crede che il suo fumetto abbia creato qualche mito che verrà ricordato anche dopo la fine delle pubblicazioni?

"Al di là dei personaggi, sì. La struttura narrativa, i temi trattati e i risvolti culturali che Nemrod ha posto in essere hanno colpito nel segno. Lo dimostra lo zoccolo duro di appassionati, che ne piange forte quella che almeno per ora è una chiusura. Nemrod parlava di fede e di coraggio, di lotta senza quartiere tra il bene il male, mettendo in evidenza un mondo di cose e di fatti occulti. Il tutto attraverso personaggi strani ma credibili, eroi veri in un mondo che comincia ad averne davvero bisogno, dopo generazioni di antieroi e figure “borderline”. Il più amato di tutti? Credo Padre Bernard De Molay, un prete-ninja che grazie alla sua abilità di combattimento e la sua spada magica affronta demoni e mostri a viso aperto. Come sempre dobbiamo fare noi con quelli che ci portiamo dentro e con il male che ci circonda".

Crede che il fumetto sia ancora in grado di creare nuovi miti, in un'epoca in cui le nuove proposte durano lo spazio di pochi mesi e gli altri media "distraggono" i lettori? Come può nascere, oggi, un nuovo Tex o un nuovo Diabolik?

"E' difficile, ma possibile. Tutto dipende dall'humus culturale in cui le storie nascono e vengono proposte. Oggi un mito diventa tale solo se sa porsi come capofila, come figura archetipica in grado di incarnare quello che tutti sentono ma non sanno come dirlo. Se sa dare voce ai bisogni delle masse, al loro vivere e agire. L'era moderna ne ha trovato uno in Dylan Dog, l'investigatore dell'incubo e del rimosso nato non a caso negli anni Ottanta, quando tutto era soltanto 'Milano da bere' e business scintillante. Ma che ne era degli incubi? Cosa dell'orrore? E del male di vivere che nascondiamo sotto le nostre maschere? Con Dylan, Tiziano Sclavi ha saputo dar voce a tutto questo, e tre intere generazioni ci si sono abbeverate al suono dei Nirvana e delle liriche di Cobain.

"Per diventare mito, un fumetto deve saper incarnare quel che c’è di latente nell'immaginario collettivo. E dargli corpo, forse anche anima. Tex fu John Wayne e il sogno americano. Ha avuto vita facile perché all'epoca la frontiera americana era l'unica cosa su cui potersi confrontare, sostenuta poi dal cinema e dalla televisione. All’epoca l'Italia sognava l'America, aveva bisogno di visioni semplici e manichee che facessero da base per costruire il futuro collettivo di un Paese devastato dalla guerra ed arretrato dal punto di vista socio-culturale, perlopiù dominato da un perbenismo che negava al singolo ogni possibilità di avventura. Tex era il buono e giusto che a suon di cazzotti e sparatorie faceva trionfare il bene. Il tutto in una vita libera e selvaggia che la morale borghese rifiutava. Non poteva non diventare il mito di tutti.

"Diabolik, invece, rappresenta il fascino del male. La trasgressione, in una società già più ricca, ma anche cieca e perbenista, in cui iniziava a serpeggiare la nemesi coscienziale che si lega al benessere economico e sociale: la noia. Ladro e assassino, Diabolik fu il primo vero ribelle. Bello e maledetto, sempre alle prese con una giustizia che non è mai tale, che quando diventa ordine costituito schiaccia il debole nel nome di prevaricazioni attuate dai ricchi e dai potenti. Ecco, la creatura delle sorelle Giussani è un vero e proprio Robin Hood in calzamaglia. Da lui derivano i vari giustizieri della notte, i solitari che nella loro ambiguità hanno saputo rispecchiare quel che tutti sentivano ma non potevano dire".