Fumetti
a scadenza, miti precari
Il ranger
e il ladro. Due figure opposte che convivono
da decenni nelle edicole italiane. Tex
e Diabolik, il paladino tutto
d’un pezzo e l’antieroe tenebroso,
protagonisti di fumetti tra i più venduti
ogni mese. Duecentoventimila copie il primo,
la metà il secondo. E senza contare le
ristampe. Cifre da eroi sempreverdi, che però
non hanno più eredi: il mercato italiano
del fumetto si restringe e non propone più
serie a lungo termine. Da circa dieci anni nascono
solo miniserie, in nome una politica editoriale
che propone fumetti che durano lo spazio di
qualche numero, i personaggi non sopravvivono
che una manciata di mesi e gli eroi diventano
precari.
Da Brad
Barron a Nemrod, da Detective
Dante a David Murphy 911: le case
editrici investono quasi solo su progetti a
termine. Quello della "Nona arte"
è un settore vivo, ma sostanzialmente
di nicchia, rischiare con proposte a scadenza
preoccupa meno del lancio di una serie che non
ha una fine prestabilita se non quella decisa
dal mercato. Com’è sempre stato:
o vendi, o muori. Oggi si preferisce “programmare”
la morte delle testate a fumetti, e se va bene
prolungarne la vita con una “seconda stagione”.
Come fosse un serial televisivo. Questo modello
editoriale e narrativo è sempre esistito,
ma solo negli ultimi tempi le miniserie sono
diventate una regola senza eccezioni: 18 in
dieci anni. Di testate a tempo indeterminato,
invece, nemmeno l’ombra.
“Dal
personaggio eroico si è passati a un
personaggio sempre più umano, tanto umano
che crediamo opportuno vederlo morire".
Luca Raffaelli, giornalista
ed esperto del settore, è convinto che
l'evoluzione dei protagonisti dei fumetti verso
la precarietà sia frutto di una naturale
evoluzione: "L’eroe immortale che
vive migliaia di storie, e che si sa che nella
prossima sarà comunque vivo, ha qualcosa
di antico, di superato. Abbiamo bisogno di eroi
che ci parlino di quello che ci sta accadendo,
e in questo senso che siano più vicini
a noi in termini di destino. La miniserie -
aggiunge - non è altro che una serie
nella quale il personaggio può scomparire.
Non un obbligo, ma una scelta più matura
di un tempo e una visione più oculata
da parte degli editori”.
E infatti,
gli editori hanno cambiato strada.
L’ultima
sopravvissuta delle serie nate per non morire
è Dampyr, storia di un “mezzosangue”
cacciatore di vampiri. Era il 2000, e ancora
oggi vende 40.000 copie ogni mese. Lo pubblica
la storica casa editrice di Sergio Bonelli,
la stessa di Tex, che in seguito ha
voluto riprovarci con un mensile regolare di
genere fantascientifico, Gregory Hunter.
Ma le scarse vendite hanno costretto l’editore
milanese a cancellare la sua ultima “serie-fiume”
dopo sole 18 uscite. Da quel momento ha investito
soltanto su qualche romanzo a fumetti e, soprattutto,
sulle miniserie. La prima, ancora di fantascienza,
ha esordito nel 2005. Con le sue 50.000 copie
di media, Brad Barron ha fatto da apripista
a una serie di nuovi titoli che ne hanno imitato
la formula di pubblicazione. Da Volto Nascosto
a Caravan fino all’ultimo Greystorm,
che vende ogni mese 43.000 copie. Tremila più
di Dampyr.
La Star
Comics ha messo in soffitta i mensili
di Lazarus Ledd e Jonathan Steel,
personaggi per i quali sono rimasti solo numeri
speciali che arrivano nelle edicole senza una
periodicità fissa. Poi è stata
la volta delle nuove miniserie. A Khor
(4 uscite), Nemrod (28), Cornelio,
su ispirazione dello scrittore Carlo
Lucarelli (12 numeri), Rourke
(8) e Trigger (interrotta dopo 4 uscite,
contro le 6 previste in origine), si sono aggiunte
Valter Buio, Factor-V e Pinkerton
S.A.
Molti personaggi
“muoiono” prima del previsto. Tra
i fan ha fatto scalpore la chiusura anticipata
di John Doe, che era diventato in breve
tempo un culto. Un esordio da 25.000 copie,
che negli ultimi tempi si erano più che
dimezzate. Nata nel giugno del 2003 dalle penne
di Roberto Recchioni e di Lorenzo
Bartoli, la serie è un ibrido
tra vecchio e nuovo. Concepita per “stagioni”,
è stata interrotta con il numero 77,
mentre il quarto e ultimo ciclo si sarebbe dovuto
concludere soltanto con il 99. Ma un cambio
ai vertici dell’Eura Editoriale (oggi
Aurea Editoriale) ha costretto
John Doe a levare le tende in anticipo,
con programmi di rilancio in albi monografici
per fine 2010.
Miti o non miti, lo studioso di "nuvole
parlanti" Alessandro Di Nocera
vede di buon occhio le serie a termine made
in Italy. “E’ un buon sistema –
dice - sia per intercettare un pubblico interessato
al fumetto (ma distratto da altre cose), sia
per sondare il mercato e capire cosa i lettori
gradiscono o meno”.
Neanche il miglior editore può sapere
in partenza cosa può durare o meno, nota
il semiologo Daniele Barbieri,
e c’è ancora tempo perché
nascano nuovi Tex e per nuovi
Diabolik: “Anche se negli
anni ’40 non esisteva il concetto di miniserie,
la serie era comunque pensata come un tentativo.
In questi termini non è cambiato niente”.
Intanto, però,
l'immaginario popolare italiano resta a guardare
i tumulti di un settore in continua evoluzione
che fa sempre più fatica a regalare nuovi
miti. E si finisce per trovarli altrove.
I lettori sono
infatti sempre più distratti da altre
forme di intrattenimento, spiega Di
Nocera: "Era molto più
facile in un mercato dove il fumetto era predominante,
vendeva milioni di copie e aveva anche la capacità
di entrare in altri mezzi di comunicazione.
Perché si dovrebbe operare su più
fronti: non solo fumetto, ma anche videogame,
film, telefilm". Proprio come succede con
i supereroi americani e con i protagonisti dei
manga giapponesi, sempre più spesso sfruttati
per progetti cinematografici, serie animate,
giochi e merchandising di vario genere. Concorda
Raffaelli, oggi “manca
la possibilità di un consolidamento,
ed è sbagliato relegare il fumetto alle
sole pagine stampate: deve diventare altro”.
Qualcosa si è fatto anche in Italia.
Rat-Man, per esempio, è uno
degli ultimi personaggi a fumetti ad aver beneficiato
del passaggio alla “multimedialità”.
Il topo in calzamaglia che fa il verso ai superuomini
dei comics statunitensi è nato come autoproduzione
dalla fantasia di Leo Ortolani,
ma è poi passato sotto l’ala di
Panini Comics, conquistando
una fama che lo ha fatto diventare il protagonista
di cartoni animati, gadget e giochi di carte.
Secondo Barbieri
un personaggio dei fumetti arriva agli altri
media solo se si è già ritagliato
un suo spazio nell’immaginario collettivo.
E non è detto che diventare film o altro
sia necessariamente un bene. “Tanti spettatori
che non leggono i fumetti – dice Barbieri
– la vivono come una cosa cinematografica.
E ignorano, magari, che il personaggio esisteva
già da prima all'interno di un altro
mondo”.
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