Calano le vendite delle riviste e il ruolo degli inserzionisti pubblicitari nelle redazioni diventa più invasivo. Difficile difendersi dal rischio di un’informazione “sponsorizzata” quando a decidere gli argomenti e la grafica delle pagina è la pubblicità.
Il lettore si è fatto furbo e per il naso non vuole essere preso. Gli inserzionisti pubblicitari lo sanno bene. Sui giornali, le loro strategie comunicative si sono fatte molto più sofisticate e invasive. Nelle riviste che si occupano di viaggi e turismo a volte è difficile distinguere tra pubblicità e articolo giornalistico. La notizia si fonde e si confonde spesso con l’attività promozionale e la scelta stessa degli argomenti risulta “sponsorizzata”.
È impresa ardua trovare nei settimanali, nei mensili e nei periodici del settore turistico spudorate commistioni. Abbondano servizi su alberghi, villaggi turistici, luoghi di villeggiatura e citazioni di compagnie aeree. Ma è difficile trovare nell’immediata vicinanza dell’articolo la pubblicità dell’albergo in questione, del tour operator o della linea di volo “Chi legge non è mica fesso”, dice Roberto Caramelli, caporedattore dei “Viaggi di Repubblica”: “Se legge un articolo sull’Umbria e vede accanto l’inserzione di un tour operator che fa delle offerte proprio sull’Umbria, capisce subito che c’è qualcosa che non va”.
L’operazione promozionale è più sottile. Prima compare l’articolo. Poi, nel numero successivo, la pubblicità del “prodotto” di cui il giornalista ha parlato. In alcuni casi la reclame non attende l’uscita del numero successivo della rivista e si posiziona qualche pagina prima o dopo il servizio cui lo sponsor è legato.
Se i lettori diminuiscono, il peso degli inserzionisti pubblicitari aumenta. Per Caramelli, il ruolo degli sponsor è diventato sempre più invasivo. “In alcuni casi, la decisione di realizzare un determinato servizio viene presa dopo che un inserzionista ha annunciato l’acquisto di uno spazio pubblicitario”. Insomma, se la regione Marche acquista una pagina su una rivista di turismo per pubblicizzare il Montefeltro, ci sono altissime probabilità che su quello stesso giornale compaia un reportage sul Montefeltro.
Mariella Grossi, vicedirettrice di “Dove”, mensile del Corriere della Sera, va orgogliosa della scelta editoriale fatta dal suo giornale: “Scegliamo i temi della rivista in base all’attualità. Più che una rivista di viaggi proviamo a fare una rivista di costume”. Questo, secondo Grossi, rende “Dove” poco appetibile agli inserzionisti tradizionali della pubblicistica di viaggi e dunque più libera la propria attività di documentazione giornalistica. E infatti sul mensile del Corsera ci sono pubblicità di borse, orologi, giacche e valige e soltanto tre o quattro spazi pubblicitari acquistati da tour operator ed enti del turismo.
Nel numero di questo mese, però, a pagina 64 e 65, sotto la dicitura “Dolce vita/prima puntata”, appare qualcosa che ha tutta l’aria di un servizio giornalistico. C’è un titolo, un catenaccio e un testo provvisto di capolettera corredato di foto con didascalia dei lussuosi interni e degli esterni di navi della Msc Crociere. Solo con più attenzione ci si accorge che il carattere è leggermente diverso da quello usato per il resto del giornale. In fondo a destra a pagina 65, compare una piccola scritta criptica messa di traverso a fianco a una foto della nave da crociera: “Publi Dove” recita la breve riga. Queste due parole sarebbero l’avvertimento al lettore che si tratta di informazione pubblicitaria e quindi di completamente distinto dal resto del giornale. Cosa, a primo impatto, quasi impossibile da riconoscere per chi legge.
Nessuna rivista italiana, d’altra parte, specifica , all’interno o alla fine degli articoli, come siano state sostenute le spese di viaggio e di soggiorno per i reportage sui luoghi più lontani e costosi del mondo.
Testate come Bell’Italia, Viaggi e Sapori e Gente Viaggi, accompagnano i servizi con consigli su hotel, ristorante, linea aerea e, in alcuni casi, tour operator da scegliere. Per chi legge, rimane, però il dubbio sulla trasparenza delle informazioni date. Da nessuna parte sta scritto dove il giornalista abbia dormito, mangiato e come abbia viaggiato. E soprattutto le riviste non specificano se qualcuno degli enti citati dall’autore abbia sponsorizzato il viaggio.
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