Dopo due anni di attesa il 9 febbraio la Commissione cultura della Camera ha approvato all’unanimità la riforma dell’Ordine dei giornalisti. Tra gli altri ha votato, e voterà ancora perché questo è stato solo il primo passaggio del testo in Commissione, anche Renato Farina, l’agente Betulla radiato dall’Ordine per essere stato sul libro paga dei servizi segreti. Un voto, quello di Farina, che Roberto Natale presidente del Fnsi definisce “inopportuno e indecente”. “La categoria dell’opportunità – continua Natale – è sconosciuta a Farina”. Non è del tutto d’accordo Enzo Iacopino, Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti: “Esasperare i toni sulla presenza di Renato Farina in Commissione è interesse soltanto dei nemici della Riforma”. Una riforma che si può riassumere in tre punti:
- Il più importante si trova all’articolo 2 del testo e riguarda la composizione del Consiglio nazionale dell’Ordine. Al momento è composto in maniera proporzionale da giornalisti professionisti e pubblicisiti (due professionisti e un pubblicista per ogni Ordine regionale più un consigliere professionista ogni cinquecento iscritti professionisti e un consigliere pubblicista ogni mille iscritt pubblicisti). Con il criterio della proporzionalità il Consiglio nazionale non ha un numero massimo di componenti(al momento sono più di 150). Con la Riforma il Consiglio diventa un organo composto in maniera fissa da novanta consiglieri: 60 professionisti e 30 pubblicisti.
- Con gli articoli 3 e 4 la riforma cambia gli organi disciplinari dell’Ordine. Oggi il primo grado di giudizio si svolge davanti all’Ordine regionale e contro le sue decisioni si può fare appello al Consiglio Nazionale. Questo significa portare il dibattimento davanti a un organo composto da circa150 componenti con tutte le lungaggini che ne conseguono. Con la riforma invece ci si appellerà ad una Commissione deontologica. Se però la Commissione dovesse emettere una condanna superiore alla censura (cioè un “biasimo formale”, la sanzione più bassa dell’Ordine dopo “l’avvertimento”), la sua decisione dovrà essere confermata da una votazione del Consiglio nazionale dell’ordine. Insieme a questa Commissione la riforma istituisce anche un Gran giurì (per l’esattezza ne crea uno per ogni Corte d’appello). Il Gran giurì sarà composto per la maggior parte da non giornalisti e dovrebbe servire a consentire a parti terze (non giornalisti) di ottenere una giustizia rapida da un Tribunale “non corporativo”.
- Con l’articolo 1 invece cambia il sistema di accesso alla professione. Per iscriversi al registro dei praticanti sarà necessaria una laurea oppure si dovrà sostenere un esame di cultura generale (oggi è necessario solo se il candidato non ha il diploma) mentre per avere accesso all’albo dei professionisti sarà sempre necessario sostenere l’esame di stato. Con la riforma si istituisce l’obbligo di un esame per entrare nell’elenco dei pubblicisti.
Per arrivare all’approvazione all’unanimità della Riforma è stato necessario un compromesso rispetto al documento originale (il “Documento d’indirizzo” scritto e approvato all’unanimità da Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti) e alla prima proposta di legge firmata dai deputati-giornalisti Pisicchio, Zampa, Mazzuca, Pionati, Giorgio Merlo, Giulietti, Rao, Salvini, Lehner e Testoni.
Con la sua proposta l’Ordine chiedeva che le Scuole di giornalismo e i master collegati all’Ordine diventassero l’unico canale di accesso alla professione. Non sarebbe più possibile diventare praticanti per chiamata diretta dell’editore, andando cioè a lavorare in una testata con un contratto da praticante. Chiamata diretta che il Presidente dell’Ordine, sulla base dei dati Inpgi, definisce un “modo marginale” per entrare nella professione. Il vero motivo della proposta è che “se l’accesso per via universitaria diventasse per legge un canale unico – dice il Presidente Iacopino – lo Stato dovrebbe farsi carico di offrire delle opportunità economiche a chi vuole entrare in queste scuole”, oggi piuttosto costose.
Natale e la Fnsi considerano i primi due punti “un buon passo avanti” secondo il vecchio principio: “Il meglio è nemico del bene”, ma sulla rinuncia alla riforma radicale dell’accesso il suo giudizio è negativo. Un cambiamento che, più che alla categoria, Natale attribuisce “alla facile azione di convincimento del mondo politico”.
Il percorso della riforma in ogni caso non è ancora concluso e il testo può ancora essere cambiato. Dopo il passaggio in Commissione cultura della Camera bisogna attendere il parere delle altre Commissioni competenti. In un paio di settimane si esprimerà la Commissione degli Affari Costituzionali, l’ultima che manca ancora all’appello. Terminata questa procedura la riforma dovrà passare all’esame dell Guardiasigilli. Se anche il Ministro fosse d’accordo, allora la riforma tornerà in Commissione cultura. Stando a quanto si vocifera probabilmente passerà in “Commissione in sede deliberante”, cioè sarà approvata senza passare dalle Camere. E’ una procedura rara nel nostro Parlamento perché può essere bloccata se si oppone anche solo un decimo dei parlamentari o dei membri della Commissione. Cioè una legge può essere approvata in Commissione solo se tutti sono d’accordo.
E quello di un accordo di destra, sinistra e centro sembra essere proprio il destino della legge visto che nel suo primo passaggio in Commissione è passata all’unanimità. Qualche nube però la Riforma potrebbe ancora incontrarla. L’accordo bipartisan al momento c’è, ma con un testo ancora poco chiaro su almeno due aspetti:
- il metodo di nomina, la composizione e il funzionamento dettagliato della Commissione Deontologica che nel testo attuale non sono stati stabiliti.
- il funzionamento del Gran giurì, che è delineato nella sua composizione, ma di cui ancora non si conoscono i poteri e l’area di competenza.
Precisare questi punti è importante per il futuro della Riforma. L’onorevole Giulietti, ad esempio, ha dichiarato che se il Gran giurì dovesse diventare l’ennesimo organo vuoto in Commissione voterà “no”. Sullo stesso punto è stato ancora più duro Roberto Natale: “Se si perdesse il senso del Gran Giurì, la riforma non avrebbe più due dei suoi tre punti qualificanti. Non si potrebbe più chiamarla riforma e noi ci opporremmo”.
La riforma ha compiuto passi importanti, ma il suo cammino non è ancora concluso. Ma su questo pezzo di strada che rimane da percorrere possiamo stare tranquilli: a vigilare su tutto c’è pur sempre l’Onorevole Betulla.
Un articolo davvero ben scritto e, finalmente, chiaro. Complimenti agli autori. Se tutte le scuole di giornalismo funzionano come l’IGF dovrebbero davvero diventare l’unico canale di accesso alla professione.
Mi associo e condivido totalmente – come sempre accade – ciò che ha scritto appena sopra la collega e amica Laura. Bravi.