C’era una volta una donna dal sorriso enigmatico, gli occhi sfuggenti e una bellezza quasi androgina. Leonardo da Vinci seppe ritrarre la sua inafferrabile essenza in maniera così perfetta che per ben cinque secoli studiosi della storia dell’arte si sono interrogati sulla sua identità senza mai trovare una risposta certa. Oggi si dice sia stata un’avvenente urbinate a ispirare il maestro.
Perciò non chiamatela più “Monna Lisa”, come fece per la prima volta GiorgioVasari che riconobbe in quel ritratto Lisa Ghedini, moglie di Francesco del Giocondo, e lo intitolò proprio per questo “La Gioconda”. Ora nuovi studi dicono si tratti di Pacifica Brandanti, nobildonna della corte di Urbino che divenne amante di Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e duca di Nemours. A sostenere l’ipotesi ci sono gli studi in via di pubblicazione per la Mondadori di Olivia Nesci e Rosetta Borchia. Le due ricercatrici urbinati hanno individuato nello sfondo del celebre quadro custodito al Louvre nientemeno che il paesaggio del ducato di Montefeltro.
A loro si aggiunge lo storico romanzo Roberto Zapperi che nel suo libro “Monna Lisa addio” pubblicato in Germania, Spagna e in Giappone racconta la genesi della commissione dell’opera.
I fatti, secondo Zapperi, risalgono all’inizio del XVI secolo quando Pacifica Brandani, morì dando alla luce il figlio illegittimo di Giuliano de’ Medici, esule in quel periodo presso la corte di Urbino. Per mostrare la madre mai conosciuta al piccolo orfano, futuro cardinale Ippolito de’ Medici, il padre commissionò a Da Vinci l’opera, così bella e così reale eppure creata solo grazie a ricordi e descrizioni. Giuliano morì prima di poter ritirare il quadro che Leonardo portò con sè in Francia e in seguito donò a Gian Giacomo Caprotti, allievo e forse amante del pittore. Proprio quel Salai che un’altra parte della critica vedrebbe nei panni “en travesti” della Gioconda. L’opera finì poi nel patrimonio di Francesco I. A supporto dell’ipotesi di Zapperi c’è uno scritto di Antonio De Beatis che riporta un colloquio fra Leonardo e il cardinale Luigi D’Aragona in cui il pittore riferisce al prelato di aver dipinto il ritratto per incarico di Giuliano de’ Medici.
Il mistero del quadro continua a infittirsi. Lo scopo di Leonardo è raggiunto.