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La rivoluzione del crowdfunding Vuoi un’inchiesta? Ora è su misura

di e    -    Pubblicato il 27/01/2012                 
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Immaginate di avere la passione per il giornalismo e di voler approfondire e raccontare ai vostri concittadini i disagi causati dalla neve a Urbino. Non avendo i soldi per noleggiare le telecamere, per pagarvi gli spostamenti e il tempo necessario per un lavoro ricco di informazioni e di interviste, spesso siete costretti a rinunciare in partenza perché dite a voi stessi: “Non posso, io sono un dilettante”. Ora, invece, è nato un nuovo modo di fare inchiesta, finanziato e promosso dai lettori. E’ arrivato in Italia il crowdfunding journalism, il “giornalismo finanziato dalle folle”, già diffuso negli Stati Uniti e in altri Paesi europei, e promosso da alcuni portali su internet.

Si tratta di qualcosa di simile a ciò che sta facendo Michele Santoro con Servizio pubblico, offrendo un prodotto giornalistico in cambio della fiducia e del finanziamento dei telespettatori. Ma nel suo caso non c’è la dimensione del giornalismo partecipativo, i temi sono ancora imposti dall’alto, mentre il crowdfunding parte dal basso, è una sorta di ribaltamento un po’ anarchico del modo di fare giornalismo. “Gli editori sono i fruitori delle inchieste e ciascun utente non può offrire più del 20 % delle risorse complessive per realizzarla, così da evitare condizionamenti” – ci dice Giancarlo Basso, del nuovo portale italiano Pubblico Bene (tra i pionieri nel nostro Paese insieme a youcapital.it e dig-it.it, oltre al gemello del colosso americano spotus.it). Tutto in nome dell’interesse pubblico delle inchieste e di un’informazione alternativa a quella dei grandi media. Le idee possono essere proposte anche dagli utenti, ma queste si traducono in inchieste solo se viene raggiunta una somma decisa in partenza dall’autore ed entro una data stabilita. Altrimenti i soldi tornano a chi li ha offerti oppure vengono reinvestiti per altri progetti di inchiesta.

Il primo portale a lanciare il crowdfunding per il giornalismo è stato l’americano Spot.us, specializzato sulla città di San Francisco. Nato nel 2009, dopo un anno di vita aveva già raccolto 45 mila dollari da centinaia di persone nella sola città californiana, e aveva portato a termine 40 inchieste: ad esempio, sul gap tra ricchi e poveri, sulla chiusura della libreria Stacey, sulla crisi dell’industria del sesso o sulle potenzialità dell’energia solare.

Il concetto di giornalismo finanziato dal basso si adatta molto bene all’ambito locale, a una piccola rete di persone interessate e informate sui problemi della propria zona. Ed è in questo senso che pochi giorni fa ha lanciato il suo progetto italiano Pubblico Bene: nato dall’idea di un gruppo di amici, ha ottenuto un finanziamento dalla regione Emilia Romagna per realizzare le prime due inchieste-vetrina (una sul tema del welfare e l’altra sulla questione degli affitti a Bologna). In una seconda fase saranno gli utenti stessi a proporle e a finanziarle. “L’obiettivo – si legge sulla home page del portale – è realizzare uno slow journalism libero dalla logica dello scoop e dall’urgenza della cronaca”.

Il giornalismo lento e partecipato però non piace a tutti e ci sono molti nodi da sciogliere. Innazitutto c’è il problema delle responsabilità legali per eventuali errori: a risponderne sarebbe l’autore dell’inchiesta o il responsabile del portale che la ospita? Una prima sentenza della Cassazione si è espressa in favore del direttore responsabile di una testata online perché internet è un sistema fluido, non controllabile come un giornale, e perché l’apertura ai commenti lo rende un prodotto non chiuso, dialettico. Si veda, a questo proposito, un’altra recente sentenza sull’omesso controllo di commenti diffamatori dei lettori.
Gli scettici si appuntano anche sul problema dell’affidabilità di un’inchiesta finanziata “a scatola chiusa”. Chi sarebbe disposto a pagare in anticipo un giornalista
sconosciuto che voglia affrontare un tema di interesse pubblico? Il rischio è che ad essere sostenuti economicamente siano solo giornalisti già noti.

E poi c’è chi crede, come l’editorialista del Foglio, Stefano Cingolani, “nella funzione delle élite e nella loro capacità di dare un senso a fatti e notizie altrimenti slegati”. Tutte questioni aperte, ma non c’è dubbio che il finanziamento dal basso sia una grande opportunità per i giovani giornalisti in tempi di crisi.

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