URBINO – Scorre rumorosa lungo le vie della città, si insinua tra le fibre del cemento infiltrandosi tra i coppi mentre la neve scivola giù sciogliendosi. E’ l’acqua, il più grande nemico del legno che ora insidia le travi che sorreggono i tetti.
Se prima a far temere erano i crolli per i tre metri di neve accumulati sulle case di Urbino, ora che è finita la prima fase dell’emergenza e che la maggior parte delle coperture è stata ripulita – grazie all’incredibile spiegamento di forze (dai vigili del fuoco all’esercito, dai volontari specializzati a quelli che non lo erano) del Montefeltro e di quelle provenienti da tutta Italia – sembra che il pericolo più grande siano diventate le infiltrazioni. L’acqua fa paura.
“Lo scioglimento della neve provoca danni indiretti – dice l’ingegnere Alessandro Cioppi, responsabile dell’area tecnica dell’Arcidiocesi di Urbino e scampato per un soffio al crollo del tetto della chiesa dei Cappuccini – le travi marciscono, già sono state messe a dura prova dal carico della neve, poi con l’acqua si indeboliscono ancora di più. Questo rende più serio il rischio dei crolli”.
Travi rotte e spezzate, il simbolo della grande nevicata dopo il blizzard, il freddo vento che ha soffiato da nord. La neve è stata buttata giù dai tetti, ora non c’è più, ma il suo peso resta impresso nelle strutture portanti: “molte sono state deformate dalla neve – sottolinea Domenico Fucili, a capo dell’équipe di ingegneri volontari che dai primi giorni di febbraio ha monitorato e fatto interventi su tutto il territorio – e ora sono pericolose forse più di quanto lo fossero quando erano ricoperte di neve”.
Travi pericolanti, flesse, “alcune già erose dai tarli – afferma l’ingegnere Roberto Cioppi – come potevano reggere il peso di tre metri di neve? E’ un miracolo che molti tetti abbiano retto”.
Ingegneri e vigili del fuoco sono intervenuti con sopralluoghi e puntellamenti, ma in alcuni casi non si è fatto in tempo, come è successo alla chiesa dei Cappuccini, dove il tetto è crollato lasciando uno squarcio di sette metri e una gran paura ad Alessandro Cioppi e Federico Borghini che erano lì e che sono stati sbalzati indietro di alcuni metri. Salvi. “Metteremo un cappello di lamiera alla chiesa, la copriremo con una struttura metallica temporanea e questo ci permetterà di rimuovere le macerie e le opere d’arte – dice Cioppi – non sappiamo assolutamente cosa c’è lì sotto, ci sono almeno quattro metri di calcinacci”. Sprazzi di colore tra il grigio omogeneo delle rovine, erano affreschi, erano dipinti e chissà cos’altro.
A parte il complesso dei Cappuccini e la chiesa di S.Francesco, dove una trave ha ceduto e hanno dovuto sfondare il tetto per ripararla, la maggior parte del patrimonio storico culturale di Urbino è salvo. Molte strutture sono state evacuate, come il convento di San Bernardino, ma le opere sono state tutte trasferite e portate in luoghi sicuri. “Alcune pale d’altare sono alte anche sette metri – confida l’ingegnere – e qualche difficoltà l’abbiamo avuta a trasportarle, soprattutto con molte strade bloccate e la neve di due metri ai lati. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta”.
Il nevone ha colpito duro sull’Arcidiocesi di Urbino: il danno è di “qualche decina di milioni di euro”, dice l’ingegnere Alessandro Cioppi che non può fare un conto preciso perché stanno ancora cercando di contenere i danni, non possono ancora “risolvere”.
I crolli della chiesa dei Cappuccini, di San Francesco, del Cinema Ducale, delle abitazioni in via Budassi e in via Bramante e del tetto del ristorante cinese ‘Nuovo Sole’, sono stati una battaglia e come dopo ogni guerra, anche quella bianca dovrà avere la sua ‘ricostruzione’. Ma non se ne parla ancora. Qualcuno riesce solo a sussurrare questa parola, perché l’emergenza non è ancora finita. “Non siamo alla fine – fa sapere l’ingegnere Domenico Fucili – vale la pena fare ispezioni per tutte le categorie d’abitazione, stiamo raccogliendo i dati di tutto quello che è successo e una classificazione dei costi ora è difficile, perché ogni tetto ha bisogno della propria indagine, ogni struttura della propria ricognizione”.
I danni sono stati tanti, forse troppi. Qualunque cifra per ‘ricostruire la città‘ sarebbe ipotetica. Quello che è certo è che sarà pesantissima, da aggiungere al mezzo milione di euro già speso durante la prima emergenza per ruspe, spalaneve, esercito e ospitalità. “Dobbiamo trovare i soldi necessari – fa sapere Gabriele Cavalera, capoufficio stampa del Comune – speriamo solo in tempi celeri. Il tempo, forse, è il problema più grande. Non ne abbiamo molto per rimettere in piedi la città”.