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Addio chiodi e cacciavite: chiude anche Sacchi. In centro solo piade e panini

di    -    Pubblicato il 9/03/2012                 
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URBINO – Lo storico ferramenta Sacchi chiude i battenti ad aprile. A partire da quel momento, i residenti dentro le mura dovranno mettersi in macchina e andare a Piansevero per procurasi chiodi e martelli. A piedi si potranno consolare con un panino e una gazzosa, visto che gli unici negozi che sopravvivono, anzi aumentano, sono i pubblici esercizi: ristoranti, bar e pub: dall’inizio del 2012 il Comune ha rilasciato loro sei licenze.

NEGOZI: UNO SU CINQUE E’ CHIUSO

Qui consideriamo due aspetti dello svuotamento del centro: da una parte i costi proibitivi per mandare avanti un’attività in centro in termini economici e organizzativi; dall’altra il rilancio culturale della città come unica via possibile per frenare la dequalificazione del tessuto cittadino: “La ricchezza artistica viene sfruttata come rendita di posizione”, lamenta amareggiato il “vecchio libraio” della città ducale.

Dopo 60 anni chiude l’ultimo ferramenta. Simone e Francesco sono due cugini urbinati non ancora trentenni. Nel 2006 hanno deciso di rilevare l’attività del ferramenta Sacchi, aperto in via Cesare Battisti dal 1953. Ora a malincuore sono costretti a trasferire il negozio in via Salvemini, vicino alla Conad di Piansevero.

Perchè lasciare il centro? “Alcuni mesi chiudiamo con un guadagno di mille euro da dividere in due – racconta Francesco – come possiamo andare avanti con 15 clienti al giorno? Io ho famiglia!”. Sono le amare parole di chi per arrotondare si ingegna in tutti i modi, dai piccoli lavori idraulici al giardinaggio “Solo di tasse paghiamo tra i 12mila e i 15mila euro l’anno” conclude Francesco.

Perché a Piansevero dovrebbe andare meglio? “Quella Conad rilascia 1700 scontrini al giorno. Un traffico di persone che potrebbero essere nostri clienti enormemente più grande di quello del centro” spiega Simone.

Perché non spostare il ferramenta nei futuri centri commerciali? “Due anni fa – continua Simone – avevamo partecipato alle riunioni del Comune per cedere quegli spazi, ma un locale di 200 metri quadrati veniva venduto a 600 mila euro. L’impressione è che ci sia la volontà di portare il commercio fuori dalle mura: lo si fa chiudendo il centro alle auto con politiche che non favoriscono i commercianti” conclude Simone.

Guido Bernardi è conosciuto a Urbino come il “vecchio libraio”. A quasi 80 anni, di cui gli ultimi 30 alla Libreria Moderna, di cambiamenti ne ha visti, ma la cosa che lo colpisce di più è il decadimento culturale all’ombra dei Torricini.

Perché a Urbino sopravvivono solo i ristoranti? “Siamo una città che, avendo perso la centralità culturale post-bellica, non riesce a esprimere una rinnovata identità e vive una decadenza in cui la ricchezza storico-artistica viene sfruttata come rendita di posizione, per un turismo culturale che poggia su un’idea consumistica, con una strozzatura economica che comprime le attività commerciali nell’offerta di beni di consumo per gente di passaggio”.

Di chi è la responsabilità? “L’intreccio tra fattori economici e socio-culturali crea una virtuosa connessione tra la dequalificazione del commercio cittadino e le turbolenze notturne. Ma la responsabilità non va fatta ricadere unicamente sugli studenti, bensì anche su uno stile di vita non fondato sulla partecipazione e integrazione sociale”.

La soluzione? “Un capitale umano impegnato su ricerca e sperimentazione da coinvolgere per un piano di riqualificazione della città, centrato sull’economia della conoscenza e sull’innovazione culturale, che oggi rappresentano i veri settori di crescita per l’occupazione giovanile”.

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