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Strumenti scientifici, un patrimonio dimenticato

di    -    Pubblicato il 12/03/2012                 
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URBINO – “Dovevate fare il Museo? L’abbiamo fatto. Dovevate salvare gli strumenti? Li abbiamo salvati. Dovevate ripulirli, metterli in ordine? Cosa fatta. Possiamo visitarlo? No”. Questo è l’inizio di una storia affascinante, una storia di ritrovamenti e scoperte, una storia di anni che passano nelle solite contraddizioni. Le parole sono del professor Flavio Vetrano, ordinario della Facoltà di Fisica dell’Università. A lui, al professor Roberto Mantovani e altri collaboratori si deve l’apertura, negli anni ’80, del Museo del Gabinetto di Fisica in una sala del palazzo degli Scolopi, dal 1865 diventato Collegio Raffaello, in piazza della Repubblica.

Qui sono custoditi circa 600 pezzi risalenti al ‘700 e all’800, molti dei quali costruiti a Urbino da artigiani locali ma anche acquistati all’estero, di proprietà del costruttore francese Secretan, la cui officina parigina, per qualità dei prezzi, era la migliore dell’epoca. Oggi è diviso in undici aree, tra cui l’acustica, il calore, la cosmografia e meteorologia, l’elettricità, la fisica atomica il magnetismo, l’ottica.

“Contrariamente a ciò che pensa la gente, Urbino ha solo una tradizione scientifica. Il Museo nasce per rivendicarne l’importanza, per dire che sono presenti le tracce di civiltà millenarie”, dice Vetrano.  La scienza è visibile nelle strade, nei vicoli, nelle iscrizioni sparse ovunque che ricordano alla città il suo passato glorioso e fecondo; già nel Medioevo, nasce qui una delle più grandi iniziative che si conoscano in Italia: la costruzione di strumenti e lo studio di macchine scientifiche. Urbino piccola città, pochi abitanti, geograficamente isolata, ha avuto l’opportunità di provare la resistenza della cultura al passare del tempo: salvare ciò che era stato fatto nel passato e proiettarlo nel futuro come attività di ricerca, perché è nel passato che bisogna cercare per comprendere i nostri giorni e quelli che verranno.

Le contraddizioni:

  • Le due sale del Museo sono chiuse. “Non c’è una persona che la mattina vada ad aprirle e  le pulisca e una guida che accompagni i visitatori. Questo è il problema”, dice il professor Mantovani che per ‘volontariato’, provvede da anni all’apertura e ad accogliere chi richiede, su prenotazione, di visitarle. Per ora è sempre aperto solo il sito on-line dove osservare virtualmente il Museo. Ma non basta, non può bastare. Intanto le cose non cambiano, rimangono lì uguali, cristallizzate.
  • Un patrimonio disseminato. Diverse scuole di Urbino, dalla media ‘Volponi’, al liceo scientifico ‘Laurana’, al classico ‘Raffaello’, alla ex scuola magistrale in via Pacioli, posseggono, nei loro corridoi e laboratori, raccolte di strumenti scientifici. Il motivo viene da lontano: nell’800 l’insegnamento della fisica era svolto da docenti che insegnavano sia alle università che alle scuole superiori. Molti strumenti furono quindi trasferiti da un edificio all’altro. E oggi sono dimenticati, lasciati lì, ammucchiati, relitti di altre epoche. Dopo la chiusura del Museo, questo fa ancora più rabbia. “Non si comprende che se si mettesse tutto insieme in un grande museo interattivo, multimediale, moderno della scienza e della tecnica – continua Vetrano –  significherebbe superare i mille pezzi, grazie ai quali si potrebbe avere una fotografia precisa di come era l’attività didattica e di ricerca a Urbino nell’800. Sarebbe formidabile, l’unico caso in Europa”.

Corridoio del Liceo classico 'Raffaello'

Vetrina del Liceo socio-psico pedagogico

E su come organizzarlo, questo museo moderno,  i due professori rispondono all’unisono: “Sarebbe bello fare un cammino nel tempo, per epoche. Gli strumenti dovrebbero essere accompagnati dalla storia di Urbino e della scienza. Poi, con grandi pannelli interattivi touchscreen, si  potrebbero ricostruire virtualmente tutti gli strumenti così che ognuno possa essere smontato, visionato e si possa ricostruire l’esperimento originale. Lo studente riuscirebbe così a comprendere la logica della scienza e recuperare il senso della misura e dell’umanità delle cose che si costruiscono, tutti livelli di comprensione che oggi si stanno perdendo. Il progresso tecnologico è fondamentale ma è disarmante: traffichiamo con scatole amorfe che non dicono nulla. La scienza è pensiero che va recuperato e capito. Qui sta la rilevanza dei musei: la scienza antica che parla attraverso la tecnologia moderna”. Una storia per raccontare un rischio, il rischio di perdere il filo di cosa sia la cultura oggi. Riprendiamolo questo filo, subito.

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