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Morosini: “Le mafie sempre più forti al Centro-Nord”. Bondi: “Parlarne non è più tabù”

di    -    Pubblicato il 11/04/2013                 
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Il magistrato Piergiorgio Morosini

“Una quindicina di anni fa, chi parlava di infiltrazione mafiosa nelle Marche o in Romagna era considerato un allarmista, un soggetto nocivo per l’industria alberghiera e del divertimento. Oggi c’è maggiore consapevolezza, ma c’è ancora da lavorare”. Il magistrato di Cattolica Piergiorgio Morosini, ex segretario nazionale di Magistratura Democratica e gup del processo di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia, fotografa il graduale radicamento delle organizzazioni criminali nella costiera adriatica, un costante processo di consolidamento venuto alla luce grazie a operazioni come “Vulcano” e “Titano”. Quest’ultima ha portato ieri all’arresto, tra gli altri, di basisti autoctoni in Romagna e nelle Marche, accusati di aver fatto affari con la camorra.

Il trampolino di lancio è la Repubblica di San Marino, dove i clan ripuliscono il denaro sporco dietro allo scudo di una minore trasparenza bancaria, ma la fascia che va da Rimini a Pesaro è il terreno ottimale per investire il capitale ripulito. “La copertura sulla provenienza del denaro – spiega Morosini – consente alle organizzazioni di stampo mafioso di consolidare il capitale conseguito illegalmente. Inoltre, le banche sammarinesi hanno rappresentato una sorta di cassaforte dalla quale trarre le risorse per inserirsi nel circuito economico finanziario legale tramite operazioni immobiliari, ma anche acquisendo il controllo di società sportive e, soprattutto sulla riviera, di discoteche e locali notturni”.

Come un tumore, la camorra e gli altri gruppi hanno replicato le proprie cellule nel sistema economico, stravolgendo le regole del gioco: “Più si espandono – osserva Morosini – minore diventa la libertà d’iniziativa degli imprenditori che si comportano correttamente. Le mafie dispongono di talmente tanto denaro e di capacità intimidatoria da poter sbaragliare la concorrenza. In alcuni settori, come quello del divertimento notturno, i gruppi criminali rischiano di diventare monopolisti”.

Ritorsioni e minacce ai titolari di discoteche e club non sono finzione: “Già in passato abbiamo registrato situazioni in cui i titolari ‘indigeni’ venivano prima avvicinati perché avevano problemi di liquidità proponendo loro operazioni di prestito che in verità erano operazioni di usura. Poi, attraverso intimidazioni e danneggiamenti, si costringevano a cedere i locali ai criminali. Questo è un modo violento per inserirsi nel nostro mercato”.

La preda più ambita è però la pubblica amministrazione: “La grande accumulazione di denaro consente di utilizzare fondi neri per operazioni corruttive nei confronti degli amministratori pubblici, per ottenere appalti pubblici o concessioni in termini brevi e magari senza possedere i requisiti. Tutto questo ha una forte incidenza sul nostro sistema economico e sociale, che rischia di perdere i suoi connotati tradizionali di una terra che fondava la propria ricchezza sullo spirito di abnegazione, sul rischio d’impresa in senso nobile”.

Vietato parlare di una mafia in sordina: “A causa della crisi economica – fa notare Morosini – tante piccole e medie imprese hanno dovuto fare i conti con mancanza di liquidità, con un circuito legale del credito che non fa prestiti senza supergaranzie. Molti titolari di attività commerciali finiscono nelle mani di chi presta denaro a tasso d’usura, e spesso si tratta di personaggi legati alle grandi organizzazioni criminali. Chi ha avuto a che fare con certi soggetti ha compreso in tutto e per tutto il volto duro di questi criminali. Operazioni come ‘Vulcano’ hanno messo in luce episodi inquietanti con imprenditori picchiati o minacciati di morte”.

“Per anni le istituzioni sono state miopi – continua il magistrato – adesso stanno fiorendo ovunque osservatori e tavoli per contrastare il fenomeno. Purtroppo, aver sottovalutato per tanto tempo questo pericolo ha fatto sì che i gruppi criminali abbiano potuto rafforzare la propria presenza nel territorio”

Alessandro Bondi

“Gli anticorpi ci sono – racconta Alessandro Bondi, vicesindaco di Cattolica e docente di Diritto Penale dell’Università di Urbino – come amministratore ho collaborato alla nascita di una rete per condividere strumenti, per fare prevenzione ed educazione alla legalità”. Bondi terrà oggi un incontro a Urbino assieme al giornalista di San Marino David Oddone sulle mafie e sulla minaccia per la stampa.

Nel 2005, Bondi e Morosini hanno tenuto una serie di incontri pubblici sulla presenza delle mafie nelle regioni del Centro, scontando una certa ostilità: “Non era bello parlare di criminalità organizzata in Romagna, era un argomento scomodo. Oggi gli occhi sono aperti: la mafia fattura 65 miliardi di euro all’anno e in Emilia Romagna abbiamo registrato 60 sequestri di immobili, mentre 2000 persone pagherebbero il pizzo. Ovviamente, non dico che San Marino sia lo stato brutto e cattivo, ma di sicuro c’è stato un reciproco interesse”.

E le Marche? “Non sono immuni – osserva Bondi – anche se le istituzioni ci sono, la mafia ha preso piede a macchia di leopardo. Bisogna uscire dallo stereotipo del mafioso con l’accento marcato e la coppola: oggi sono personaggi che collaborano con i colletti bianchi e che spesso entrano nelle imprese senza soppiantare il titolare, ma affiancandovisi”.

“Occorre lavorare preparando gli amministratori locali ad affrontare questa realtà – conclude invece Morosini – bisogna educare la società civile diffondendo una cultura antimafia che tenga conto caratteristiche del nostro territorio. La nostra terra non è stata dilaniata dalle bombe mafiose, ma qui si stanno convogliando molti affari di queste organizzazioni. I cittadini devono essere informati capillarmente su questo pericolo”.

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