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Legalità: bene comune contro la mafia. Incontro all’università di Urbino

URBINO – C’erano tutti ieri: studenti, professori, religiosi, forze dell’ordine ma anche persone comuni. In molti hanno voluto essere presenti alla conferenza organizzata dalla Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), tenutasi nell’aula magna della facoltà di economia, per sostenere la lotta contro le mafie.

Alla conferenza, intitolata “Collègati alla legalità”, ospiti e relatori Salvatore Martinez (presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo) e Renato Cortese (capo della squadra mobile di Roma). Presenti all’incontro anche Walter Fava (comandante dei carabinieri di Urbino), Andrea Massimo Zeloni (dirigente del commissariato di polizia di Urbino), Claudio Ovarelli (comandante dei Vigili del fuoco di Urbino) e Francesco Mancini (comandante della Guardia di finanza di Fano).

La moderatrice Flavia Modica (membro della presidenza nazionale della Fuci) ha aperto la conferenza mostrando un video in cui si interrogavano i giovani di Urbino su che cosa fosse la mafia: “La mafia è omertà”, “la mafia è un cancro”, “la mafia è il male più grande della società”, le risposte più sentite dagli studenti. La proiezione è terminata con le immagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Il dibattito vero e proprio è iniziato con l’intervento di Salvatore Martinez: “Bisogna distinguere la legalità dal diritto e dalla giustizia. Sono tre cose diverse. E il sistema mafioso rappresenta l’assenza di tutte e tre. L’unico modo per combatterla è educare i bambini e rieducare gli adulti. Il bene comune è il contrario della mafia, che è un sistema che si fa forza sul deficit culturale della gente”.

Martinez è anche presidente della fondazione Istituto di promozione umana monsignor Fancesco Di Vincenzo che ha dato vita al “polo di eccellenza della solidarietà e della promozione umana Mario e Luigi Sturzo”, un’opera sociale per la redenzione dei carcerati  e delle loro famiglie.  “Gli ex carcerati – ha spiegato Martinez – non hanno tutele sociali. Nessun imprenditore, nonostante le agevolazioni statali e le capacità della singola persona, è disposto ad assumere un ex-carcerato. Per questo le mafie attecchiscono di più. Le mafie pagano bene e subito. A volte si diventa mafiosi per necessità”.

Renato Cortese ha espresso la necessità di uno Stato presente che garantisca la legalità: “Dove c’è carenza di Stato la mafia attecchisce. Lo Stato deve recuperare la fiducia della gente. Quando ho iniziato nel 1992 a Palermo le persone erano disorientate e spaventate perché avevano iniziato a capire la pericolosità di Cosa Nostra. Da allora abbiamo fatto passi da gigante arrestando tanti latitanti tra cui l’introvabile Bernardo Provenzano nel 2006. Quel giorno c’erano centinaia di persone ad applaudire: dal silenzio derivato dalla paura delle stragi alla fiducia nello Stato. Questa per noi è la più grande vittoria”.

Cortese ha parlato dei due fattori fondamentali che alimentano le mafie: il consenso sociale e la cosiddetta zona grigia, ossia quel limbo in cui i professionisti non propriamente mafiosi forniscono il loro aiuto alle organizzazioni. “Il Café de Paris a Roma era intestato a un barbiere di Sinopoli, prestanome della famiglia Alvaro, una delle più attive nella malavita calabrese. Questo vuol dire che le mafie prosperano anche fuori dai confini del loro territorio grazie all’aiuto di questi insospettabili”.

Entrambi gli ospiti si sono soffermati sul rapporto tra la mafia e la religione. “Non uccidere, non rubare e non commettere reati – ha sipegato Martinez – non sono solo moniti legali per i credenti ma sono vere e proprie necessità spirituali. Per questo attraverso la religione si combatte l’illegalità più facilmente”. “Nelle feste di paese quando si porta  il santo – ha raccontato Cortese – è obbligatorio passare sotto casa del boss: questo è inaccettabile. Bisogna isolare questi soggetti e distinguere bene la mafia dalla pratica religiosa”.

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