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La ‘terza pagina’ dei giornali italiani vista dai corrispondenti

URBINO – Poetico  ma fuorviante il titolo della conferenza Che succede al di là delle Alpi. In realtà si è parlato soprattutto del nostro modo di fare giornalismo culturale: si sono confrontati sul tema professionisti italiani e stranieri che per mestiere si occupano dell’Italia.

Ad aprire il dibattito il vicedirettore dell’Internazionale, Alberto Notarbartolo, che subito chiarisce: “Io di mestiere leggo tanti giornali stranieri e seleziono gli articoli che, come lettore e professionista, vorrei trovare sul mio giornale”.

E proprio da lui – che confessa che “se non mi pagassero non leggerei così tanto” – partono le prime riflessioni critiche. “ Come lettore – spiega – mi sento più compreso quando leggo i giornali stranieri; proprio con questo spirito è partita l’idea dell’Internazionale”. Infine puntualizza: “Non voglio pormi nella prospettiva che gli altri sono sempre meglio di noi, ma vorrei fare critiche costruttive come parte di questo settore”. Notabartolo passa al confronto con la stampa spagnola, ritenuta più noiosa della nostra: “In Italia si arriva  alla pagina culturale con la prospettiva di alleggerirsi dopo gli interni, l’economia e gli esteri.”

Conferma Irene Velasco, di El Mundo: “Le vostre pagine sono più dinamiche e aperte al dibattito. Per ragioni economiche il settore culturale perde sempre più spazio. Nel mio giornale la cultura condivide lo spazio con la scienza. El Paìs ha una rubrica che si chiama ‘Arte y Vida‘”. Non può fare a meno di interrompere Lucia Magi di El Paìs: “Noi redattori la chiamiamo ironicamente Arte e Morte, perché sappiamo che se ci sarà assegnata sarà una responsabilità, anche se possiamo affiancare Wagner all’ultima tendenza in fatto di borse. Ricordiamoci che giornalismo culturale è sempre giornalismo: la prima regola rimane farsi leggere e comprendere fino in fondo dai lettori”.

Interviene anche Lee Marshall, di Condè Nast Traveller, per sottolineare quanto sia cambiato lo stesso giornalismo italiano: “Fino agli anni Ottanta c’era solo Roberto Galasso sulle pagine culturali dei vostri più importanti giornali, che erano considerate auliche e inaccessibili. La situazione oggi è molto cambiata e alcune testate ed inserti tengono maggiormente in conto i gusti del pubblico, dando spazio anche a recensioni di videogiochi o serie tv, prima considerati di serie b”.

Ma s’insinua il dubbio che questa generalizzazione non porti necessariamente all’innalzamento della qualità: Zanchini, che interviene dal pubblico, ricorda quanto i giornali anglosassoni abbiano tagliato sul settore culturale. “Il New York Times Book – ricorda – cinque anni fa aveva il doppio delle pagine, mentre alcuni nostri quotidiani medi, in perdita economica continuano a fare un buon lavoro”.

Rimangono tanti spunti di riflessione, ma l’aneddoto conclusivo di Irene Velasco forse li riassume tutti insieme: “La prima volta che sono andata al festival di Venezia mi avevano detto che avrei intervistato un famoso regista.- Eravamo in dieci e solo i più rapidi sono riusciti a fare una domanda a testa. Poi ognuno di noi ha presentato al giornale la sua intervista. Oggi i critici e i giornalisti culturali, per esigenze di tempo e denaro, sono costretti a falsi d’autore”.

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