URBINO – Ha indotto una ricercatrice, la dottoressa Barbara Gervasi, a consegnargli una buona percentuale della sua borsa di ricerca: Giuseppe Piedimonte, presidente del Consiglio di facoltà di Medicina Veterinaria di Messina, è a giudizio al tribunale di Urbino per concussione.
I fatti risalgono al 2005, quando Barbara Gervasi ha ottenuto un assegno di ricerca all’università di Messina, del valore di 70.000 euro. Dopo l’assegnazione della somma, però, si è sentita chiedere da Piedimonte di rendere a lui 42.000 euro, in nero, con la scusa generica di spese che aveva sostenuto.
Lo scambio sarebbe avvenuto, secondo fonti della Procura, in un’auto a Urbania, per questo motivo il processo è di competenza del tribunale di Urbino.
La vicenda, nella quale è coinvolto, oltre a Piedimonte e alla Gervasi, anche il marito di lei, è venuta a conoscenza degli inquirenti nel 2006 nel corso di un procedimento per peculato a Messina. Né la Gervasi né il marito Mirko Paiardini, che si trovano in questo momento in America, hanno quindi sporto denuncia.
Secondo fonti confidenziali della Procura, le prove a favore della Gervasi e del marito sarebbero principalmente due: da una parte le intercettazioni dei contatti telefonici prima della consegna del denaro, realizzate da Gioacchino Genchi ; dall’altra il versamento – effettuato lo stesso giorno in cui avvenne lo scambio del denaro – da parte di Giuseppe Piedimonte di 20.000 euro nel conto personale e della moglie, con banconote dello stesso taglio di quelle che i due coniugi sostengono di aver utilizzato per il pagamento.
Nell’udienza di oggi il Pubblico ministero che sta seguendo il caso, Irene Lilliu, ha richiesto ai giudici il cambio del capo di imputazione: da concussione (estorsione commessa da un pubblico ufficiale) a concussione per induzione. La legge n.190 del 6 novembre 2012 prevede infatti uno sdoppiamento del reato di concussione, che può essere per costrizione (la forma più grave) o per induzione. Il Pm ha quindi chiesto che il reato del quale deve rispondere Piedimonte sia concussione per induzione.
La legge del 2012 prevede che nel caso della concussione per induzione debba rispondere anche la parte offesa, perché consapevole del tornaconto personale che deriverebbe dal cedimento al ricatto da parte del pubblico ufficiale. Ciò non varrebbe però in questo caso per la Gervasi e il marito, dal momento che i fatti sono avvenuti prima dell’emanazione della legge.
Il procedimento è stato rinviato al 31 maggio, quando dovrà quasi ripartire da zero. Il collegio dei giudici infatti è cambiato e la difesa ha richiesto di riascoltare i teste.