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Rinascimento e rock: nel romanzo di Alessio Torino i due volti della città ducale

di    -    Pubblicato il 5/12/2013                 
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COPERTINAURBINO – Battista Sforza e Federico da Montefeltro si guardano l’un l’altro sempre di profilo. Ma in versione pop, su uno sfondo verde acqua e con due righe in nero e arancio che li sovrastano: Urbino, Nebraska. Alessio Torino.

E il senso di questo romanzo particolare è tutto racchiuso nella sua copertina: raccontare Urbino al di fuori della retorica e della tradizione.

Quattro storie autonome che si sviluppano attorno a un’unica vicenda: due ragazze vengono trovate morte per overdose nella Fortezza Albornoz. Le vite dei personaggi protagonisti dei quattro capitoli che compongono il romanzo toccano da vicino o sfiorano questo nucleo narrativo per sfilacciarsi poi in  racconti diversi: c’è la storia di Zena la studentessa o di Nicola, che dalla musica passa al seminario.

Seduti al caffè del Mercatale, nel piazzale in cui ogni urbinate passa almeno una volta al giorno, l’autore del libro, da poco pubblicato dalla Minimum Fax, ci racconta dei personaggi usciti dalla sua penna.

Qual è stata l’idea all’origine del romanzo?
Inizialmente doveva essere una raccolta di racconti di ambientazione urbinate: in comune avevano solo il fatto di essere sviluppati nella città di Urbino. Poi scrivendone uno mi è balenato nella mente il desiderio di collegarli tutti. I personaggi si sono in qualche modo avvicinati fra di loro e quindi il filo conduttore non è stato più soltanto la città di Urbino ma anche la storia di Ester e Bianca, le due ragazze trovate morte in Fortezza, storia che ritorna in tutti e quattro i capitoli che compongono il libro.

Perché hai scritto questo libro? Come omaggio alla tua città?
Mi è venuto naturale. Ho dovuto scrivere prima altri due libri per poter parlare della mia città. Credo non a caso. Raccontare ciò che ti è vicino è una delle cose più difficili. Già a partire dal fatto di vederlo, di avere quel minimo di distacco necessario per poterne parlare. Avere scritto due libri è stata una strada necessaria per arrivare a questo. Ma non è stato un pensiero a priori, è stato un percorso spontaneo.

La Urbino in cui si dipanano le vicende dei protagonisti è una città più reale che letteraria. Come mai questa scelta?
La mente inevitabilmente tenderebbe a cadere nella tradizione, nella retorica, nella letteratura, in quello che è stato già scritto di Urbino. A me interessava dare uno spaccato non solo della tradizione – perché comunque la bellezza dei torricini e tutto il resto è presente – ma anche raccontare vite contemporanee e quindi i bar, la musica, il rock. L’identità di questa città è talmente forte che si rischia di andare sempre lì anche con le parole. Invece la vita è nelle azioni, nei gesti di tutti i giorni, nelle cose comuni e quotidiane. Ho provato a umanizzare la città, raccontando storie contemporanee, che vivono ora nel presente. Ci sono i torricini, ma c’è anche il Gbar.

ALESSIO TORINOIl rapporto dei personaggi con Urbino è complesso: sembra sempre stiano lì lì per andarsene ma che nello stesso tempo vogliano restare.
Il rapporto di questi personaggi con la città è diverso. C’è chi se ne vorrebbe andare via per realizzarsi, c’è chi invece deve tornare come Mattia Volponi per risolvere le sue questioni familiari, c’è chi come Zena si sente divisa tra una natura di studentessa fuori sede, perché convive con la vita che fanno le altre ai collegi e ai bar, e una natura da urbinate che a Natale e Pasqua si ritrova da sola con la città deserta. Ci sono due aspetti differenti nella stessa realtà: una città metropolitana con persone e luoghi diversi, con lingue diverse come il greco e una città che ha l’aspetto di un paese.

Ci sono immagini o simboli ricorrenti all’interno del libro?
I simboli sono difficili da sondare anche per chi li crea. A me è piaciuto ritornare sull’immagine delle mura di Urbino, che viste dall’alto, ricordano la forma di un fegato. Ho un po’ giocato con questa immagine, costruendo due visioni: da una parte una città che filtra il mondo intero e ne racchiude in sé il significato. Una città che diventa da sola il mondo intero. Dall’altra parte invece un fegato nel vero senso della parola per i fiumi d’alcol che vengono consumati: un aspetto più dolente. Da una parte c’è questo aspetto cristallino, queste mura, il fegato che filtra; dall’altra un’immagine più compromessa. La città non si risolve in nessuna di queste due parti ma nel loro equilibrio.

In cosa differiscono la Urbino letteraria e quella reale?
Le due cose per me sono completamente distinte. Il tessuto civico della città si è andato sfaldando nel corso degli anni. Questo lo dico da urbinate con grande dispiacere. Nel giorno della vigilia di Natale in qualsiasi piccola cittadina si può incontrare gente che si scambia gli auguri, qui a Urbino invece si assiste a una città vuota, quasi una specie di soprammobile che ha perso il suo significato quando non ci sono gli studenti. Peccato perché una città dovrebbe avere un senso sempre: gli studenti la rendono unica però deve esserci un equilibrio tra la popolazione studentesca e i residenti.

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