URBINO – Niente eroi né eroismi, solo persone comuni. Niente grandi autori, ma il lavoro certosino di una maestra in pensione: “La valle dei Giusti e dei salvati” è un libro nato per caso, quando Anna Pia Ceccucci, classe 1943, ha sentito che le storie sono diventate più grandi dei singoli nomi.
Era partita da uno “Yad Vashem”, voleva una stele con targhe e nomi per ricordare gli ebrei. “Quelli che si erano inseriti”, precisa scandendo l’autrice. Ma dalle lettere incise su un pilastro che doveva contenerli tutti è riuscita a raccontare di più. Dei Fraboni e dei Vagni, delle famiglie di Pergola che avevano nascosto i Camerini, gli Anav, i Tagliacozzo. Che erano riuscite a salvare gli ebrei dallo sterminio. Ci sono voluti quattro anni di interviste, di storie, di ricordi per tirare il filo e riportare alla luce un tesoro. Le vicende degli ebrei di Pergola, il piccolo centro al confine tra Marche e Umbria, si dipanano e raccontano di coloro che si salvarono grazie all’aiuto degli abitanti. Un luogo in cui la comunità ebrea c’è sempre stata e ha contribuito a creare quella zona di scambio che è ed è stata per molto tempo.
Qui la seconda guerra mondiale portò anche gli internati civili dei campi. “Ospiti”, corregge la Ceccucci, perché il termine è probabilmente troppo brutale. Dalla Calabria passano a Carpegna e arrivano a Pergola, dove ricevono la massima assistenza possibile. “Parliamo di lavoro – dice – davano loro lavoro per aiutarli a sopravvivere.”. Muratori e farmacisti, alcuni avevano chiesto di lavorare anche in raffineria. Ma in realtà venivano chiamati dove c’era bisogno, perfino per abbattere legna: “Ci sono state persone che hanno addirittura allungato i tempi di lavorazione per aiutarli”.
Il 30 novembre 1943 il regime nazi-fascista stabilisce l’ordine d’arresto per gli ebrei. Dagli uffici postali della piccola città si rifiutano di passare l’ordine ai carabinieri. Prendono tempo, li avvertono, li fanno scappare. Molti di loro rimarranno nascosti lì, altri nell’anconetano, dove a nasconderli saranno alcuni sacerdoti. Sarà compito loro metterli in luoghi sicuri, spostarli da una casa all’altra al minimo segnale di rischio.
Pergola diventa così il luogo in cui si uniscono tante persone che proteggono, indifferentemente da religione e credo politico. “Lo fanno esclusivamente per umanità, sono di ogni ceto sociale”, spiega la maestra. Sacerdoti, suore, impiegati, insegnanti, artigiani, agricoltori. Tutti. Le loro storie si intrecciano con quelli che vengono salvati. “Il contrario di quello che succede adesso – continua – allora c’era rispetto. E unità. In quel momento era necessario proteggere”.
Ci sono addirittura famiglie di giusti e salvati la cui amicizia dura tuttora. “Albert Alcalay” – racconta riferendosi all’artista astrattista di Boston internato durante la guerra – nel suo libro di memorie scrisse Pergola il paese della felicità. Qui aveva trovato solidarietà e affetto, una cosa impensabile nell’orrore della guerra”.
La storia di Pergola e dei suoi giusti è riuscita a stupire i pergolesi stessi e quei figli dei salvati all’oscuro di tutto. Nessuno si era mai vantato di quello che aveva fatto. Era stato naturale. E, dall’averne scritto, Anna Pia Ceccucci non vuole alcun ritorno economico. “Niente risarcimenti – dice – il ricavato deve andare interamente a beneficio del cimitero ebraico di Pergola”.
Sì, perché il prossimo passo dell’autrice, che è già iniziato ma che sottostà alle regole del tempo burocratico, è quello di riportare il luogo in cui riposano gli ebrei pergolesi da proprietà privata a luogo “di dignità, perché è un luogo sacro”. Senza nessuna polemica. E infine, di portare la storia nelle scuole. Il 1 febbraio parlerà proprio a Pergola, di fronte alle quarte e quinte del liceo scientifico Torelli. Per raccontare, per spiegare. “In passato, durante il mio lavoro – dice chiudendo – mi hanno rimproverata di usare un linguaggio troppo crudo. È chiaro che bisogna usare il giusto linguaggio per descrivere le cose, ma i mostri e l’orrore che abbiamo avuto li devono conoscere fin da piccoli”.