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“Lubàgo”, la poesia viscerale di Mascioli racconta Urbino e i suoi paesaggi

di    -    Pubblicato il 27/01/2014                 
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L'autore Davide Mascioli

L’autore Davide Mascioli

URBINO – “Cosa è Lubàgo? Lubàgo è la mia vita. Uno di quei terreni dove proprio non c’è nulla. Una natura desolata, senza amore. Aspra come è la vita in genere. Ma non per questo meno bella”.

Davide Mascioli, trentaseienne urbinate, racconta così la sua raccolta di poesie “Lubàgo”, edita da Raffaelli Editore. Ma strappargli definizioni o linee programmatiche è quasi impossibile. “Odio le etichette e le didascalie. Chi cerca un significato in tutto sbaglia”.

Scrive poesia perché, secondo lui, è comunicazione in purezza, espressione di sentimenti senza altri fini. “Esistono degli alfabeti – spiega Mascioli – attraverso i quali il mondo viene ordinato in maniera gerarchica. Molti servono per svolgere un servizio, c’è gente costretta a scrivere per fare soldi. Il mio alfabeto non è di questi. Io scrivo non solo per comunicare ma per esprimere”.

Non descrivere, quindi, ma ricreare. Come un demiurgo, la natura e il paesaggio si plasmano nei suoi versi sulla base dei sentimenti che suscitano nel poeta. Urbino c’è, atemporale e letteraria, ma senza che lo scrittore ne avesse intenzione.

“Urbino quasi non la sento – racconta Mascioli – Ci vivo, ci sono cresciuto. È una cosa con cui faccio i conti tutti i giorni. La amo e la odio come tutti gli urbinati. Non ho neanche pensato a che ruolo avesse nella mia poesia. È uscita fuori nella prefazione e sono rimasto quattro giorni a pensarci. Non mi ero accorto di scrivere delle colline del Montefeltro. Sto dalla mattina alla sera qui e se faccio passeggiate, le faccio proprio su quelle colline”.

I mattoncini, il Montefeltro, il campetto di via Fontanoni, il Carpegna innervano tutta la raccolta. Sono paesaggi viscerali, concreti, vissuti. Nella sua poesia non c’è alcuna ricostruzione mitizzata dei luoghi del Duca né traccia di una ingombrante tradizione letteraria.

“Se sono intimorito da Volponi e Pascoli? No – afferma il poeta – ogni persona è inarrivabile. Io comunico con il futuro, non con il passato. Quando da piccolo leggevo una poesia, avevo il desiderio di dire grazie a chi l’aveva scritta. Perché mi sentivo meno solo. Sarei felice di riuscire a suscitare negli altri un’emozione simile”.

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