URBINO – Incuria, degrado, trascuratezza. In qualunque modo vogliate chiamare l’abbandono, a Urbino non mancano le testimonianze di come l’opera dell’uomo, nuova o antica che sia, possa finire nel dimenticatoio per decenni, lasciando una cicatrice sul volto della città. Un fenomeno incarnato, ad esempio, dalla Fornace Volponi, patrimonio di architettura industriale e legata a doppio filo con la storia di Urbino. All’epoca della rivoluzione industriale, la fornace era uno dei maggiori produttori di laterizi della provincia: passata a inizio Novecento nelle mani della famiglia Volponi (la stessa del poeta e senatore Paolo), la fabbrica ha chiuso i battenti nel 1971, trasformandosi con il passare degli anni nel rudere attuale.
Diversa la storia della Data: prima antiche scuderie dei Montefeltro, poi restauro incompiuto dell’architetto Giancarlo De Carlo. Al giorno d’oggi, la Data ospita periodicamente esposizioni artistiche, ma buona parte dell’edificio è rimasto allo stato di cantiere, accumulando col tempo rifiuti e ruggine.
Il centro di Urbino è un dedalo di vicoli tutti da scoprire: in uno di questi, via San Domenico, si trovano due gioielli nascosti. Il primo è l‘area archeologica del teatro romano, coperta da una tettoia di lamiera da decenni, al punto che alcuni urbinati di mezza età si ricordano che le lamiere erano lì già durante la loro infanzia. Il secondo è l’Oratorio di San Gaetano, al cui interno si trova un affresco di Ottaviano Nelli risalente al secondo decennio del Quindicesimo secolo: un’opera protetta da sbarre.
A volte capita che l’abbandono coabiti affianco a luoghi vivi: è il caso di Palazzo Veterani, sede della Facoltà di Lettere (ora Dipartimento Discum): parte dell’edificio è inagibile da diversi anni e le finestre integre dell’ala tutt’ora utilizzata sono affiancate da quelle frantumate dell’ala dimenticata.
A poca distanza, in via Santa Chiara, c’è un palazzo residenziale abbandonato da tempo: si trova tra la Fondazione Bo, gioiello di architettura, e l’ex tribunale, altro rudere adesso in fase di recupero. L’edificio fa parte di quel versante di Urbino che per anni ha conosciuto solo l’oblio: l’ex convento di Santa Chiara, fortunatamente, è stato restaurato, mentre quello di San Girolamo, lì a fianco, attende ancora la prima tranche di lavori.
Ma il rischio di abbandono lo corrono anche i numerosi negozi chiusi in centro negli ultimi mesi, o i bagni pubblici vicino alla statua di Raffaello, non eleganti ma necessari, o il distributore di benzina del Sasso, chiuso sei anni fa e rimasto ancora lì in attesa della bonifica del sottosuolo.
Proprio il Sasso è la piccola capitale urbinate dell’incompleto. In cima alla collina si trova un’area artigianale che sarebbe potuta decollare, se non fosse stata costruita nel pieno della crisi economica. La struttura portante è ultimata, ma solo due attività hanno aperto i battenti: il resto del capannone è solo uno scheletro.
Curiosa la sorte dell’ex Megas, un cantiere che non è mai stato ultimato. Nel 2002, la Megas (azienda pubblica per la distribuzione del gas) accese un mutuo per la nuova sede al Sasso. Costo: 4 milioni e 441.000 euro. I lavori vennero però fermati da una serie di pasticci tecnici e bisticci politici che, accompagnati all’ingresso di Megas in Marche Multiservizi e di quest’ultima nel consorzio Hera, hanno portato alla chiusura del cantiere nel 2007. Da allora, solo cemento e ruggine.