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A 40 anni dal “furto del secolo”, un libro ne ricostruisce la storia

di e    -    Pubblicato il 11/02/2015                 
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Il ritrovamento delle opere

Il ritrovamento delle opere

URBINO – Locarno, Albergo Muralto, camera 116. Sono trascorsi 40 anni da quando nell’hotel della città svizzera furono ritrovate tre delle opere più importanti dell’arte rinascimentale: La muta di Raffaello, La Madonna di Senigallia e La flagellazione di Piero della Francesca, rubate nella notte fra il 5 e il 6 febbraio del 1975 dal Palazzo Ducale di Urbino.

Oggi Albergo Muralto, camera 116, pubblicato da Controvento Editrice, è anche il titolo del libro che ripercorre la vicenda. Scritto dal giornalista Vincenzo Oliveri,  è una ricostruzione romanzata delle indagini, condotte dall’allora neonato Dipartimento dei Carabinieri per la tutela del patrimonio artistico di Roma e dai Carabinieri di Urbino, che portarono alla soluzione di uno dei più clamorosi colpi realizzati in Italia.

A favorire il “furto del secolo” contribuì, come racconta Oliveri, un ritardo nell’installazione delle telecamere di sicurezza che permise ai ladri di impadronirsi indisturbati dei tre inestimabili dipinti. Un bottino talmente prezioso che, scoperto il furto, l’Istituto centrale del restauro lanciò loro un appello perché avessero cura delle tele: “Scongiuriamo i ladri di fare attenzione – scriveva il Resto del Carlino del 7 febbraio 1975 – evitando, per quanto possibile, di toccare la preziosa tavola della Flagellazione. Bisogna tenere i dipinti lontani da fonti di calore e stare attenti perché trasportare un quadro in quelle condizioni sarebbe come sottoporre a uno sforzo fisico un uomo senza un rene”.

I malviventi cercarono poi, maldestramente, di ottenere un riscatto miliardario, mettendosi in contatto con l’Accademia di belle arti e il Comune. “Uno dei ladri chiamò due mattine di seguito – ricorda oggi Luigi Balduini, all’epoca centralista dell’Accademia – le telefonate mi spaventarono, erano molto minacciose. Il tono dell’uomo era rude e perentorio: si capiva che non era un bluff e così diedi subito l’allarme”.

“La svolta arrivò grazie a un’intuizione del procuratore Gaetano Savoldelli Pedrocchi – racconta il colonnello Luigi Cortellessa, vicecomandante dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale – che chiese a Pietro Balena, un appassionato d’arte, di spacciarsi per un potenziale acquirente e accordarsi su una cifra pari a 100 milioni di lire”. Così il 22 marzo del 1976, dalla camera 116 dell’albergo Muralto a Locarno i tre dipinti fecero ritorno a Palazzo Ducale.

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