URBINO – Una vita dedicata al cinema, portando a Urbino, per quasi cinquant’anni, il meglio del cinema italiano e mondiale. Astorre Del Tutto, meglio conosciuto come Dino “del cinema”, è morto lo scorso 25 gennaio a 93 anni. Non si è mai ripreso dall’ictus che lo aveva colpito lo scorso luglio.
Dino è stato, dal 1950 al 1980, la vera e propria anima del cinema Ducale. “Dino non era un semplice dipendente – dice Costantina Di Tizio, moglie del proprietario del Ducale Paolo Tomassini, che lavora nel cinema dal ’71 – era lui che mandava avanti il cinema. Arrivava la mattina presto, nonostante non ci fossero orari fissi, e tornava a casa a mezzanotte. E pure a casa il Ducale era il suo chiodo fisso, se sapeva che al cinema c’era un problema lasciava tutto e tornava per risolverlo. Il Ducale era tutta la sua vita”.
Tenendo fede al proprio cognome, si occupava veramente di tutto all’interno del cinema: andava a prendere le pellicole ad Ancona e sistemava la caldaia, redigeva la programmazione e curava il giardino, strappava i biglietti all’ingresso e faceva da operatore. “Era una persona capace e versatile – continua Costantina – non c’era nulla che non sapesse fare, e comunque anche nelle poche cose in cui non riusciva sapeva a chi rivolgersi perché fossero fatte al meglio”.
La lunga storia d’amore tra Dino e il cinema nasce quando lui ha 14 anni, nel 1936. A fare da cupido fu Antonio Tomassini, padre di Paolo e futuro fondatore del Ducale, per il quale Dino lavorava già da qualche anno come meccanico per macchine trebbiatrici. Tomassini ne apprezzava molto la versatilità e l’aveva preso in simpatia, per cui quando aprì la Sala Feltria, il primo cinema di Urbino, decise di portarlo con sé. Fu proprio Tomassini a insegnargli tutti i trucchi del mestiere. “Dino era l’ombra di Antonio, qualunque cosa lui facesse lo seguiva e imparava” racconta Costantina.
Si arriva quindi al 1950, quando Tomassini, insieme al socio Dante Agostini, trasferisce la Sala Feltria in via Budassi, inaugurando il cinema Ducale. E ovviamente il fido Dino lo segue, arrivando nel giro di qualche anno, in seguito alla morte di Tomassini, a prendere in mano le redini del cinema. “Agostini era un bravo uomo di affari, ma di cinema ne sapeva poco – dice Costantina – invece Dino aveva occhio, capiva subito se un film avrebbe fatto bene al botteghino o no. Per questo era lui che teneva i contatti con le case cinematografiche, andando tutti i mercoledì ad Ancona per scegliere i film da mettere in programmazione. Con lui c’era anche il mio futuro marito Paolo, ma di fatto era solo Dino che trattava. Era una contrattazione dura ma Dino sapeva valutare bene il valore di una pellicola, perciò strappava sempre il giusto prezzo”.
Con il suo carattere allegro ed espansivo, Dino era inoltre quello che meglio teneva i rapporti col pubblico. Come ricorda Costantina “era molto socievole, gli piaceva stare in mezzo alla gente. Infatti era lui che, dopo aver sistemato le pellicole per le proiezioni, andava a strappare i biglietti all’ingresso, mentre Agostini, più burbero, stava alla cassa. In questo modo lo conoscevano tutti, era diventato Dino del cinema”.
“Gli piaceva molto il rapporto col pubblico, andava d’accordo con tutti perché era attivo e cordiale – dice di lui la figlia Loretta Del Tutto, chiamata così in onore dell’attrice americana Loretta Young – ma quando tornava a casa cambiava completamente, era molto taciturno e se gli chiedevi del cinema chiudeva subito il discorso. Al cinema era molto più sereno, era la sua vita”.
E Dino col ci aveva preso davvero gusto: a volte, come da lui stesso dichiarato a Il Ducato qualche anno fa, rifletteva anche di notte sui film da proiettare, e per documentarsi meglio ogni anno andava a trovare i parenti ad Albany, negli Stati Uniti, per vedere le pellicole di Hollywood prima ancora che arrivassero in Italia. “Dino non sapeva l’inglese, ma riusciva lo stesso a capire se si trattava o meno di un buon film e se era adatto per il mercato italiano – ricorda Costantina – per esempio, una volta disse di aver visto Brubaker di Robert Redford, che in America aveva sbancato il botteghino. Lui però era convinto che da noi non avrebbe avuto lo stesso travolgente successo, perché le tematiche trattate erano lontane dai gusti italiani dell’epoca. E infatti andò così”.
All’epoca, il cinema Ducale era un vero e proprio punto di riferimento per Urbino: essendo stato ricostruito subito dopo la guerra, era considerato il simbolo della rinascita della città. Il fatto di averlo visto nascere e svilupparsi riempiva Dino di orgoglio e responsabilità, anche se ogni tanto gli dava qualche dispiacere. “Quando le cose non andavano come voleva lui ci rimaneva molto male – racconta Costantina – come quella volta in cui vennero a girare a Urbino il film Due selvaggi a corte. Con la troupe era nato un rapporto fraterno, tutti i giorni passavano dal Ducale, ma i produttori decisero di darlo in proiezione alla concorrenza, il Supercinema. Dino si arrabbiò molto per questo, chiamò i produttori e successe un macello”.
Un vero deus ex machina del Ducale, tanto che quando nel 1980 andò in pensione Paolo e Costantina era molto preoccupati. “Per noi fu uno shock – spiega Costantina – era lui che mandava avanti la baracca, grazie alla sua esperienza sapeva molte più cose di noi e il fatto di dover prendere il suo posto ci metteva in apprensione. Per fortuna negli ultimi tempi aveva iniziato a coinvolgerci nella scelta dei film, in modo tale che fossimo preparati quando sarebbe toccato a noi. Se Antonio fu il suo mentore, lui lo fu per me e Paolo. Continuò a venire a darci una mano per molti anni anche dopo la pensione, ma col tempo per lui era sempre più difficile e pian piano smise”.