FANO – La televisione durante gli anni ’50 ha insegnato l’italiano agli italiani, ha unificato il linguaggio di un popolo diviso. Dopo 60 anni ha ancora questo ruolo educativo e culturale? Nella terza giornata del Festival del giornalismo culturale si è parlato anche di questo.
La televisione mantiene un ruolo predominante nella dieta informativa italiana. Questo mezzo, proprio perché è il più fruito, ha il compito d’interrogarsi e di riflettere sul suo modo di fare cultura. Perché la cultura c’è, sul piccolo schermo, ma “in trasmissioni nascoste, curate da pochi canali di nicchia”, ha spiegato Piero Dorfles.
Molto simile l’opinione di Saverio Simonelli, di TV2000, secondo il quale i programmi di storia, arte, letteratura vengono marginalizzati in fasce orarie e in pochi canali specializzati. “Meglio così, visti gli effetti che ha la cultura quando entra nei programmi generalisti: si danno un tono culturale quando non c’entra nulla. La preoccupazione è quella di mostrarsi all’altezza”. Allora, la televisione promuove la cultura? “Come diceva Groucho Marx: “La televisione fa ottimo servizio alla cultura, perché ogni volta che qualcuno la accende io vado nell’altra stanza a leggere un libro”.
Nei canali Rai i telegiornali sono i momenti in cui si registrano il maggior numero di ascolti. Ma le informazioni che riceviamo sono notizie secche, dirette e non approfondite. Karima Moual, giornalista marocchina in Italia dal 1992, ha fatto l’esempio di come i tg parlino dell’immigrazione. “Si parla più dell’altro che con l’altro, c’è stata una progressiva depersonalizzazione. All’inizio erano uomini donne e bambini, poi persone e adesso sono barconi. Sappiamo che queste persone scappano dai loro Paesi di origine, ma chi ci ha mai mostrato le immagini dei Paesi da cui fuggono, quale giornalista ha raccontato le storie degli immigrati che intraprendono il viaggio della speranza, perché vedono l’Italia come un Paese di passaggio e non di destinazione?” Sono queste alcune delle questioni che Moual ha sollevato durante la tavola rotonda.
Seguendo quest’idea di giornalismo, Vittorio di Trapani ha aggiunto che “la televisione deve portarci dove non sappiamo, mostrarci le cose che non avremmo occasione di conoscere altrimenti”. Il cambiamento deve partire dai giovani giornalisti e ha proposto agli studenti delle scuole di giornalismo di analizzare, da qui al prossimo anno, la missione culturale dei programmi visti in tv.
La televisione ha un ampio pubblico, ma la cultura è poco presente e le trasmissioni si danno un tono alto senza approfondire i temi veramente culturali. Axel Fiacco ha portato l’esempio di una trasmissione fatta in occasione della Giornata del libro su Rai3: “Un fallimento. Se prima di quella trasmissione leggevano in pochi, adesso quelle persone che hanno visto la trasmissione non entreranno più nemmeno in una libreria”.
Alla conclusione della tavola rotonda tutti si sono trovati d’accordo con la giornalista di Radio Rai, Anna Longo: “I programmi culturali sono quelli fatti bene”.