URBINO – Stefano Bartezzaghi ha scritto un libro sulla metropolitana di Milano, finendo col ribaltare il luogo comune – col gusto del capovolgimento tipico degli enigmisti – sulla metro come luogo di alienazione e isolamento. Diviso per 27 capitoli titolati coi nomi di altrettante stazioni della metro milanese (con sorpresa per i due capitoli conclusivi), il libro, presentato a Urbino durante il festival del giornalismo culturale, non ha una trama nel senso tradizionale del termine, ma procede per ricordi, accostamenti imprevedibili ed escursioni linguistiche.
Ha una cadenza che si afferra soltanto a lettura inoltrata e che è impressa dall’autore e dal suo amore per le deviazioni dal sentiero principale, in apparente contraddizione con la fissità dei percorsi metropolitani. L’angolo visuale è quello dell’autore-narratore, che sale sulle carrozze e si sposta in giro per Milano, spesso attivando la macchina dei ricordi personali. La divagazione è la cifra dello stile di Bartezzaghi, il paziente ricamo che unisce i fili di argomenti distanti . Enigmista per vocazione e retaggio, Bartezzaghi ama i giochi, soprattutto quelli linguistici. Per il sociologo Roger Caillois nei giochi si combinano quattro impulsi che tutti gli esseri umani provano: la sfida al caso, l’agonismo, la simulazione e la vertigine o disorientamento. Così il narratore si muove per perdersi e poi ritornare in superficie e trovarsi a guardare le cose con uno sguardo differente.
E’ un libro che pur procedendo sulle rotte immutabili della metro riesce a essere continuamente spiazzante. Ne è un esempio il quartetto di pagine che va dalla 105 alla 109, intervallate da tre paragrafi. Siamo saliti sulla linea verde M2 a pagina 102, tra le fermate Udine e Crescenzago e ci si para davanti i narratore trasfigurato, ringiovanito di trent’anni.
Lo seguiamo, sul finire degli anni Ottanta, mentre va alla Rizzoli per consegnare un testo su commissione su un libro di Francis Ponge che ha apprezzato e teme di non sapere recensire. Procedendo sulla M2 e nel racconto Bartezzaghi isola e analizza un parola, occasione per avviare un’altra divagazione nata per gemmazione dalla precedente. Il capolinea del capitolo è un riferimento a La linea e il circolo del filosofo Enzo Melandri, ciclopico studio sull’analogia e sulla sua centralità nel pensiero umano.
Questo meccanismo narrativo, il procedere per analogie o per accostamenti dotti e inusuali, è in qualche modo la costante del viaggio. Ci si sposta al di sopra e al di sotto la linea di terra che divide i cunicoli della metro e la città di sopra, avanti e indietro nel tempo e nei ricordi dell’autore, o in circolo e a zig zag per passeggiate filosofiche e linguistiche sui terreni più disparati. Seguendo il procedere ondivago di queste divagazioni s’incontreranno personaggi d’ogni tipo, dall’ammirato scrittore Gianni Celati, alle persone della vita di Bartezzaghi, che hanno viaggiato davvero con lui o sono state ‘convocate’ per l’occasione sulle pagine del libro. Qua e là, da buon enigmista, lo scrittore piazza degli indovinelli per impegnare i lettori curiosi. Dopo qualche pagina darà anche le soluzioni. L’indovinello d’altronde esiste solo per essere svelato, altrimenti si trasformerebbe in mistero finendo per perdere l’aura di sfida che lo rende attraente.
In parallelo scorre la sottotrama della metronovela “Chuck & Dem”, espediente letterario usato per avviare la narrazione. Bartezzaghi, assiduo frequentatore del sottosuolo metropolitano, è esasperato dalla presenza dei teleschermi nelle stazioni, col loro cicaleccio di news e pubblicità senza interruzione. Avveduto, sa che “una volta trovato un modo nuovo per far soldi neppure Voltaire in persona, divenuto sindaco, potrebbe far molto per smontarlo”. Bisogna ricorrere allora a un dio più potente: lo storytelling. Una fiction pensata apposta per il palinsesto della metropolitana, da seguire per brevissimi minuti, e che si ripete con cadenza regolare alle fermate.
Calvino, Eco, il gruppo dell’OuLiPo i numi tutelari più evidenti. Bartezzaghi non si limita però alla scrittura derivativa e scrive un libro che può piacere a chiunque ami la letteratura di viaggio, le autobiografie sui generis, le opere di non immediata catalogazione. Einaudi, non a caso, lo inserisce nella sua collana “Frontiere” che pubblica testi al confine tra saggistica e narrativa. M, a modo suo, quel confine lo attraversa più volte. Dal sottosuolo.