URBINO – Dal Duomo a Porta Venezia, passando per Loreto e Moscova, la linea rossa, verde, gialla o lilla. Il viaggio nella metropolitana milanese di Stefano Bartezzaghi si è concluso con la pubblicazione del suo libro, intitolato M. Una metronovela. L’ultima fermata, però, è stata a Urbino, dove la metro non c’è. E, dopo la chiusura della ferrovia nel 1987, nemmeno una stazione. “Qui a Urbino però avete il portico, o la piazza, è lì che ci si rende conto di non essere in un eremo” ha commentato l’autore al Ducato.
Come dargli torto: l’evento che ha aperto la terza edizione del Festival del giornalismo culturale – con la partecipazione dei due direttori della rassegna, Lella Mazzoli e Giorgio Zanchini – si è tenuto nel cortile rinascimentale del collegio Raffaello, a due passi dal palazzo ducale e dalle principali attività commerciali. Tra salite impervie e vicoli stretti a Urbino la vita si svolge solo in superficie. Per descrivere le mille sfaccettature di una grande città, invece, l’autore ha usato la metafora della metropolitana, il luogo che secondo lui meglio rappresenta “l’ordinamento, la teoria di una città”. La sua anima, insomma.
“La metro è il luogo in cui ci rendiamo conto di essere concittadini, di appartenere a uno stesso contesto” spiega lo scrittore. Da qui l’idea di inventare una metronovela, vista come lo storytelling da usare come antidoto contro la pubblicità, presente ormai in tutte le stazioni metro, e il rumore “assordante” che limita i rapporti interpersonali. Bartezzaghi la considera una fiction, in cui ognuno dei ventisette capitoli – a sua volta diviso in paragrafi – riporta incontri ed esperienze frammentate, proprio come quelle che scandiscono quotidianamente la nostra vita.
“La Milano di sopra si lascia semplificare da quella di sotto, che è ordinata, ergonomica, quasi priva di dispersione… Per perdersi davvero basta salire le rampe e tornare al livello del suolo, sulla terra e non più nella terra. I veri pasticci si combinano lassù”. Viaggiare in metro per lo scrittore non significa quindi sprofondare nei meandri dell’inconscio, ma ritrovarsi, raccogliersi, dare finalmente alla città una sintesi, un ordine possibile.
“Eppure anche questo è un modo per scoprire Milano”, prosegue Bartezzaghi. Che nel suo libro, tra sopra e sotto, partenze e arrivi, ricordi e occasioni perse, invita le persone a vivere la metro e la città col piacere di perdersi nella folla. Con leggerezza.