di OLGA BIBUS
Serena ama giocare con le corde e la frusta. Prova piacere a dominare il suo schiavo, a umiliarlo, a comandarlo, ad abbassarlo allo stato di un oggetto, ad annientarlo. Ha solo 20 anni, ma sa quello che fa. Lei stessa, per anni, ha vestito i panni della sottomessa. Cercava nel suo padrone la sofferenza fisica, ora la infligge ad altri. Per Serena il piacere passa inevitabilmente attraverso il dolore. Anche Silvia prova appagamento nel supplizio. Le piace essere frustata, sentire il nylon della sferza lacerare la pelle. È capace di sopportare centinaia di colpi. I solchi sulle natiche e sulle cosce li considera quasi dei cimeli. Dopo una sessione, per giorni si accarezza con soddisfazione le ferite.
Mark, invece, più che ricevere dolore, ama provocarlo. Il mondo del sadomaso l’ha affascinato sin dall’adolescenza, ma per metterci piede ha aspettato i 30 anni. Paura dei pregiudizi, di perdere il lavoro, dell’emarginazione. Come lui, pure Sam prova eccitazione dal dominio sul corpo della sua schiava. Durante i giochi la lega, la benda, la immobilizza, ci fa l’amore. Il tutto di nascosto dalla fidanzata che nel frattempo lo crede al lavoro. Anche Ross è un dominatore, ma in una veste atipica: si fa camminare addosso dalle donne. Le ritiene sue sottomesse. Benché siano loro a calpestarlo, è lui a mantenere il controllo della situazione. Con un piccolo movimento potrebbe far cadere giù la partner come un birillo. Nei suoi 39 anni dice di aver “sostenuto” con il suo corpo 1500 donne di cui 23 contemporaneamente. La prima esperienza risale all’infanzia: aveva nove anni e ha indotto per gioco la sua baby sitter a mettergli i piedi addosso. Infine c’è Mike di 43 anni. È uno schiavo adulto e ha sperimentato alcune pratiche di subordinazione di livello avanzato insolite persino nel mondo Bdsm (l’acronimo che racchiude in sé diverse pratiche: bondage, dominazione, sadismo, masochismo).
LE STORIE
Serena / Silvia / Mark / Sam / Ross / Mike
L’UNIVERSO BDSM – IL MAESTRO – PERCHÉ BDSM
Abbiamo esplorato per qualche mese la scena Bdsm di Milano. Questi sono alcuni dei protagonisti. A prima vista il sadomasochismo potrebbe sembrare la più turpe delle passioni, abbiamo scoperto invece che a praticarlo sono persone che vogliono semplicemente esplorare i limiti del proprio corpo dettati dalla mente. Come chi fa sport estremo, ma nella sfera sessuale. Sui volti di chi abbiamo intervistato nessun segno di deviazione, soltanto sorrisi e la voglia di sfatare qualche pregiudizio. Persone comuni con una casa, un lavoro, una famiglia e degli amici. Ma con una passione atipica e l’asticella del dolore spostata un po’ in là. Abbiamo chiesto cosa li avesse spinti a entrare in un mondo pieno di pregiudizi, quanto può diventare complicato vivere due vite e, a chi ha scelto di non nascondere la propria passione sadomaso, abbiamo domandato quanto è difficile affrontare ogni giorno le critiche della società.
Le storie
Serena: “Il Bdsm può essere un modo per sfogare le proprie pulsioni prima che diventino deviazioni”
Serena ha 20 anni, è di Milano, frequenta il primo anno di Filosofia. Ha un sorriso contagioso e l’entusiasmo tipico della sua età, negli occhi una maturità che la fa sembrare più grande di qualche anno. Si è avvicinata al mondo Bdsm a soli 15 anni a causa di un’esperienza traumatica: uno stupro. “Il mio primo rapporto sessuale è stato una violenza – racconta Serena – sono stata abusata dal mio primo ragazzo. Ciò che però mi aveva scosso più dell’episodio stesso è che quando mi ha messo il coltello alla gola mi sono sentita eccitata”.
Ha pensato di essere pazza, che non fosse normale una reazione simile allo stupro. “Sono stata seguita da vari psicologi – continua – ma non mi hanno aiutata. Non riuscivo a spiegarmi perché avessi provato piacere in un momento che per me è stato così traumatico. Mi sentivo strana, sbagliata. Poi, navigando su Internet, ho scoperto che esisteva il Bdsm. Mi sono incuriosita e ho provato a entrare in contatto con qualcuno che mi potesse aiutare”.
È così che Serena si imbatte nel suo primo padrone. Un uomo molto più grande di lei che l’ha guidata passo dopo passo in questo mondo. Tutto di nascosto visto che lei era ancora minorenne e lui sarebbe potuto finire in guai legali anche se in questo gioco di dominio e subordinazione lei era perfettamente consenziente. “Tra di noi si è creato un legame molto forte – racconta la ragazza – siamo stati insieme tre anni e credo che lui abbia influenzato la mia vita più dei miei stessi genitori”.
Poi a 18 anni, quando Serena diventa maggiorenne, il padrone la lascia andare, la libera a nuove esperienze. Lei si iscrive a gruppi Facebook dedicati al Bdsm, comincia a frequentare i locali. È maggiorenne e ora può esplorare liberamente. In poco tempo diventa un’esperta del settore. Si documenta, legge scrittori come il Marchese de Sade, considerato il padre del sadismo, e Leopold von Sacher-Masoch, l’inventore del termine “masochismo”. Vuole capire il motivo per cui prova piacere nel dolore. Si appassiona alla psicologia.
Serena non tiene nascosto il suo interesse per il sadomasochismo. Per questo a scuola i compagni cominciano a prenderla di mira. “Era difficile alzarsi ogni giorno e entrare in un posto in cui venivi costantemente presa in giro”, racconta la ragazza. Ha affrontato queste discriminazioni con coraggio, non si è mai tirata indietro, non ha mai rinnegato la sua passione. Ha persino portato il bondage (pratica sessuale basata sulla costrizione fisica del partner attraverso legature) come argomento della tesina della maturità.
Il Bdsm l’ha aiutata a superare un trauma molto forte, nel sadomasochismo ha trovato la ragione delle sue pulsioni percepite altrimenti come una malattia. Nella scena milanese si è sentita accettata, parte di un gruppo, finalmente capita e non discriminata. Per questa ragione è grata al Bdsm e non ha intenzione di nascondere qualcosa che l’ha aiutata così tanto. “Il sadomaso mi ha permesso di scoprire me stessa. È una delle cose più belle che mi siano capitate. Con il tempo ho capito che questa cosa può avere per me degli effetti positivi e negativi”. La parte più difficile del suo percorso è stata raccontare della sua passione ai genitori. “L’hanno presa malissimo – racconta – sono molto cattolici. Ci ho messo molto a trovare il coraggio. Mia madre ha detto che non le andrà mai bene quello che faccio. Piano piano però se ne stanno facendo una ragione. Per Natale mi hanno regalato una scatola con su scritto Tzuchi, il mio nome d’arte, così che io mettessi tutti i miei giochi lì e la smettessi di avere corde e fruste in giro per casa”.
Nonostante la giovane età Serena è un’attivista nel mondo Bdsm. Pratica sia bondage che flogging (flagellazione con la frusta), sa utilizzare tecniche di dominazione psicologica molto sottili come il mindfucking (quando il gioco tra dominante e dominato si consuma interamente sul piano mentale). A volte si veste in latex e va in giro per Milano. Dice di farlo per scacciare dalle menti delle persone lo spauracchio del Bdsm.
Dopo alcuni anni da schiava ha cominciato ad avere pulsioni dominanti. “Sono attratta dal dolore fisico, ma anche dalla dominazione psicologica”, spiega. Anche se negli ultimi tempi le capita più di essere padrona che schiava: è una switch, come è definito chi in sessioni diverse è capace di assumere sia il ruolo di dominante che di sottomesso. “Quando incarno la Mistress (padrona, ndr) mi piace instaurare un rapporto di subordinazione psicologica con il mio sottomesso”, racconta. “Invece quando gioco a fare la slave (schiava, ndr.) mi piace sentire il dolore fisico. So che potrebbe sembrare strano, ma è così. Penso che per provare piacere nel dolore bisogna essere predisposti fisicamente. Inoltre col tempo la soglia del dolore si alza. Io per esempio sono in grado ora di sopportare 1500 frustate, ma ci sono arrivata gradualmente. Il piacere che provo è sia di tipo psicologico che fisico. Da un lato ti abbandoni al partner e godi nel vederlo soddisfatto, dall’altro dalle frustate deriva uno stato di eccitazione e estasi dovuto al rilascio di endorfine”.
Secondo medici e psicologi se c’è una spiegazione fisiologica di come si possa provare piacere nel dolore questa è da ricercare nei ricettori di molecole oppioidi del nostro cervello, appunto le endorfine, che se stimolati provocano una sensazione di benessere e serenità. Ipotesi confermata dal sessuologo clinico Alberto Caputo, specializzato in parafilie (interesse per una pratica erotica considerata insolita nella morale corrente). Caputo, che ha studiato da un punto di vista medico il Bdsm, afferma: “È dimostrato che dopo una sessione sadomaso nell’individuo c’è un rilascio di oppioidi endogeni: agiscono come una droga interna e naturale. È come se la persona andasse in trance”.
A Serena piace mettere la sua esperienza a servizio degli altri e spesso organizza dei corsi che lei preferisce definire “salotti”. “Cerco di dare consigli alle persone interessate al Bdsm. Voglio far capire a chi sente di avere pulsioni sadomaso che non sono ‘strani’ o ‘malati’. Insegno le pratiche classiche, i ruoli, le zone del corpo che si possono colpire quando si gioca e quali no”. A chi pensa che il sadomasochismo sia una deviazione risponde che semmai serve a non sviluppare le vere deviazioni perché in alcuni casi può essere addirittura catartico.
Serena, segnata dalla sua esperienza, usa il Bdsm anche per aiutare gli altri a sfogare pulsioni violente. “Durante i miei corsi – racconta – è emerso che l’abuso rappresenta una fantasia sessuale per diverse persone sia uomini che donne. Ne sono rimasta sorpresa. Allora ho pensato di organizzare delle sessioni di stupro combinate. Ho pensato che dare sfogo a questa fantasia in un contesto sano e di consensualità tra le due parti potesse aiutare a esorcizzare un impulso che, se represso, potrebbe sfociare in futuro in violenza vera, come è successo a me”. L’esperienza di Serena sembra confermare un frequente pregiudizio sul mondo del sadomasochismo, cioè che chi lo pratica ha subito degli abusi in passato. La ragazza però ci tiene a precisare che lo stupro è stato solo un mezzo con cui è arrivata a conoscere il Bdsm. “La violenza non mi ha influenzato o incentivato a praticare sadomasochismo. Credo che il Bdsm sia una parte di me che è semplicemente emersa dopo quella vicenda”.
Silvia: “Il sadomasochismo è come un sentimento cresciuto nel tempo, ma che ha sempre fatto parte di me”
Silvia ha 20 anni, proprio come Serena. Le loro storie hanno diversi punti in comune. Il primo tra tutti è un approccio atipico alla sessualità e il conseguente ingresso nel mondo Bdsm. Silvia è napoletana, ma vive a Milano da un paio d’anni, da quando ha cominciato l’Università. E qui ha iniziato a praticare sul serio il sadomasochismo. È una sub, nel gioco interpreta la parte della schiava.
La incontriamo la prima volta durante un play party, feste sadomaso in cui è concesso ai partecipanti giocare tra di loro. Lei è sdraiata supina su una gabbia, gambe all’aria. La parte superiore del suo corpo è cinta da un corsetto, più in basso un intimo velato lascia poco all’immaginazione. A fianco Ayzad, un esperto del Bdsm, considerato il guru della scena milanese, un maestro con la frusta. In quell’occasione lui le infligge decine e decine di frustate. A ogni schiocco della frusta le sue cosce e le sue natiche, già piene di lividi, si riempiono di solchi e ferite. L’istinto di una persona estranea al mondo sadomaso, che i bdsmer definiscono “vanilla” (termine scherzoso usato dai praticanti per indicare chi fa esclusivamente sesso normale) è quello di andare a salvarla, di sottrarla a quelle atroci sofferenze.
In realtà Silvia non vuole essere salvata, di fronte l’esitazione del suo padrone è lei a chiedergli di continuare con le frustate. Questa è la Silvia che conosciamo la prima volta. Quella che incontriamo qualche tempo dopo per l’intervista è una ragazza pacata, acqua e sapone, sembra molto più giovane della Silvia di qualche sera prima. È ironica e divertente. All’inizio un po’ diffidente perché teme di vedere violata la sua vita privata. Infatti la ragazza che intervistiamo non si chiama Silvia, la chiamiamo così per proteggere la sua privacy. A differenza di Serena lei tende a separare le due vite, quella di studentessa universitaria e quella di schiava sadomaso. Paura dei pregiudizi. Allo stesso tempo però non si vergogna della sua scelta. “Le persone di cui mi fido, quelle un po’ più aperte di mente lo sanno. L’ho detto persino a mia madre e a mio fratello. Mio padre invece non lo sa, è molto cattolico”, racconta la ragazza.
A introdurla nel mondo sadomaso è stato il suo ex fidanzato quando era ancora un’adolescente. “Era il mio primo ragazzo – dice Silvia – siamo stati insieme cinque anni. Lui però aveva una sorta di doppia personalità. Diceva che aveva dentro un animale che si impossessava di lui all’improvviso e quando succedeva avevamo dei rapporti più aggressivi e a me piaceva”. Silvia non sa se il suo ex lo facesse per gioco o per un disturbo reale, sa soltanto che quell’approccio atipico alla sessualità l’ha portata a scoprire il mondo Bdsm. “Con lui ho scoperto e esplorato la mia sessualità – racconta la ragazza – ma non credo che il suo comportamento abbia in qualche modo influenzato la mia passione per il sadomasochismo. Al massimo, grazie a questa relazione, ho capito cosa mi piaceva davvero nella sfera sessuale”.
Con il senno del poi è convinta di avere avuto una tendenza masochista sin dall’infanzia. “Da piccola, per esempio, giocavo da sola a fare deprivazione sensoriale: immaginavo di venire immobilizzata a causa di un veleno. Solo che allora non riconducevo questa indole a un impulso sessuale. Crescendo ho capito di essere sadomasochista. Il Bdsm per me è come un sentimento che è cresciuto con il tempo, ma che ci è sempre stato, ha sempre fatto parte di me”.
Silvia è una sub, ma non esclude in futuro la possibilità di mettersi dall’altro lato della frusta. E quando le chiediamo come è possibile che lei cerchi e provi piacere dal ricevere delle frustate così forti da lacerare la pelle risponde: “Lo fai perché ti fa stare bene, ti piace, non senti il bisogno di smettere. Non posso negare che si soffre, ma si provano delle reazioni contrastanti: cominci a sudare, a tremare, ti abbandoni totalmente alle emozioni. La perdita dei sensi che provi è tale da non essere paragonabile a nessun’altra esperienza sessuale. Se sei predisposto diventa davvero eccitante. Una volta mentre venivo frustata ho persino avuto un orgasmo”. Per quanto riguarda le ferite la giovane ammette che “fanno male, ma fanno anche stare bene”. A volte si sorprende ad accarezzarle e a ricordare le sensazioni vissute quando le venivano inflitte le frustate. “E poi ti assicuro che il dolore delle ferite il giorno dopo è meno destabilizzante di un ciclo mestruale”, scherza.
Mark: “Mi sono appassionato al sadomasochismo sin dall’adolescenza”
L’ingresso nel mondo Bdsm non è sempre legato a un approccio anomalo o traumatico alla sessualità. Non si tratta di una regola generale, l’universo del sadomasochismo è variegato, fatto di tante storie, ognuna singolare. C’è però una costante che abbiamo riscontrato tra gli intervistati: secondo loro il Bdsm non si sceglie, ma fa parte dell’individuo. È un’inclinazione, una passione, un impulso, ma non è una scelta. Per alcune persone i ricordi legati al sadomasochismo risalgono all’infanzia, per altri almeno all’adolescenza. “Ho capito di avere la passione per il Bdsm quando avevo 13/14 anni e ho cominciato a scoprire la sessualità. Navigavo su Internet e quando incappavo in immagini di spanking (dall’inglese sculacciata, ndr.) pensavo ‘beh questo mi potrebbe piacere”, racconta un uomo di 30 anni in giacca e cravatta che di giorno lavora nell’alta moda milanese e di notte, con lo pseudonimo di Mark, è un Dom che si diverte a maneggiare frustini.
Mark però ha impiegato diversi anni a trovare il coraggio di entrare nella scena Bdsm. Anche se sapeva di avere questa passione sin dall’adolescenza, ha cominciato a frequentare locali Bdsm da poco più di un anno. “Ho esitato perché non conoscevo le persone giuste, ma soprattutto perché avevo paura di perdere il lavoro, paura dei pregiudizi”.
Mark è ligure, ma vive e lavora a Milano da diversi anni. Nel capoluogo lombardo ha trovato il coraggio di smettere di reprimere la sua pulsione. “Milano è decisamente la capitale del Bdsm italiano, ci sono molti eventi e occasioni per conoscersi”. Per il ragazzo però è molto importante tenere separate le due vite. Ha due profili Facebook, uno come Mark e uno col suo vero nome, due indirizzi di posta elettronica. “A volte essere due persone in una è un casino – spiega – ma non potrei fare altrimenti. Ho notato che la doppia vita è molto diffusa tra chi pratica Bdsm. Molto spesso per necessità, a volte anche per scelta: c’è chi preferisce separare il gioco dalla vita reale”. Nella quotidianità il ragazzo si trova diverse volte a dover fare i conti con il suo alter ego Bdsm. Quando in ufficio si scopre a disegnare flogger (strumenti di fustigazione) su un blocco note durante una riunione, quando deve aprire la mail e per un lapsus digita sulla tastiera l’indirizzo da bdsmer.
Per dare sfogo alla sua passione Mark ha creato un blog in cui racconta storie di sadomasochismo. “Parlavo con due amiche lesbiche, estranee al Bdsm, e cercavo di spiegare loro cosa fosse lo spanking. Siccome non riuscivo a trovare le parole giuste per descriverlo ho pensato ‘ora lo scrivo’, è così che è nato il mio primo racconto”.
Quando gioca Mark assume un ruolo dominante, lo stesso però anche di giorno quando lavora. Nell’azienda in cui presta servizio si trova ad avere una posizione di controllo. Gli chiediamo allora cosa ne pensa della teoria dell’inversamente proporzionale, una credenza diffusa sul sadomasochismo per cui una persona tende ad assumere nella sfera sessuale il ruolo contrario rispetto a quello che ha nella vita. Quindi più un individuo è succube e sottomesso nella vita reale e più tenderà a essere padrone nel sadomaso. “Sono un esempio di quanto questa teoria sia arbitraria – dice – potrebbe valere per alcune persone, ma non per tutti. Ad esempio per me no. Io sono dominatore sia nella nella vita diurna che in quella Bdsm anche se in maniera diversa. In verità più che dom mi reputo un educatore. Infatti mi piace più la brat che la schiava”. La brat è una sub che assume il ruolo della bambina viziata da educare piuttosto che della schiava da sottomettere. Nel Bdsm Mark preferisce questo tipo di rapporto rispetto a quello classico di dominazione e sottomissione. “Anche nella mia vita diurna sono quello che rompe le scatole quando i collaboratori non fanno le cose giuste. E mi fa sorridere quando poi li sento mormorare ‘sembra che ci prende gusto’, mi verrebbe da rispondere ‘sapeste quanto’”.
Sam, da fidanzato perfetto a Master del Bdsm
La mattina la sveglia di Sam suona molto presto. Il tempo di un caffè. Poi indossa giacca, pantaloni, cappello e grembiule ed entra in cucina dove trascorre tutta la giornata. Sam lavora in un importante ristorante di Milano. Mettersi al servizio degli altri ha sempre fatto parte della sua vita. Nel lavoro, in famiglia, e prima anche con la sua fidanzata, da qualche mese diventata ex.
Di notte però ha trovato un modo per scrollarsi di dosso la tensione: gioca a legare la sua schiava. Ha 28 anni, è di Torino e Sam Fisher è il suo nome d’arte, ma ormai lo chiamano così anche alcuni colleghi di lavoro, quelli a cui ha rivelato la sua passione. “Ho iniziato circa cinque anni fa quando lavoravo come cuoco in Piemonte. Ho cominciato giocando a legare una mia collega”, racconta il ragazzo. Per una persona che si affaccia per la prima volta al bondage imparare a fare lacci e nodi attorno al corpo di una persona non è proprio semplicissimo. “La corda deve sostenere senza lacerare – spiega il ragazzo – ho imparato cercando informazioni su Internet e poi mi esercitavo di nascosto in cucina legando gli arrosti”.
Sam abita a Milano da meno di un anno, ma è subito entrato nel giro grazie a una sua amica conosciuta su Fet Life, il social network dei bdsmer. È riuscito a nascondere per anni la sua doppia vita all’ex fidanzata. Le diceva che era a lavoro intanto legava la sua schiava. “Con la mia ragazza era un casino. Ero costretto a mentirle, non lo facevo volentieri. Da un lato mi sentivo in colpa, dall’altro capivo che il sadomasochismo era qualcosa di cui non potevo fare a meno. Ho cercato di introdurla in questo mondo, ma lei non era interessata per cui ho lasciato perdere e abbiamo continuato a vivere nella menzogna”.
Ross: “Mi hanno calpestato 1500 donne, la prima è stata la mia baby sitter”
Ross ha 39 anni e sostiene di essere un sadomasochista da 35. I primi ricordi legati alla sua passione risalgono all’infanzia. “La mia prima esperienza è stata a nove anni con la mia baby sitter”, racconta Ross. L’uomo fa multi trampling: una pratica inconsueta nel mondo Bdsm. Si fa camminare addosso dalle donne, o come dice lui “le sostiene” con il proprio corpo. “Nella mia vita ho fatto da tappeto a 1500 donne”, dice.
L’uomo non sa individuare le ragioni o le modalità con cui ha maturato questa fantasia. Ha sempre nutrito il desiderio di essere calpestato dalle donne. “Per gioco ho convinto la mia baby sitter a mettermi i piedi addosso. Allora per me non era un’esperienza sessuale, ma sapevo già che mi sarebbe piaciuto che mi calpestasse”. Poi a 18 anni, navigando su Internet, Ross ha capito di essere un sadomasochista. “Ci sono arrivato per esclusione, nel senso che non sapevo che la mia fosse una pulsione di tipo sessuale. Mi piace sentire la donna muoversi su di me e non ritengo fondamentale concludere la sessione con un rapporto completo”.
Nel Bdsm non sempre il gioco ha una finalità sessuale in senso tradizionale. Anzi molti sadomasochisti ritengono le pratiche in sé talmente appaganti dal punto di vista fisico e mentale che il sesso finisce per diventare un contorno. Ross, per esempio, considera il multi trampling un’esperienza intima che lo soddisfa pienamente. “Se trovassi una partner che mi calpesta ed è frigida sarebbe il massimo”, scherza.
Parlando della sua passione è Ross stesso a definirsi un “tappeto”, ma allo stesso tempo dice di assumere nel gioco un ruolo dominante. “Sono io ad avere il controllo della situazione, un mio piccolo movimento e la mia partner cade giù come un birillo”. Ci mostra le foto di alcune sue esibizioni durante eventi Bdsm. Cinque/sei donne gli stanno addosso in equilibrio, lui è steso a terra come uno zerbino. Quando gli facciamo notare che il suo, a occhio, non sembra essere l’emblema di un ruolo di dominazione, lui risponde: “Sono un dom passivo, accetto di essere chiamato anche ‘schiavo’ dalla partner, l’importante è che poi faccia come dico io”. E aggiunge: “In verità sono un maniaco del controllo e ho la fobia di perderlo. Per esempio non faccio mai salire la donna sulla schiena perché non la potrei controllare”.
Nella scena Bdsm il dress code ha un ruolo molto importante. Vestirsi fetish (abbigliamento aderente in materiale inusuale con latex, pelle, pvs, gomma) è persino obbligatorio in alcune feste. L’abito è considerato identificativo e assume una valenza erotica per i sadomasochisti, ma non per Ross che è un bdsmer anomalo anche in questo. “Sono contro al dress code nei locali, non voglio essere costretto a indossare maschere”. Ross però è un nome di fantasia. L’uomo con cui parliamo ha scelto, come tanti altri, di nascondere la sua vera identità. “Prima non mi preoccupavo di tenere separate le due vite, ma da circa cinque anni a questa parte sono stato costretto a farlo. Mi dispiace dover certe volte rinnegare me stesso a causa dei pregiudizi della gente”. Per due volte, mentre cercava lavoro, gli è stato detto che la sua vita sessuale era troppo vivace per ottenere il posto. “Succede solo in Italia, perché quando abitavo in Australia nessuno mi ha mai giudicato per i miei comportamenti in camera da letto. Per me è una sofferenza abitare in un posto in cui sono costretto a scindere due lati di me stesso”.
Mike: “Sono uno schiavo, ma nella vita reale me ne vergogno”
Mike è lo pseudonimo di un uomo di 43 anni che nella vita fa il libero professionista e lavora nel commercio. È uno slave e adora soddisfare la sua padrona. Ha molta esperienza nel Bdsm e ha sperimentato pratiche di subordinazione di livello avanzato come il pissing (consiste nel farsi urinare addosso dal proprio padrone) e sonde uretrali (strumenti chirurgici in acciaio che vengono inseriti nell’uretra per provocare sensazioni invasive e per dilatarla). La sua soddisfazione deriva dall’essere usato come uno strumento di piacere. Per la mistress giusta è disponibile a mettersi alla prova e a spostare i limiti di sopportazione sempre più in là fino a scoprirne di altri. “L’umiliazione contribuisce a fare crescere in me l’eccitazione”, racconta.
Mike non sa come mai abbia questo senso di devozione per la sua donna. “Forse perché sono cresciuto in una famiglia a fortissima maggioranza femminile e sono profondamente convinto della meraviglia del ruolo della donna”. Le sue prime fantasie sadomaso risalgono all’infanzia. “Ricordo un episodio, avevo 8/9 anni ed ero in vacanza con la mia famiglia. Ho visto in un’edicola un fumetto che si chiamava credo ‘Pussycat’, o qualcosa del genere. In copertina c’era una donna vestita tutta in pelle con stivali neri, alti. Mi colpì così tanto che poi di notte la sognai”. L’uomo è stato sempre un amante dall’abbigliamento femminile fetish. “Amo gli indumenti in pelle o latex e sono molto feticista sugli stivali”, ammette.
Per anni il mondo sadomaso lo ha affascinato, ma esitava a provare, era turbato dalla sua passione. “La mia prima esperienza l’ho fatta con una prodomme (Mistress a pagamento, ndr) volevo capire se veramente era una cosa che mi piaceva o una fantasia che doveva restare tale. Le mie sensazioni sono state confermate”.
Per Mike è molto importante tenere separate le due vite. Dice che è per una questione di riservatezza, ma poi ammette di avere paura di essere giudicato dalle persone in maniera negativa a causa della sua passione per la sottomissione. “Forse un po’ me ne vergogno”, confessa. E quando gli facciamo notare che alcuni considerano il Bdsm una deviazione, risponde: “È una questione soggettiva, per qualcuno in generale il sesso ai fini non riproduttivi potrebbe essere una deviazione. Il problema è dare una connotazione negativa al concetto stesso di deviazione. Le devianze possono essere interessanti. Ben diverso è parlare di cose gravi, come lo stupro o la pedofilia, quelli non sono comportamenti deviati, sono comportamenti criminali”.
L’universo Bdsm
Le storie di Serena, Silvia, Mark, Sam, Ross e Mike sono solo lo spaccato di un universo più ampio di quello che si potrebbe credere. È difficile calcolare quante persone nel mondo praticano sesso estremo. Secondo Ayzad, uno dei massimi esperti italiani di Bdsm, nei paesi industrializzati “un adulto su sei ha frequenti fantasie erotiche a tema Bdsm, uno su dieci le ha realizzate davvero”. Nel suo libro “Guida per esploratori dell’erotismo estremo” lo scrittore fa una stima prendendo in considerazione i dati Istat sulla popolazione: in Italia più di 4 milioni di persone praticano sadomasochismo.
La capitale italiana
Se il Bdsm è qualcosa di più di una fantasia sessuale è perché trascende le quattro mura della camera da letto. Per farlo ha bisogno della scena: l’insieme di locali, di eventi, di negozi frequentati da sadomasochisti che creano un giro e diventano una sorta di comunità. Le “vecchie guardie” (tra di loro si chiamano proprio così) si conoscono tutti e notano subito l’ingresso di qualche novellino. È Ayzad a introdurci nella scena milanese.
Ayzad è un ex giornalista, uno scrittore, sadomasochista da trent’anni. Ha tenuto diversi seminari sull’argomento e ora insegna a forze dell’ordine e a psicologi come approcciarsi al fenomeno. Nel capoluogo lombardo è considerato il guru del sadomasochismo. “Milano è la capitale del Bdsm italiano, in ogni città c’è un giro perché ci sono persone che lo praticano, che vogliono incontrarsi e condividere esperienze, ma Milano ha una marcia in più. Ci sono più persone, più locali, più occasioni d’incontro”, dice.
Le sue parole vengono confermate dalle persone che incontriamo durante il viaggio nella scena milanese. In realtà i posti in cui bdsmer si incontrano si contano sulle dita di una mano e sono sempre gli stessi così come le persone che organizzano gli eventi. “Locali nuovi nascono e muoiono costantemente”, racconta Ayzad. “All’inizio le persone pensano di guadagnare sul giro Bdsm, ma quando si accorgono che le entrate sono inferiori alle loro aspettative smettono di fare serate”.
Gli incontri tra persone che praticano sadomasochismo avvengono molto spesso in bar normalissimi come il Nhero, il Kineo Cafè, il Milord. Qui di solito vengono organizzati i cosiddetti Munch, semplici aperitivi che servono ai praticanti per conoscersi tra di loro e ai neofiti per avvicinarsi al Bdsm. Non sono incontri segreti, può prendervi parte chiunque. Non è richiesto un dress code e sono vietati giochi o qualsiasi comportamento Bdsm. Per giocare, invece, ci sono i play party. Eventi Bdsm che si tengono in club privè. Attualmente a Milano ce n’è solo uno: il Nautilus. “È l’unico posto dove si tengono veri eventi sadomaso, con seminari e professionisti del mestiere – spiega Ayzad – Il Nautilus è gestito da una coppia di bdsmer che un paio di volte al mese si permette di fare serate a tema senza badare ai profitti. Non puoi mai immaginare quante persone vengano a un evento, a volte si fa il pienone, altre volte siamo quattro gatti”.
Al Nautilus ogni prima domenica del mese si tiene il Sadistique, la più grande festa Bdsm di Milano. Per accedere è necessaria la tessera del circolo Anddos, serve per tenere lontani i curiosi e per evitare guai legali. Lo statuto sociale permette ai partecipanti di assumere determinati atteggiamenti senza preoccuparsi di offendere quello che la legge definisce il “comune senso del pudore” (articolo 527 del codice penale).
Per prendere parte al Sadistique è richiesto un dress code in base al tema della serata che varia di mese in mese. Il locale è arredato come se fosse una nave, particolare che spiega il suo nome. All’interno è un open space diviso per aree di gioco. C’è uno spazio dedicato al bondage: corde e nodi avvolgono corpi di fanciulle appese. Un’area per il flogging: master e mistress esperti si mettono a disposizione di masochisti abbastanza coraggiosi da sottoporsi ai loro colpi. Tra i divanetti ci sono delle gabbie. Al loro interno uomini e donne giocano a provocarsi dolore e piacere allo stesso tempo. Non tutti gli ospiti giocano, alcuni sono lì semplicemente per sentirsi liberi di esprimere la loro passione senza inibizioni e vergogna: schiavi seminudi portati a guinzaglio dalle loro padrone, ragazze vestite in latex con il seno scoperto e mollette ai capezzoli mentre, serene, conversano con altri partecipanti sorseggiando un drink.
Oltre a frequentare locali come il Nautilus, chi vuole giocare può anche prendere in affitto un dungeon, una stanza attrezzata con vari giochi in cui gli amanti del sadomaso si possono divertire liberamente. C’è una differenza però tra gli eventi come il Sadistique e gli incontri privati nei dungeon: la presenza di personaggi noti nel mondo Bdsm. Durante i play party spesso vengono organizzati seminari in cui esperti come Ayzad e Shakner insegnano a maneggiare la frusta. O maestri come Kirigami mostrano come usare le corde. Loro si mettono a disposizione di chi partecipa all’evento in modo da evitare eventuali incidenti di percorso.
Secondo Ayzad negli ultimi anni ci sono state due rivoluzioni che hanno cambiato il mondo Bdsm. Una si chiama “Cinquanta sfumature”, la celebre trilogia della scrittrice inglese E. L. James che ha dato ispirazione a tre adattamenti cinematografici dal successo internazionale. “Cinquanta sfumature ha reso le persone più curiose verso questo mondo – dice Ayzad – . Chiunque pratica Bdsm ti dirà che i giochetti in camera da letto dei protagonisti Mr. Grey e Anastasia non hanno nulla a che fare con il vero sadomasochismo. Ma i romanzi, prima, e i film, poi, hanno sicuramente acceso la miccia della curiosità nel grande pubblico. Ed è positivo. L’effetto negativo di Cinquanta sfumature è il rischio di imitazione tra persone inesperte”. Secondo un articolo del Washington Post l’uscita della trilogia ha provocato in America un picco di ricoveri in pronto soccorso a causa di incidenti con i giochi erotici. Per questo gli esperti come Ayzad insistono sull’importanza della preparazione e della pratica nel Bdsm. Eventuali infortuni durante una sessione rischiano di comportare problemi legali per la parte dominante. Per la legge, infatti, qualsiasi lesione con prognosi superiore ai venti giorni deve essere obbligatoriamente denunciata d’ufficio dall’autorità che la rileva (articolo 582 del codice penale).
L’altra rivoluzione che secondo Ayzad ha sconvolto il mondo Bdsm è Internet. “Il web ha dato a molti la spinta per provare. Ha accorciato le distanze, ha permesso alle persone di conoscersi. Chi magari si sentiva ‘strano’ o diverso a causa di alcune pulsioni ha trovato il coraggio di provare dopo essere venuto a conoscenza di non essere solo”.
In rete avvengono i primi contatti, si comincia a prendere confidenza con i luoghi e i volti della scena milanese. Spesso le serate Bdsm vengono infatti divulgate su Internet. Ci sono poi i siti di annunci come La Gabbia dove si possono trovare compagni di giochi. O le community Bdsm come The Room o Fet Life, quest’ultimo è molto in voga nella scena milanese. Ma a volte per conoscersi e cominciare a orientarsi è sufficiente il buon vecchio Facebook. Basta iscriversi a gruppi come “Bdsm Milano” per sapere ciò che succede a nel capoluogo lombardo e ricevere gli inviti a eventi, munch e serate a tema.
Il maestro
Il Bdsm è come un gioco strutturato su vari livelli. Bisogna procedere gradualmente, più si va avanti più diventa pericoloso. È molto importante prendere consapevolezza con le pratiche, con i limiti del proprio corpo e imparare a usare al meglio gli strumenti di gioco. Nel bondage per esempio se non si sa legare e maneggiare le corde si rischia di provocare al sottomesso problemi circolatori e addirittura si può lacerare un nervo. Per evitare incidenti bisogna legare in modo tale che la pressione della corda venga distribuita su una superficie del corpo più ampia possibile. Ci sono libri che insegnano a fare nodi. L’autoapprendimento può essere sufficiente per iniziare, ma per chi vuole fare sul serio a Milano ci sono delle vere e proprie scuole. Una di queste è la Rope Tales del maestro Kirigami.
Kirigami pratica bondage da circa otto anni. “Ho sempre saputo che mi sarebbe piaciuto legare le donne – racconta – Praticamente da quando mi sono accorto che mi piacevano le ragazze ho capito che mi sarebbe piaciuto fare determinate cose con loro, ma ho cominciato a sviluppare la mia passione soltanto quando dalla provincia mi sono trasferito a Milano”.
Nel capoluogo lombardo Kirigami comincia a frequentare il giro Bdsm e a praticare bondage. “Per tanto tempo sono stato un autodidatta perché non c’erano molti corsi e quelli che c’erano erano molto blandi servivano più ad avvicinare le persone al Bdsm che a insegnare davvero. Poi ho visto un’esibizione di Riccardo Sergnese, uno degli uomini che hanno importato il bondage giapponese in Italia. Sono rimasto affascinato, ho capito che volevo fare quello”.
Nella sua scuola infatti Kirigami insegna shibari e kinbaku, lo stile giapponese. “Per me il bondage è un’attività più mentale che fisica. È una disciplina in cui è fondamentale stabilire un rapporto con l’altra persona, comunicare emozioni. Il bondage giapponese lavora molto sull’introspezione. Durante la sessione ci sono due persone che si guardano dentro. Invece alcuni insegnano bondage come se fosse lo yoga. Non è così. Il bondage non è una passione sana. Non è normale appendere una persona al soffitto. Fa male, le articolazioni ne risentono, è stressante psicologicamente”.
Kirigami ammonisce sempre le persone che vogliono iscriversi alla sua scuola. È il primo che cerca di scoraggiare i curiosi. “Il bondage lo fai quando non puoi farne a meno, quando una forza più grande di te ti spinge da dentro e non riesci a resistere. Come quando guardi un film horror e sai che sta per arrivare una scena terrificante allora chiudi gli occhi con le mani, ma poi lasci aperta una fessura e continui lo stesso a guardare anche se sei consapevole che ti farà paura”.
"Il bondage non è una passione sana, non è normale appendere una persona al soffitto. Lo fai quando non puoi farne a meno" Kirigami
La Rope Tales di Kirigami è attiva da un paio d’anni. Nel frattempo si sono iscritte almeno cinquanta coppie, di cui una quindicina ha raggiunto il livello avanzato. “Le lezioni sono ogni mercoledì e il corso base si esaurisce in un paio di mesi”, spiega. Alcune persone si iscrivono perché negli ultimi tempi il bondage è stato sdoganato. “I media ne parlano di più e le persone vogliono quello che vedono. Per tanti non è un vero interesse, infatti mollano subito, continuano coloro la cui passione è reale”.
Durante le lezioni Kirigami insegna legando la sua compagna Tenshiko. “È il nostro modo di comunicare”, spiega. Nelle immagini che li ritraggono durante le sessioni lei ha il volto scoperto, lui invece indossa sempre una maschera. “Insegnare bondage è una passione, ma ho anche un lavoro diciamo ‘normale’: vendo oggetti di lusso. A malincuore sono costretto a separare le due vite”.
Perché Bdsm
Sigmund Freud, a inizio ‘900, è stato tra i primi a descrivere da un punto di vista clinico il sadomasochismo. Il padre della psicoanalisi faceva derivare il comportamento da un sviluppo psicologico aberrante avvenuto nella prima infanzia. Freud ha gettato le basi per la prospettiva medica futura: per anni il sadomasochismo è stato considerato una patologia.
“L’approccio clinico è cambiato seguendo l’evoluzione della società. Ciò che a metà ‘900 poteva essere considerato socialmente riprovevole col tempo è diventato accettabile”, dice Fabrizio Quattrini, presidente dell’Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica e docente di Clinica delle Parafilie e della Devianza all’Università dell’Aquila.
Già a metà anni Settanta accanto al termine perversione è stato aggiunto quello più morbido di parafilia per descrivere chi mostra interesse per pratiche erotiche considerate insolite nella morale comune. “Rivoluzionaria però è stata l’ultima edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm 5) pubblicata nel 2013”, spiega la sessuologa Arianna Finocchi presidente dell’associazione de.Sidera. Il Dsm, definito anche “la Bibbia della psichiatria”, è il principale riferimento per medici, psicologi e psichiatri nella loro attività clinica e di ricerca. “La quinta edizione del manuale, cioè l’ultima, non solo distingue le parafilie dalle patologie, ma le separa anche dai disturbi parafilici. Per questa ragione il Dsm 5 è considerato uno spartiacque in materia di trattamento clinico del sadomasochismo”, dice la Finocchi.
“Il disturbo parafilico è una patologia quindi è da curare, la parafilia invece non ha bisogno di cure. Esiste addirittura anche un gradino più basso della parafilia: la trasgressione. Alcune pratiche dei Bdsm rientrano in questa”, afferma Quattrini.
Chi pratica sadomasochismo dunque non è più considerato un malato mentale. Così come il Bdsm di per sé non è più una patologia, anche se in alcuni casi lo può diventare. “Quando coinvolge persone non consenzienti e si va a scontrare con la legge”, dice la Finocchi. Oppure quando “diventa una pratica ripetitiva che monopolizza la sessualità”, afferma Alberto Caputo, sessuologo clinico, fondatore dell’Istituto di evoluzione sessuale (Ies) . “Il sadomasochismo può diventare un disturbo quando la persona sadica o masochista si eccita esclusivamente vedendo una persona soffrire o soffrendo lei stessa”, spiega Quattrini. “L’individuo si trova a vivere questo tipo di eccitazione come una forma di dipendenza che va a compromettere anche la sua vita quotidiana. Molto spesso questa condizione crea disagio alla persona in questione che si rende conto di stare male”, continua il dottore. “Il comportamento sessuale diventa patologico quando è egodistonico, cioè non è in sintonia con il nostro io e quindi ci crea disagio. Finché è egosintonico, cioè in sintonia con il nostro ego, e non crea danno ad altri, non è malattia e non va curato”, aggiunge la Finocchi.
Caputo assicura che la percentuale di patologia nel mondo sadomaso non è superiore a quella nel mondo vanilla, cioè tra chi non pratica Bdsm. “Nella mia esperienza clinica ho visto molto più sadomasochismo patologico nelle coppie che venivano da me a fare terapia rispetto a quello visto al Nautilus durante il Sadistique. Il masochismo all’interno della coppia passa attraverso una serie di ricatti psicologici sottili e inconsapevoli che vanno dal modo in cui vengono stirate le camicie al modo di servire la pastasciutta”.
Perché alcune persone “sane” si trovano a provare piacere nel dolore? Secondo gli esperti non c’è una spiegazione univoca al sadomasochismo, ma ragioni neurobiologiche e fisiologiche si intrecciano con motivazioni psicologiche. Per Quattrini i bdsmer tendono ad associare il piacere al dolore a livello neuronale. “È il cervello a definire se un’esperienza è dolorosa oppure piacevole perché nel sistema nervoso le due sensazioni viaggiano sullo stesso canale. Alcune persone separano il piacere dal dolore, i bdsmer invece vivono il dolore come gratificante e quindi lo inseriscono nell’area del piacere”, dice il dottore.
Caputo condivide il punto di vista di Quattrini, inoltre associa la passione per il Bdsm al rilascio nell’individuo di oppioidi endogeni dopo una sessione sadomaso. “Funzionano come una sorta di droga interna e fanno cadere la persona in uno stato di trance”, sostiene.
Secondo la Finocchi invece la spiegazione al sadomasochismo è prima di tutto psicologica e va ricercata nelle esperienze vissute dall’individuo in età infantile o nella fase adolescenziale. “La persona può essere stata condizionata da qualcosa che ha visto oppure dall’ambiente in cui è cresciuta. In alcuni casi dietro ci possono essere situazioni di abusi, ma non è sempre così ”, dice la dottoressa.
Non è chiaro se chi pratica Bdsm nasce con una predisposizione a far coincidere piacere e dolore oppure se impara esplorando. Così come il trauma infantile può spiegare la propensione per il Bdsm di una singola persona, ma non è una regola che vale per chiunque. “Aver subito qualche forma di violenza può in qualche modo influenzare un individuo a praticare Bdsm. Ma all’interno del mondo sadomaso non c’è un’incidenza di patologie, di disturbi della personalità o di traumi infantili superiore alla media”, afferma Caputo.
C’è però una certezza sul sadomasochismo: per provare piacere in un momento di sofferenza, come può essere una frustata, è necessaria sia di predisposizione da parte del sottomesso che consapevolezza da parte di chi ha la frusta in meno. “Parlando con le donne è emerso che una frustata sulla vulva può diventare estremamente piacevole. Inoltre dopo una sessione nelle donne c’è un calo di livelli di cortisolo, l’ormone dello stress”, continua Caputo. Questo vuol dire che non hanno vissuto la sofferenza fisica in maniera stressante, ma al contrario è stata un’esperienza piacevole e di rilassamento. “Le persone che sono in grado di fare questo tipo di esperienze arrivano a provare sensazioni estreme. Il Bdsm va praticato da persone che lo sanno fare”, afferma il dottore. E aggiunge: “In generale non esiste giusto o sbagliato, l’unico sesso che non si può fare è quello che non si riesce a fare”.
LE STORIE
Serena / Silvia / Mark / Sam / Ross / Mike
L’UNIVERSO BDSM – IL MAESTRO – PERCHÉ BDSM
Questo servizio è un Progetto di fine corso per il biennio 2016-2018 dell’Istituto per la Formazione al giornalismo di Urbino (IFG), pubblicato il 28 marzo 2018